Ma in val di Cembra si minimizza
A Trento don Ciotti sprona ad essere “cittadini responsabili”, in valle c’è chi addirittura nega che “Perfido” si sia concluso con delle condanne. Gli esiti di un’ordinanza buonista e del boicottaggio dell’informazione.
Il numero di settembre di QT, sul quale era illustrata la sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Assise di Trento nei confronti di otto imputati del processo “Perfido” non è mai comparso sull’espositore dei giornali presso la Famiglia Cooperativa di Lases.
Non è la prima volta che la rivista mensile (inviata in 5 copie il 9 settembre) viene resa lo stesso giorno come invenduta; così come non è la prima volta che un giornale recante notizie scomode venga in qualche modo reso invisibile. Non penso si tratti di una autonoma iniziativa del personale, o almeno non all’insaputa di chi dirige e presiede la locale cooperativa di consumo Albiano-Lases. Il suo presidente infatti è Roberto Gilli, che si è reso protagonista di numerosi episodi di discredito e vera e propria diffamazione del Coordinamento Lavoro Porfido mediante messaggi sui social. Anche ultimamente ha rilanciato il testo di una lettera anonima, premettendo di condividerne il contenuto, nella quale si cercava di screditare il Clp avanzando anche il dubbio sull’esistenza di suoi finanziatori occulti (per scopi evidentemente altrettanto inconfessabili).
Questi fatti possono farci capire quali risultati ha avuto, al di là delle probabilmente buone intenzioni, la recente ordinanza del presidente della stessa Corte d’Assise che ha condannato gli 8 imputati di “Perfido”.
Il dott. Carlo Busato, infatti, ha emesso un’ordinanza in base alla quale l’”amministratore delegato” della (presunta, fino a giudizio della Cassazione) locale ‘ndranghetista Giuseppe Battaglia, da lui appena condannato a 12 anni di carcere, non dovrà più sottostare all’obbligo di dimora in provincia di Cuneo, bensì nella più vicina Ospedaletto, da dove è inoltre autorizzato ad allontanarsi per andare a lavorare in una ditta di porfido che opera a Fornace, ossia a un tiro di schioppo da Lona Lases.
Non discutiamo le ottime intenzioni di Busato, che conferma la sua fama di persona gentile, di giudice dalla mano leggera. Però qui siamo di fronte ad un caso in cui la magistratura non fa i conti con la realtà, e con gli effetti sociali delle sue decisioni (non a caso non condivise dalla Pubblica Accusa).
Infatti il risultato è che i cittadini di Lona-Lases si vedono Giuseppe Battaglia ritornare - con i timbri dell’autorità giudiziaria - nella zona, e nell’attività in cui aveva spadroneggiato. Nel paese frastornato, viene quindi avvalorata la versione per cui “Perfido” era una montatura, non è successo niente, comandano i soliti. Si fa addirittura insistentemente circolare la voce che vuole il processo concluso con l’assoluzione di tutti gli imputati, almeno per i reati più gravi di associazione mafiosa e riduzione in schiavitù.
Nessun amministratore locale ha ritenuto di porre all’attenzione quanto emerso nel processo e tanto meno di dibattere l’argomento all’interno dei Consigli comunali. Men che meno se ne è discusso a Lona-Lases, dove nell’edicola si sabota Questotrentino, e dove il commissario straordinario (ed ex questore) dott. Alberto Francini si è fin qui guardato bene dal promuovere quel percorso di informazione/formazione per la cittadinanza richiesto (e offrendo la fattiva collaborazione) dal Clp nel dicembre dello scorso anno, subito dopo il suo insediamento.
