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QT n. 9, settembre 2021 Servizi

Centraline: i sindaci fanno fronte

Michele Bertolini di Vermiglio: "I Comuni funzionano con i soldi dell'idroelettrico: non possiamo perderlo"

Messi in fila sono i sindaci di mezzo Trentino: c’è tutta la val di Sole, la val di Non, qualcuno delle Giudicarie e Ledro, tutta la Bassa Valsugana, il Primiero e la val dei Mocheni. Sono 43 primi cittadini che il 28 luglio scorso hanno scritto una lettera alla giunta provinciale pregandola in ginocchio di fermare la valanga normativa messa in moto dalla giunta stessa quando mesi fa ha deciso di sottoporre anche le centrali elettriche dei piccoli comuni ai meccanismi stritolanti della messa a gara per il rinnovo delle concessioni. Primo firmatario - ma solo per ordine geografico, precisa lui - era il sindaco di Vermiglio, Michele Bertolini.

Michele Bertolini, sindaco di Vermiglio

A lui abbiamo chiesto di spiegarci in dettaglio la situazione del suo Comune (che a grandi linee corrisponde a quella di molti altri).

Quante centraline ha il Comune di Vermiglio?

“Noi abbiamo due centrali a cui fanno capo tre concessioni idroelettriche. La prima è Stavel con due concessioni: una storica di cui il Comune è proprietario dal 1919, realizzata in tempi di guerra e data al Comune in conto danni; la seconda, più recente, del 1989. L’ultima è del 2016, una piccolina, sotto i 220 kw, che sta sull’acquedotto comunale”.

Queste due centrali quanto vi rendono all’anno?

Più o meno 500 mila euro, anche se la cifra varia a seconda del prezzo dell’energia. Ed è un’entrata extratributaria che nel bilancio va a finanziare la parte corrente. Ovvero spese come gli stipendi ai dipendenti, lo sgombero neve, la manutenzione ordinaria di acquedotto, fognature e strade forestali. Con questi soldi non si fa il programma del sindaco in carica, ma sono la base dei servizi”.

Lei sa quanto ricavano complessivamente i Comuni trentini dalle loro piccole centrali idroelettriche?

Nessuno ha fatto i conti e credo che la Provincia non abbia idea di questa cifra. La mia stima, molto all’incirca, è che siamo sui venti milioni l’anno”.

Quanto pesa mezzo milione sul bilancio del vostro Comune?

“Circa il 20 per cento”.

Quanto vi resterebbe di questo mezzo milione se doveste ricevere il solo canone di concessione?

Siamo nell’ordine dei 40 o 50mila euro”.

Se non si trovano soluzioni, il Comune parteciperà alla gara?

Certo”.

Voi avete idea di chi potrebbe essere interessato alle vostre centrali?

Ci sono già tanti privati che in Trentino gestiscono centraline e hanno sia il know how che il personale. Questo in primis, ma poi io guarderei anche fuori. Con bassi costi di manutenzione e gestione si hanno grossi introiti. La preoccupazione è che vengano anche da fuori”.

Quel che non ha prezzo

In paese che reazione c’è stata alla prospettiva di poter perdere le centrali?

“È chiaro che il mio prendere posizione è dovuto anche al fatto che lo voleva la mia comunità. Gli amministratori per primi si sono preoccupati capendo subito le implicazioni per il bilancio, ma poi fai ragionamenti anche con la comunità e va detto che a Vermiglio la centrale è sentita in un modo molto forte. L’anno scorso abbiamo investito quasi un milione di euro per cambiare i quadri elettrici e sistemare varie cose: nella certezza di avere un rinnovo, abbiamo fatto un investimento importante. La comunità crede in questo perché sa benissimo che altrimenti non potremmo fare le cose normali, quindi la questione è molto sentita”.

E cosa succede con l’acqua? Le persone sono preoccupate?

“La mia preoccupazione in merito per adesso non riguarda Vermiglio, perché la nostra concessione sull’acquedotto scade tra molti anni. Ma ci sono molti comuni che hanno la centralina sull’acquedotto. Se queste centraline vengono messe a gara, ci sono poi le opere accessorie, perché la norma dice che il concessionario entrante, se non è il Comune, può acquistare, sulla base di una stima fatta dal Comune, tutte le opere. Queste prevedono opere di presa a monte, tubature, turbine ed edificio centralina. Poi una volta turbinata, quest’acqua va nel vascone dell’acquedotto e va a servire gli edifici. Quindi se il Comune perde la concessione, vuol dire che ha perso l’acqua. E oggi il primo obiettivo che ho è che i miei cittadini abbiano acqua pulita, buona, analizzata. In quel momento lì invece sarà il privato che farà energia. Potrebbe quindi tralasciare - anche se certamente in legge saranno posti obblighi - questa cura dell’acqua. La comunità quindi perde la sua forza sull’acqua. E lì sì che mi preoccupo tanto”.

