E la casa?
Un antico problema lasciato marcire. Che, con le disuguaglianze crescenti, sta diventando drammatico.
Il servizio alle pagine precedenti evidenzia il disastro della gestione dell’Itea. Che fa del male – e tanto – ai poveri inquilini, che dovrebbe assistere. Ma anche alle sue stesse casse, cioè ai soldi pubblici.
Vale la pena di vedere meglio, come si è arrivati a questo punto. Perché l’incuria dell’Istituto non riguarda solo – e non è cosa di poco conto - la gestione degli immobili, ma è sirena di allarme della deriva intrapresa dall’Istituto stesso. E, allargando il discorso è parte di una drammatizzazione del problema casa, colpevolmente lasciato a se stesso (o meglio, alle dinamiche del mercato) con risultati ormai molto preoccupanti. Per l’insieme della società.
Partiamo da Itea. Che era stata una delle grandi realizzazioni (“intuizioni” dicono i troppi agiografi) di Bruno Kessler, allo scopo di venire incontro alla domanda di casa degli strati meno agiati della società, soprattutto di fronte all’industrializzazione del trentino e alla conseguente urbanizzazione della popolazione.
L’Istituto, gestito da tecnici di spessore, si rivelò molto efficente, arrivando a realizzare migliaia di alloggi pubblici. Certo, c’era chi remava contro: tutti quegli alloggi a prezzi ridotti fungevano da calmiere al costo degli affitti. E l’ideologia neoliberista, lentamente diventata egemone, non vedeva di buon occhio questo espandersi dell’aborrito settore pubblico. Per di più ai danni del settore dell’edilizia e dell’immobiliare, da sempre in stretta simbiosi con la politica (vi siete mai chiesti come mai voi dovete sudare le sette camicie per aprire una finestra nella vostra casa, mentre invece i grandi costruttori ciclicamente riescono nell’impresa di sventrare territori protetti? Pazientate, a questo dedicheremo il prossimo numero di QT).
Di qui la perdita di velocità di Itea. “Gli inquilini di una certa età sostengono di aver avvertito un declino nella gestione degli appartamenti, e quindi nella gestione dell’ente, a partire dalla sua trasformazione in società per Azioni” ci dice Manuela Faggioni, segretaria del Sunia (sindacato inquilini e assegnatari). Per la cronaca, il passaggio a Spa fu fortemente voluto e nel 2005 realizzato da Lorenzo Dellai.
In parallelo su un altro fronte andava avanti uno svuotamento dell’ente, che drammaticamente si riflette sulla gestione odierna: la cessione degli appartamenti agli inquilini attraverso la formula del “riscatto”.
Dopo un certo numero di anni si dava all’inquilino la possibilità di comperare, con una cifra molto modesta, l’appartamento. L’Istituto perdeva la proprietà, l’inquilino e il politico promotore (che si costruiva una base clientelare) ci guadagnavano, alle spalle della collettività. L’Itea, se voleva venire incontro ai ceti disagiati, si trovava nella necessità di continuare a costruire, e non sempre i soldi c’erano. E soprattutto negli edifici con appartamenti pubblici e anche altri a riscatto si dava luogo alla confusione amministrativa spiegata nell’articolo precedente, con le disastrose conseguenze illustrate.
Queste le premesse. Negli ultimi anni la disaffezione verso il pubblico, da tempo operante, e diventata egemone negli ultimi anni, ha portato ad un ulteriore appannamento dell’Istituto.
Si vede nel grafico 1. Negli ultimi venti anni si sono costruiti (o ristrutturati) molti meno alloggi che non nel quindicennio1986-2000,come pure nel precedente1970-1986. Ma i dati che evidenziano l’affanno di Itea sono quelli del grafico 2. Ogni anno vengono “riconsegnati” alloggi, perché gli inquilini cambiano residenza, o muoiono, oppure (meglio) hanno fatto soldi, e non rientrano più nei limiti di censo richiesti. Al contempo ci sarebbero nuovi inquilini che di un alloggio hanno bisogno, ma Itea non riesce a rimettere in circolazione, dopo gli opportuni interventi, gli alloggi riconsegnati. Il grafico ci rende conto di questo perdurante gap, e diverse persone lo testimoniano: alloggi liberi, ristrutturati ma lasciati vuoti, per anni.
