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Stati Uniti: mesi pericolosi

A novembre le elezioni presidenziali. Cosa può succedere? Da “Una Città”, mensile di Forlì.

Fabrizio Tonello

I mesi che ci separano da novembre 2024 saranno forse i più pericolosi della storia americana, Abbiamo un caso che non si era mai presentato: un ex presidente che ha organizzato un complotto per restare al potere, complotto che solo per una serie di circostanze fortunate non è andato in porto. Le immagini televisive ci hanno mostrato i sostenitori di Trump mentre invadevano il Congresso e le indagini hanno rivelato un complotto basato sull’idea che il vicepresidente, che ha un ruolo cerimoniale, avesse il potere di interferire rifiutando i delegati degli Stati e avviando una specie di golpe bianco, “legale”.

Tutto questo era possibile perché l’elezione del presidente non è diretta, ma passa da un collegio elettorale che vota stato per stato. Ciò ha permesso per ben due volte negli ultimi vent’anni di diventare presidente a qualcuno che aveva avuto meno voti dell’avversario.

Gli sviluppi della grande bugia sul fatto che le elezioni del 2020 di Biden fossero state rubate sono stati sorprendenti. La commissione d’indagine della Camera ha trovato una montagna di prove sulla cospirazione di Trump e dei suoi collaboratori, e da qui sono nate le indagini giudiziarie su Trump: quattro indagini, conclusesi con altrettanti rinvii a giudizio e i dibattimenti inizieranno in queste settimane.

Il futuro dei processi è nelle mani della Corte Suprema, che potrebbe decidere che Trump non può essere processato per atti compiuti quando era ancora presidente. Sarebbe uno scandalo, a opera di una Corte corrotta e partigiana, ma è possibile.

Un’altra decisione della Corte riguarderà il tentativo di alcuni stati di non ammettere Trump sulle liste elettorali utilizzando una sezione del XIV emendamentoche vieta a chiunque si sia macchiato di ribellione contro il governo di candidarsi per una carica pubblica. Anche in questo caso la Corte potrebbe salvare Trump e consentirgli di restare in lizza.

Questo non impedisce però ai processi di andare avanti: in particolare Trump è indagato in Georgia dove ha interferito con i conteggi delle schede chiedendo al responsabile delle elezioni di “trovargli” 11.000 voti supplementari; questa è un’indagine a livello statale. Poi è indagato in Florida in un’inchiesta federale per il possesso di documenti segreti dopo la fine del suo mandato, ma questo è un caso relativamente minore.

Il cuore di tutto è l’indagine a Washington per l’assalto al Campidoglio, in cui Trump è imputato per vari reati, ma tra questi non ci sono l’alto tradimento e l’attentato alla Costituzione, come sarebbe stato inevitabile in Europa, perché la Costituzione americana ha una definizione di tradimento restrittiva: bisogna che uno arrivi a Washington con i carri armati per rovesciare il governo. In sintesi, Trump è indagato per talmente tanti reati che potrebbe dover scontare decine di anni di galera

Ciò che farà dei prossimi mesi un periodo turbolento è il fatto che lui conserva decine di milioni di sostenitori; lo dimostra il fatto che, nella selezione della candidatura repubblicana alla presidenza, nei sondaggi sta sopra il 50%. I recenti caucus in Iowa hanno mostrato la sua presa sugli elettori repubblicani.

Nello stesso tempo Trump continua ad attaccare i suoi nemici, in particolare i giudici procuratori e i democratici, a inventare cospirazioni, a chiedere che la maggioranza repubblicana alla Camera proceda all’impeachment di Biden come vendetta per aver subìto per due volte il processo di impeachment dalla maggioranza democratica, processo che poi si è arenato in Senato dove non è stata raggiunta la maggioranza dei due terzi.

Ci sono montagne di prove e testimonianze sul ruolo di Trump nell'attacco all’essenza stessa della democrazia americana e il processo chiave, quello di Washington, inizierà il 4 marzo 2024, nel bel mezzo delle primarie repubblicane che lui probabilmente vincerà.

