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“Uomini, fate il vostro gol!”

Il difficile contrasto al turismo sessuale in Brasile, favorito sì dalla povertà e da un consumismo esasperato, ma anche da una mentalità che nel sesso non vede il peccato..

Renzo Maria Grosselli

Un mese fa la Polizia Federale ha offerto al pubblico brasiliano la testimonianza di quanto siano ancora diffuse le pratiche del turismo sessuale. Persino nei giorni in cui il paese sta ripiombando nel dramma del Covid, ha ampiamente divulgato la notizia dell’arresto di un californiano quarantenne e di una signora, bianca, che stava vendendogli sua figlia quattordicenne in un hotel di lusso. Per non troppe centinaia di dollari americani. Dopo una trattativa via mail l’uomo sarebbe giunto a Rio con quel preciso e solo scopo.

Secondo l’organizzazione Childhood per la protezione dell’infanzia ogni anno il Brasile sarebbe teatro di 500.000 casi di sfruttamento sessuale di minori. Ma quella di ragazzine e ragazzini che si prostituiscono (o vengono fatti prostituire) rappresenta solo una delle possibilità del più ampio fenomeno del turismo sessuale nel paese che, fino a ieri, stava nell’immaginario collettivo mondiale come la terra delle mulatte, del futebol (leggi fucibòl) e del Cristo Redentore. Germania, Italia, Francia e Stati Uniti sono le scaturigini di questa fonte di reddito. E naturalmente la gente che sta in affari è alla base della piramide: club privati, hotel, agenzie che forniscono alla clientela colf e servizi alla persona. Ma anche organi di potere pubblico hanno contribuito molto a questa “fama” brasiliana. L’anno scorso la studiosa Marlene de Fáveri dell’Università dello Stato di Santa Catarina ha pubblicato il saggio “Welcome to Floripa”. Benvenuti a Florianópolis, la capitale dello Stato, uno dei più sviluppati in termini economico-sociali del Brasile. Bianco, italiano e tedesco in particolare. Trentino anche. I fatti da cui la scienziata sociale è partita riguardano un anno non lontano, il 2014, quando a Florianópolis venne organizzato l’incontro tra allenatori e tecnici delle squadre nazionali di calcio che si erano qualificate per i Mondiali brasiliani che di lì a poco avrebbero riempito gli stadi di Rio, S. Paolo, Belo Horizonte, Bahia. Con centinaia di giornalisti confluiti da tutto il mondo.

Bene, il maggior quotidiano locale, il Diário Catarinense, pubblicò per l’occasione, e per dare il benvenuto ai convenuti, un inserto speciale. Accadeva dopo mesi di dibattito, tra pubblico e privato, per trovare i modi più consoni di pubblicizzare una città e un ambiente naturale, storico e culturale tra i più interessanti di un paese-continente che si sviluppa su 8,5 milioni di chilometri quadrati ed oggi conta 220 milioni di abitanti. L’inserto in copertina portava la pubblicità di un night, il Bokarra Club, con immagini di donne in “pose erotiche, nell’evidente volontà di apologia del turismo sessuale”.

Quella scelta diede il via ad un dibattito forsennato che segnò la storia del giornalismo in Brasile ma che diede anche l’idea di quanto una parte della società civile volesse smarcarsi da questo cliché. E di quanto il movimento femminista fosse avanzato sulla via della liberazione della donna. Proprio in quegli anni la polizia federale stava chiudendo migliaia di siti che pubblicizzavano tutta l’ampia, sfaccettatissima offerta che il paese stava proponendo ai consumatori di sesso.

Qualcosa stava cambiando. Anche nel profondo. Molto lentamente. E questo soprattutto perché la ragione più importante che unisce gran parte delle classi sociali medie ed alte di questo paese è la volontà di perpetuare un sistema economico-sociale profondamente iniquo. A cui alle classi marginali, molto numerose, rimane solo la soluzione di mettersi in vendita: in un posto di lavoro spesso precario, con un orario talvolta impossibile, con un salario spesso indecente. Ma anche in un letto. O in club privé. Ma la vendita di sesso corrisponde pure a scelte di tipo culturale.

Il Brasile porta ancora nella sua cultura le tracce del sistema schiavistico che hanno caratterizzato la sua storia dal XVI secolo fino quasi alla fine del XIX. Ma soprattutto, come negli Stati Uniti d’America, anche il progetto delle classi dominanti immediatamente successivo alla liberazione degli schiavi, con la Legge aurea del 1888, non prevedeva l’inserimento graduale degli ex “forzati” nella società civile bianca. Gli ex schiavi hanno continuato a vivere ai margini e, pur con innegabili progressi nel corso 130 anni, continuano ancora a portarne i segni. Per i padroni delle fazendas, piantagioni di canna da zucchero o di caffè, lo schiavo era una merce: poteva essere venduta, regalata, affittata, torturata e senza troppi grattacapi anche uccisa.

