Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Storie di animali

Fugatti animalista su Facebook, un boomerang comunicativo. E le aquile avvelenate dalla sbadataggine dei cacciatori

Maurizio Fugatti col cane

È il 16 aprile quando si apprende che il Tar di Trento, rispondendo ad un ricorso presentato dalle associazioni animaliste, ha confermato la prigionia dell’orso M57 nella struttura del Casteller, ma al contempo ha bloccato l’ordinanza di Fugatti che imponeva la cattura di un altro orso (J14). Il medesimo giorno (toh!), sulla sua pagina Facebook, il presidente della Provincia pubblica un post, addobbato con una decina di faccine e cuoricini, così concepito: “Chiedo alle persone che sono innamorate degli animali di unirsi alla sfida (?, n.d.r.) di pubblicare una foto dei loro amici a quattro zampe per combattere l’abbandono. Solo una foto, nessuna descrizione. L’obiettivo è inondare Facebook con foto positive (?, n.d.r.) dei nostri adorati animali. Io ci sto”. Acclusa, un’immagine del governatore che coccola un cagnolino.

L’inondazione auspicata da Fugatti avviene (mentre scriviamo, siamo a circa 2.000 commenti), e ci sono sì tante fotografe di cani e gatti, inviate da padroni felici di poter diffondere l’immagine della loro bestiola, Ma sono altrettante se non di più le foto di orsi, accompagnate da commenti indignati quando non insultanti:

“Ma non si vergogna? Eccola la foto di un animale che sta soffrendo per colpa sua!”

“Per lei solo una definizione: ipocrita”.

“Lei pensa che le persone siano stupide vedendo questa foto ‘riparatrice’?”

Più efficaci, però, le considerazioni di tono ironico: “Ma il cane è suo o gliel’hanno prestato per la foto? Se è suo, allora c’è un barlume di speranza”.

“Considerato che il 1° aprile è passato, credo le abbiano hackerato il profilo. Diversamente, questo è un post sulla scia dei miseri tentativi della Lega di racimolare voti tra gli animalisti”.

“Ma lei non era quello che voleva fare le grigliate con carne di orso, specie protetta, prima di essere stoppato dai NAS? Un po’ di pudore, suvvia!”.

“Comunque un plauso a chi ti ha consigliato questo post: un vero esperto di marketing e pubbliche relazioni”.

Quest’ultima valutazione ci sembra la più azzeccata. In questa circostanza l’improntitudine di Fugatti è clamorosa: motivare quel post melenso tirando in ballo il contrasto all’abbandono degli animali - tanto più in un periodo di mezza reclusione in cui cani e gatti sono più preziosi – è patetico. Insomma, la “Bestia” (inteso come responsabile della comunicazione) di Fugatti l’ha fatta grossa.

Aquile avvelenate

Passiamo ora dalle sciocchezze alle cose serie e dai mammiferi agli uccelli con un articolo de Il Dolomiti del 15 aprile, che riporta i risultati di una ricerca condotta per oltre 10 anni dal Parco Nazionale dello Stelvio e dalla Provincia di Sondrio, che potremmo riassumere brutalmente: spari a un capriolo e ammazzi anche un’aquila.

Leggiamo: “Su un campione di 252 aquile reali e avvoltoi raccolti feriti o morti in un’ampia area dell’Europa centro-meridionale, il 44% mostrava valori cronici di piombo sopra il normale, il 26% aveva livelli da avvelenamento clinico. La causa più comune sono i frammenti di proiettili che finiscono nelle viscere degli animali colpiti dai cacciatori e lasciate sul posto, di cui poi si cibano i rapaci”.

L’avvelenamento, “che sta provocando una strage silenziosa”, si manifesta con problemi di equilibrio, incapacità di coordinarsi al volo, paralisi degli arti inferiori. Enrico Bassi, ornitologo del Parco dello Stelvio e coautore dello studio, racconta: “È capitato che un gipeto atterrasse sui tetti degli abitati di Bresimo e di Rabbi prima di lasciarsi catturare esausto e più volte abbiamo osservato aquile reali sostare per diversi minuti su tetti e davanzali di case o all’interno di capannoni. Si tratta di gravi alterazioni comportamentali causate da una fase di avvelenamento acuto. A Panchià, ad esempio, è stata trovata un’aquila reale a bordo strada, con la testa infilata in un tombino e le zampe dirette verso il cielo. Nel suo fegato abbiamo riscontrato 22mg/kg di piombo e 38mg/kg nello scheletro”.

E quando non uccide, l’avvelenamento da piombo provoca comunque una maturità sessuale ritardata e un conseguente basso tasso di riproduzione.

In Trentino, le aquile reali morte ed analizzate sono state recuperate nel capoluogo, a Trambileno, Madonna di Campiglio, Panchià, Mavignola di Pinzolo, Campitello di Fassa, Tesero, Predazzo e Vermiglio.

Rimedi? I cacciatori che tolgono le viscere alle prede uccise, dovrebbero seppellirle, ma non tutti lo fanno; l’unica sarebbe vietare – se non la caccia - almeno l’utilizzo dei proiettili in piombo.