Questo come si spiega? Bisogna ragionare sul rapporto che Trump ha creato con i suoi seguaci, che è quello del leader di una setta, non di un leader politico. I sociologi hanno individuato alcuni meccanismi chiave: un leader di una setta non si rivolge a chi sta bene, a chi ha un ruolo nella società, ma a persone che si sentono emarginate, discriminate. I meccanismi delle sette poi si basano su un leader carismatico che isola i propri sostenitori dal mondo esterno: le sette, per definizione, sono chiuse. È il leader che risponde a qualsiasi domanda. Poi, le sue contraddizioni vengono razionalizzate dai seguaci, perché il leader è infallibile. Ancora, le sette prevedono che i seguaci siano chiusi in un luogo remoto o in un ambiente controllato e questo, paradossalmente, è oggi possibile grazie alle “bolle comunicative” in cui i fedeli di Trump si rinchiudono: Fox News, Newsmax, Breitbart News e altri siti di estrema destra.

Qualche tempo fa agli elettori di Trump è stato chiesto: chi pensate che vi dica sempre la verità? Il 71% ha risposto “Trump”. Il 63%, cioè parecchi di meno, ha risposto “la mia famiglia e i miei amici” e solo il 43% ha risposto “i miei leader religiosi”. Il che significa che Trump è percepito come uno che ti dice la verità, cioè l’essenza stessa del guru di una setta. Tu chiedi al leader e lui ti risponde sinceramente, ti spiega il mondo e le sue contraddizioni. “Perché stai male? Perché sei stato privato dei tuoi diritti? Te lo dico io”.

Le spiegazioni poi possono essere fantasiose: dal complotto ebraico fino ai democratici che “mangiano i bambini per succhiarne il sangue”, e non sono termini metaforici, ma elementi del dibattito politico in cui si sostiene che lo facciano realmente. L’aspetto interessante della faccenda è il tecno-populismo: le piattaforme dei social media hanno permesso al leader di una setta di aver accesso non a 10 o a 100, ma a decine di milioni di persone. Per giungere a questo risultato, Trump, da uomo di spettacolo, ha resuscitato una forma della politica che i suoi avversari pensavano superata: i grandi comizi. Trump aveva già un’esperienza televisiva, con un reality show, “L’apprendista”, e poi aveva anche un talento naturale.

I meeting di Trump hanno una struttura precisa: prima di tutto attacca quelli che il suo pubblico percepisce come nemici, quindi l’establishment, i democratici, gli immigrati, quelli diversi dal suo pubblico composto da bianchi di mezza età, in generale con un livello di studi medio-basso e una propensione alla ricerca di capri espiatori. Quindi presentandosi come quello che porrà rimedio alle loro difficoltà, Trump entra in sintonia col suo pubblico.

Aggiungiamo che Trump, in quanto attore, sa che il pubblico deve anche divertirsi, e quindi è uno specialista nell’uso di una mimica divertente. Una delle prime cose che ha detto già nella campagna elettorale del 2016 è stata: “Se anche mi piazzassi nel mezzo della Quinta Avenue e sparassi a qualcuno (facendo il gesto della pistola, ndr), i miei seguaci mi seguirebbero lo stesso. Pum pum pum”. Ugualmente ha usato il gesto di imbracciare un fucile in vari comizi dicendo: “Cosa vogliamo fare con tutti i criminali che girano per l’America? Pum pum pum”.

Lui è stato molto attaccato per aver sbeffeggiato durante un meeting un giornalista disabile presente che gli aveva fatto una domanda, e ne aveva fatto un’imitazione come se fosse stato affetto dalla sindrome di Down, una cosa reprensibile che però si era rivelata divertente per una parte di spettatori. Da questo punto di vista Trump non ha nulla da invidiare a Beppe Grillo, come uomo di spettacolo. Sono personaggi che mescolano politica e intrattenimento in una società che è dominata dall’intrattenimento.

I comizi hanno sempre avuto un aspetto spettacolare, anche ai tempi di Moro e Togliatti, ma erano momenti limitati che tendevano a sottolineare la serietà dell’oratore e non certo il contrario. Invece, in una società in cui viviamo immersi nell’intrattenimento, Trump, Grillo e altri populisti hanno costruito una fortuna su questa capacità di entrare in rapporto col pubblico come se fossero prima di tutto degli attori.

La “bolla comunicativa”

Il cittadino medio statisticamente non usa più di dieci siti Internet. E che succede se tu guardi dieci siti al massimo? Che vedi il mondo come è costruito da quei siti. Le decine di milioni di sostenitori di Trump guardano solo Fox News e poco altro. Credi a questi dieci siti, anche perché dicono quello che vuoi sentirti dire.