Il fronte dei sindaci

I 43 firmatari della lettera costituiscono un gruppo del tutto traversale, politicamente. Sono sindaci preoccupati per il futuro dei loro Comuni e cercano soluzioni. Michele Bertolini ha alcune idee in merito.

“Più che altro, secondo me, ci sono due strade: o si risolve la questione a livello politico centrale a Roma e a Bruxelles o si va in gara. E in gara ci sono ancora due strade che, ora come ora, apre la legge: la prima è che il Comune partecipi alle gare anche se non c’è ancora il regolamento attuativo della legge e quindi non si sa bene cosa si potrà fare. Da qui al 2024 la Provincia dovrà fare il regolamento ed è lì che si capirà come i Comuni potranno partecipare. La seconda è l’azionariato pubblico-privato inserito nella legge. Nell’ultima modifica c’è scritto che non serve gara d’appalto per la concessione se c’è un partenariato pubblico-privato in cui il privato venga scelto con metodi di trasparenza. Anche qui però va regolamentato: non escludo che possa essere una strada, ma va capito chi è il pubblico: se il Pubblico è la Provincia o è il Comune”.

Al fondo però c’è una questione: se io Comune ho una cosa che funziona e mi dà soldi, perché devo darla via?

Condivido. La risposta che mi sono dato io - dopo un primo momento di rabbia, poi ci si ferma ad analizzare - è la logica della direttiva Bolkenstein che dice che tutte le cose ‘finite’ non possono essere date in mano a un concessionario unico per sempre. Io leggo questa cosa così: ci sono dei luoghi in cui quando questa cosa è in mano a un solo soggetto non ci sono investimenti, non c’è una corretta gestione. Quindi l’Europa dice: mettiamo a gara per aumentare gli investimenti.

Trasportata sul mio caso però dico: noi abbiamo sempre fatto l’opposto. Abbiamo sempre tenuto molto a questa centrale, la sentiamo di Comunità. Facendolo diventare un valore aggiunto che dà servizi essenziali alla comunità. Ho un bene pubblico come l’acqua e lo utilizzo per migliorare i servizi alla comunità. Questo qualcuno deve spiegarlo in primis all’Europa”.

Secondo lei questa giunta ha voglia di fare questa battaglia?

Dopo la lettera dei sindaci, siamo stati invitati ad una riunione in cui abbiamo palesato le nostre preoccupazioni. In quel momento sia Tonina (assessore competente, n.d.r) che Gianmoena (presidente del Consiglio delle Autonomie, n.d.r.) nonché i dirigenti si sono impegnati a fare un approfondimento e a fare loro questa tematica. A parte la contingenza del momento in cui è stata fatta questa legge su input degli uffici tecnici, ora è un tema che unisce tutti. E deve unire tutti. E’ stato fatto qualche errore di comunicazione all’inizio e non si è parlato con tutti i sindaci interessati al rinnovo della concessione, ci siamo poi scontrati e infine anche parlati. C’è l’impegno a cercare di trovare una soluzione anche alternativa alla legge. Ogni politico, ogni amministratore che c’è adesso deve prendersi a cuore questa battaglia perché è una bella battaglia a favore del territorio”.

Non si capisce ancor oggi però perché la giunta abbia deciso di fare questa legge

“Ci hanno spiegato che la strategia usata dalla Provincia è stata: piuttosto che vadano in gara subito, facciamo una norma che allontana questo orizzonte di qualche anno. Orizzonte che per ora è al 2024 e ci hanno detto di interlocuzioni con lo stato per poter arrivare, mi pare, fino al 2027. In questo lasso di tempo si cerca, su tavoli europei e romani, di trovare una soluzione perché non vadano a gara. Che è quello che mi auguro. Oppure avere il tempo in alternativa di trovare una strategia, ma anche locale, che coinvolga Comuni, Provincia, la cooperazione. Abbiamo adesso questa normativa sulle cooperative energetiche, le comunità: perché non studiare e far funzionare una normativa per cui la parte privata, quel 30 per cento, possa essere una cooperativa energetica della comunità? Io faccio fatica a concretizzare questa idea tecnicamente. Ma strade se ne aprono, basta tener presente qual’è il fine: che le concessioni rimangano sul territorio. Che sia al Comune direttamente o alla cooperativa che poi la utilizza ancora per fare lavori pubblici. L’importante è uno strumento che permetta alla comunità di stare in piedi”.