LaVis: la resa dei conti
La Cantina, con l’ennesimo bilancio in grave perdita, passa a Cavit. Chi paga? E a quali condizioni?
La Cantina LaVis ha preso contatto con la dura realtà. Dopo gli anni della sbornia e dei grandi buchi, dopo quelli in cui si è cercato di negare l’evidenza, il presidente Pietro Patton ha deciso di prendere atto della situazione ed affrontarne le conseguenze.
La situazione, come da anni sosteniamo (e, quel che più conta, sostenevano i revisori) era molto peggiore di quanto descrivevano i pur pessimi bilanci sempre in perdita. Nonostante che fossero abbelliti da irregolari operazioni cosmetiche (per oltre 7 milioni, nel bilancio 2018) disvelate dai revisori. Nonostante per anni si avvalessero delle rinunce dei contadini, che conferivano l’uva a prezzi nettamente inferiori a quelli pagati dalle altre cantine. Nonostante ci fosse stato l’afflusso di fondi clientelari (10 milioni) graziosamente regalati dall’allora presidente della Pat Ugo Rossi.
Dunque Pedron ha deciso di mettere le cose a posto. Pagare il dovuto ai contadini (non c’era altra strada, pena un’ulteriore emorragia verso le altre cantine); e riconoscere come fasulle le poste indicate dai revisori. Risultato: il bilancio 2019 è un disastro. La LaVis va sbaraccata.
Come? Anzitutto attraverso la confluenza in Cavit; cosa non facilissima, perché Cavit non intende assumersi oneri da una Cantina che 15 anni fa era uscita dal consorzio portandosi dietro (in una gara al ribasso) il migliore cliente (l’importatore americano); e che poi aveva per anni fatto una concorrenza discutibile avvalendosi dei fondi dovuti agli appoggi politici (Dellai prima, Rossi poi). Quindi Cavit non fa e non farà sconti. Questo vuol dire che dell’ormai ex gruppo LaVis assorbirà volentieri il pregevole spumantificio Cesarini Sforza, che bene completa e valorizza la propria gamma di prodotti; assorbirà invece malvolentieri Casa Girelli, che realisticamente piloterà verso una chiusura soft, in quanto disinteressata all’acquisto, lavorazione e commercializzazione di vini extra regionali di fascia bassa. Sulla Cantina vera e propria invece i discorsi sono in corso, ma la linea è definita: LaVis entra in Cavit, quindi non si porta dietro una serie di attività che sarebbero doppioni, a iniziare dalla commercializzazione; ed entra pulita, cioè senza debiti. Cavit, insomma, è disposta a ricollocare il personale che risulterà ridondante, non a sborsare soldi.
Quindi, chi paga? A questo punto sembra che a pagare siano proprio le banche (e anche la finanziaria, cioè Isa). Di fronte all’eventualità per niente remota di un fallimento da cui non ricaverebbero niente, sembrano disposte a rinunciare a una grossa fetta dei loro crediti, peraltro già iscritti in bilancio come difficilmente esigibili.
Insomma, la storia della LaVis sembra conclusa.
Non è stata una bella pagina, dell’economia trentina, della politica, della cooperazione. Si sono viste all’opera le peggiori commistioni tra politica ed economia; si è data in mano un’azienda in crisi a persone pessime (il commissario Zanoni) o inadeguate (il commissario Girardi) ma contigue al potere (rispettivamente Dellai e Rossi). Centinaia di contadini hanno ricevuto, per anni, una remunerazione inadeguata al loro lavoro. Le iniziali caratteristiche innovative della Cantina – zonizzazzione del territorio, tentativo di coniugare grandi numeri e produzione d’eccellenza – sono state travolte e forse dimenticate.
L’unica speranza è che questa storia almeno insegni qualcosa.