Ce lo conferma Faggioni: “Accadono cose semplicemente assurde, a iniziare dai tempi delle prese in carico: se si libera un appartamento, passa moltissimo tempo prima che arrivino i tecnici Itea per il sopralluogo. Sono pochi per visionare 10.000 appartamenti? Ma allora se ne assumano altri, non si può lascare la gente senza casa, le case a marcire vuote, l’istituto che non incamera gli affitti”.
Così siamo nella situazione per cui degli oltre 10.000 alloggi gestiti da Itea nel 2019 il 9,4% era sfitto, l’anno dopo il 10,2 e poi l’11,9 e nel 2022 il 13,4. L’inefficienza sta crescendo.
Risultati? A fronte di 2726 nuclei famigliari che abbisognavano di un alloggio a canone sostenibile, si è data una risposta positiva solo al 10%. Il rimanente 90% si arrangi.
Così la tenuta sociale si incrina.
Il perché della crisi
Come mai questo bisogno di casa? Ci sono dinamiche diverse. La prima è l’impoverimento. I salariati in Italia, e ancor più nel ridente Trentino, da trent’anni perdono potere d’acquisto. L’aumento delle disuguaglianze ha questo risultato: la pressione sugli alloggi a canone sostenibile.
La seconda è la polverizzazione della famiglia: quella allargata non esiste più, gli anziani autosufficienti e soli occupano almeno un bilocale, ogni divorzio o separazione comporta la ricerca di un’abitazione.
Poi ci sono le dinamiche in sé positive: a iniziare dalla crescita dell’università ad esempio, in quantità e qualità. A Trento due terzi dei 17.000 studenti sono dei fuori sede e costituiscono un’ampia, competitiva concorrenza sul mercato degli affitti. Poi c’è il turismo, con i Bed & Breakfast che si sono espansi a macchia d’olio: nelle località turistiche, a Trento, a Rovereto. Nelle città si ristruttura alla grande, trasformando appartamenti prima destinati all’affitto in piccoli studentati oppure in B&B.
Qualche proposta
Una situazione di conseguente disagio in crescenti strati della popolazione. Se ne è fatto interprete lo Sportello Casa per tutt*, articolazione del Centro sociale Bruno.
E in consiglio provinciale Paolo Zanella (di Futura, poi confluito nel PD, ha presentato un’ampia, articolata analisi del problema, assieme a diverse articolate proposte. “Che hanno, ce ne rendiamo conto, un impatto serio sul bilancio pubblico – ha detto – Ma la spesa in edilizia pubblica è crollata negli ultimi anni. E la casa è un bene primario, cui bisogna ripspondere.”
Le proposte di Zanella e dei colleghi di minoranza, non prevedono solo inevitabili maggiori spese. Ma anche azioni a costo zero, che correggano alcune macroscopiche distorsioni. A iniziare da un serio contrasto agli alloggi sfitti (circa 10.000 rilevati nel 2018 nel solo capoluogo): forte aumento della tassazione, incentivi per promuovere il canone concordato, fondo per garantire i proprietari da eventuali morosità. Poi una regolamentazione e un’adeguata tassazione degli affitti turistici brevi (cui invece la scorsa giunta Fugatti 1 aveva tolto l’IMIS).
Come ha risposto Fugatti? Se ne è fatto un baffo?
No, questa volta ha proclamato la casa il primo obiettivo della sua giunta. Non sappiamo se alle parole seguiranno i fatti; comunque, se Fugatti se ne accorge, vuol dire che il problema è proprio grave.