Prendiamo Fox News nell’elezione 2020: il giorno in cui hanno detto che in Arizona aveva vinto Biden l’audience è crollata del 50%. Così hanno deciso: “Se il pubblico non vuol sentirsi dire questo, allora diciamo quest’altro”, e sono tornati a sostenere per settimane la menzogna che le elezioni erano state truccate, che in realtà Trump aveva vinto. Questo meccanismo mantiene nel campo di Trump milioni di persone che non sanno quello che dice il New York Times, non sanno che c’è il fact-checking sulle bugie di Trump e continuano a credere a ciò che lui scrive su TruthSocial.

Rispetto ai classici guru delle sette, oggi abbiamo il “tecno-guru” che può mantenere milioni di seguaci a lungo perché c’è un ecosistema informativo adatto: non è un complotto con il burattinaio che tira i fili, ma un meccanismo creato da Internet. Sicuramente un rimedio non è il giornalismo tradizionale, che negli Stati Uniti è in una crisi pressoché terminale. I giornalisti sono tra le categorie dell’élite prese di mira da Trump, anche se nel 99% dei casi sono poveracci che lavorano molto e guadagnano poco.

A questo si è aggiunto un altro fenomeno. Ogni anno più di 43 milioni di americani cambiano residenza, circa il 13% della popolazione. Una cifra enorme rispetto alle percentuali europee. Qualche anno fa, analizzando il rapporto fra residenza e tendenze di voto, si è visto che i repubblicani vogliono vivere in mezzo ai repubblicani e i democratici vogliono vivere in mezzo ai democratici, perciò quando si spostano cercano località politicamente affini.

Nel tempo, quindi, le zone tendenzialmente repubblicane come il Sud Ovest e le grandi praterie, sono diventate sempre più repubblicane. Nello stesso tempo le coste atlantica e pacifica sono diventate sempre più democratiche. Oggi San Francisco è la capitale dei democratici: là i repubblicani prendono il 9%, mentre quarant’anni fa prendevano il 50%. Guardiamo invece il Texas, l’Alabama, la Florida, le praterie...: si può andare dalla costa del Texas fino al confine canadese senza incontrare neanche una contea a maggioranza democratica.

Repubblicani anti-Trump?

I repubblicani che considerano Trump un pericolo per il sistema sono minoritari e comunque terrorizzati dalla sua presa sugli elettori. Nei mesi scorsi si sono tenuti vari dibattiti tra gli altri aspiranti alla nomination repubblicana, fra cui Mike Pence, l’ex vicepresidente che i sostenitori di Trump volevano impiccare. Tutti, tranne Chris Christie, un ex governatore del New Jersey, alla domanda: “Se Trump verrà condannato nei suoi processi, voi lo sosterrete lo stesso?”, hanno risposto: “”. Questi sono i cosiddetti repubblicani moderati. In realtà la segreta speranza dei repubblicani dell’establishment, quelli fedeli alla costituzione, è che a Trump venga impedito di partecipare alle elezioni dal meccanismo giudiziario, in modo che non sia colpa loro. Questo potrebbe far emergere un candidato diverso che sfidi Biden. Fra i candidati alla nomination ora si parla molto di Nikki Haley, ex ambasciatrice all'Onu ed ex governatrice del South Carolina, ma i consensi per lei rimangono lontanissimi da quelli di cui gode Trump.

In tutto questo il pilastro più solido dell’assetto istituzionale sembra essere la magistratura nei suoi livelli iniziali e intermedi, non la Corte suprema. Le quattro indagini su Trump sono state avviate, i giudici hanno fissato le date delle udienze, i processi saranno decisi da una giuria popolare, malgrado gli attacchi feroci di Trump e dei suoi seguaci, anche con minacce di morte nei confronti di procuratori, giudici, e giornalisti.

Quanto alla Corte Suprema, Trump ha potuto nominare ben tre giudici su nove, e naturalmente non ha scelto dei giuristi indipendenti. In teoria è possibile che la Corte suprema privilegi gli interessi del partito repubblicano rispetto a quelli di Trump e usi il XIV emendamento per mettere fine alla sua carriera politica, ma non ci credo molto. Una parte delle élite americane sarebbe lieta di poter difendere i propri privilegi senza l’ex presidente. Ma né Trump né alcuni milioni di iscritti alla sua setta sono d’accordo. E questo è il fattore esplosivo.

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Fabrizio Tonello è docente di Scienza politica all’Università di Padova.

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