Una necessità evidenziata nel primo punto del “Manifesto di Monte Sant’Angelo”, approvato nell’assemblea di Avviso Pubblico del 4 e 5 maggio scorso (dal titolo: “La cultura come antidoto alle mafie”), nel quale si afferma la necessità di intraprendere “iniziative di promozione della cultura della cittadinanza attiva e responsabile”. Non la pensa così evidentemente il commissario Francini, che nulla ha fatto in tal senso (anche l’annunciata apertura della biblioteca si è rivelata una operazione farlocca); ragion per cui siamo ben lungi da quella consapevolezza che sarebbe necessaria per una ripresa della vita democratica e non solo a Lona-Lases.
Per una cittadinanza responsabile
La massiccia partecipazione all’iniziativa di Trento con la presenza di don Luigi Ciotti e la coinvolgente rappresentazione teatrale dei ragazzi dell’Istituto “Martino Martini” ha però segnalato, fuori dalla zona del porfido, una attenzione ed una consapevolezza ben maggiori.
Attenzione e consapevolezza che, ancora una volta, non trovano corrispondenza nella disattenzione da parte dei rappresentanti politici provinciali che, pochi giorni prima, si sono dimostrati del tutto insensibili alla questione respingendo (come un vero e proprio muro di gomma) la proposta di istituire un Osservatorio avanzata dal consigliere Alex Marini.
Tuttavia noi (parlo anche a nome del Clp) siamo immensamente grati a don Luigi Ciotti per essere venuto a Trento, nonostante i numerosi impegni (e la sua visibile stanchezza), spronandoci ad essere “cittadini responsabili” e andando, nel suo intervento, ben oltre il tema “mafia”. Non casuale il suo riferimento alla vicenda del Vajont con un presidente del Consiglio (Giovanni Leone) che prometteva giustizia per le vittime e, dismessi i panni di capo del Governo, divenne poi avvocato difensore di chi quel disastro causò, per essere successivamente eletto Presidente della Repubblica. Così come non casuale ci è sembrata la citazione da parte di Ciotti di don Luigi Sturzo (siciliano e fondatore del Partito Popolare), che all’inizio del Novecento affermava come la mafia operante in Sicilia avesse la propria testa a Roma.
Il tema del lavoro
C’è poi il discorso del lavoro e dello sfruttamento, questione centrale (anche se spesso invisibile), in una società che mette al centro il profitto e l’arricchimento individuale (calpestando in tal modo l’art. 41 della Costituzione). Questo, unitamente alla massiccia finanziarizzazione dell’economia (che rende meno visibili i rapporti sociali di sfruttamento), ha indubbiamente dilatato lo spazio entro il quale si possono creare “connessioni profittevoli” tra economia legale e illegale, tra impresa capitalistica e impresa criminale, tra borghesia e “borghesia mafiosa”.
Anche nel settore del porfido, nonostante la derubricazione del reato da “riduzione in schiavitù” a “caporalato”, sono attestate le condizioni di brutale sfruttamento dei lavoratori (in buona parte immigrati extracomunitari) e non solo nelle aziende direttamente controllate dai soggetti condannati per associazione mafiosa; quasi tutti hanno approfittato della debolezza di questi lavoratori e dell’acquiescenza sindacale che tutt’oggi permane.
Significativo il fatto che mentre la Fiom-Cgil ha pubblicizzato l’iniziativa di Trento di cui parliamo, le organizzazioni di categoria che dovrebbero rappresentare i lavoratori del porfido si sono ben guardate dall’informare i propri iscritti (e i lavoratori del settore in generale) su quanto emerso in un processo nel quale erano pure costituite parte civile. Un’antimafia di facciata che non solo non serve a nulla, ma contribuisce ulteriormente a rendere meno visibile un fenomeno assai pericoloso per la vita civile e democratica.
Ricordando Daouda Diane, migrante e mediatore culturale (attivista dell’Usb) scomparso poco più di un anno fa (2 luglio 2022) in un cementificio di Acate, nel ragusano, dopo aver documentato col suo telefonino le pesanti e insicure condizioni di lavoro, don Ciotti ha riannodato i fili di una lunga e dolorosa storia. Grazie di cuore, don Luigi.
.