Nella memorialistica e nella storiografia si ricordano, pur senza generalizzare, casi aberranti in questo senso. E basterebbe andare a gettare un occhio al Museu dos escravos de S. Mateus (Espirito Santo) per rendersene conto. Lì hanno ricostruito, su informazioni storiche precise, anche le cinture di castità per gli schiavi maschi. Una serie di anelli di metallo che avrebbero potuto imprigionare l’organo maschile. In condizione di riposo o anche no.

I neri erano solo dei corpi: da usare ed abusare. Anche sessualmente. Maschi e femmine, bambine e bambini. E la cultura dei portoghesi trapiantati, pur cattolica, non pareva dare troppa importanza al concetto che il sesso fuori del matrimonio potesse costituire un peccato. Non sono rari nella documentazione di archivio, i documenti che fanno intendere come preti e frati trentini ed italiani che giunsero in questo paese, considerassero molti loro confratelli nati in loco come dei libertini.

Poi il liberalismo sfrenato, il consumismo esasperato e l’edonismo portato all’estremo hanno fatto la loro parte sino ai nostri giorni.

Merce per tutti i gusti e tutte le tasche

Nella cultura popolare brasiliana, oggi la sessualità ricopre un ruolo non comune in altri paesi occidentali e ancor più in quelli cattolici. Qui è meno legata a concetti quali il peccato ed è vissuta molto più liberamente dalla gente. In ogni periferia di città o cittadina si trovano motel, per quasi tutte le tasche, in cui ci si può recare, appunto, per fare all’amore. Con entrata che difende l’anonimato. E talvolta uno specchio sul soffitto della stanza, o una micropiscina o, sempre, la televisione a circuito chiuso per stuzzicare la fantasia della clientela.

Non è solo un caso che il turismo sessuale sia ancora una pratica presente nel Brasile dei nostri giorni, specialmente nelle zone meno sviluppate, come il Nordest e il Nord. Dove in alcune città o stati, da Rio Grande do Norte e la sua capitale Natal, a Salvador, Fortaleza, Recife, è più facile che in altre trovare la propria “merce”. E se da una parte la coscienza femminile ha fatto passi avanti notevoli, la figura sociale della donna ricopre ancora spazi marginali nella vita politica e nel mondo economico.

Fino agli anni ‘90 era normale sulla stampa brasiliana, quella quotidiana e cartacea (che oggi sta scomparendo, almeno in Santa Catarina) trovare paginate di annunci commerciali che offrivano alla potenziale clientela servizi sessuali i più svariati: uno, due o tre, bionde e biondi, mori o mulatti, lui e lei, loro, di qui e di là, di su e di giù. E anche in altri modi. E talvolta dietro alla definizione “18 aninhos” si nascondeva la minore età del soggetto che si offriva. O veniva offerto. Del resto anche le agenzie turistiche europee mettevano e mettono in mostra fotografie di donne brasiliane, spesso nere o mulatte, con sorrisi a denti larghi e, come si dice qui, bumbum arrebitado (culetto sporgente)

Così, come ricorda Marlene de Fáveri, un marchio mondiale di scarpe e articoli sportivi pubblicizzava qualche anno fa in questa terra i suoi prodotti con una foto di belle ragazze, suppostamente disponibili, e l’invito ai maschi a fare “il vostro gol”. E su un gadget (una borsa) della Santur (Santa Catarina Turismo), compariva solo la parte bassa del corpo di una donna, pur con una gonna, con sullo sfondo la spiaggia e il mare.

Naturalmente anche dal Trentino è partita nei decenni una piccola o meno piccola schiera di maschi alla ricerca di avventure prezzolate. Racconti che parlano di gruppi di professionisti e dirigenti che ogni tanto un giretto a Rio se lo permettevano. E non per andarsi a vedere la città dall’alto, salendo sul Pão de Açucar, e nemmeno per salutare il Cristo Redentore. Ma addirittura anche di visite di operai ed impiegati che a Recife o a Rio trovavano modo, con pochi soldi, di godersi qualche aspetto della bellezza che sta in questo mondo. Il turismo di massa oltre ai luoghi, spiagge e montagne che siano, si mangia anche le coscienze.

Alla fine degli anni ´90 mi trovavo in una capitale di stato brasiliana. Mi aveva dato appuntamento un signore in un albergo 5 stelle. Che era anche la sede di una scuola alberghiera. In attesa di chi, cosa comune qui, mi faceva attendere, fui avvicinato da una splendida ragazza. Meno di trent’anni, mi approcciò con un sorriso aperto e una frase qualsiasi. Che ho scordato. Le risposi, mi specchiai nel vetro della porta di entrata e mi sentii un conquistadór. Lo fece di nuovo, ma poi si accorse o che non avevo capito, oppure che non volevo abboccare. Era una colf come anche noi in Italia abbiamo appreso a chiamarle in un periodo recente della nostra vita politica. Era stata contrattata da una agenzia per tenere allegra la clientela di un grande albergo. Perché comunque il potere nella società umana è nato proprio con la stessa divisione dei generi. E la donna, in questo, ha pagato dazio da subito.

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