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Com'è triste la montagna di Fugatti!

Stati generali della montagna: una preziosa occasione gestita male

Conclusi gli Stati generali della Montagna del Trentino, cosa rimane sui vari tavoli del confronto? Un evento importante, sottovalutato dalla cultura della sinistra. 72 incontri che hanno permesso di far emergere le criticità del territorio.

Si è trattato di una grande operazione di ascolto messa in piedi dal nuovo governo provinciale e tesa a raccogliere diffusi desiderata. Una ulteriore appendice delle campagne elettorali da poco concluse. Sicuramente efficace, perché i nuovi governanti hanno ora la possibilità di costruire una agenda di governo della quale probabilmente erano sprovvisti; e di ritornare nei luoghi che li hanno eletti mostrando una parvenza di efficienza. Un recupero di attenzione nei confronti delle valli che il centrosinistra autonomista sembra aver definitivamente perduto.

Ma se si voleva investire in una montagna protagonista del suo futuro, probabilmente l’obiettivo non è stato raggiunto: la montagna trentina ne è infatti uscita descritta come un territorio marginale, una sommatoria di lamenti, strutturata su una assenza di capacità di fare rete delle diverse economie, succube, in ogni settore, dei contributi di mamma Provincia, quindi di Trento. Una provincia destinata allo spopolamento, quando invece i dati affermano il contrario.

Si è descritta una provincia economicamente ferma quando ogni statistica dimostra invece vitalità.

Non è stato un caso che in alcuni gruppi di lavoro nelle periferie le attenzioni che i presenti rivolgevano agli assessori si riferissero esclusivamente alla disponibilità di fondi da stanziare in valle. Probabilmente qualche attore istituzionale non aveva compreso gli scopi del confronto. Non è stato nemmeno un caso che troppi protagonisti della vita delle periferie siano stati tenuti lontani dai confronti. La giunta si è preoccupata soprattutto di avere garantita la presenza degli amministratori e dei rappresentanti dei soliti poteri: albergatori, impiantisti, Confindustria e specialmente il mondo agricolo. Scuola, volontariato sociale e cultura ambientalista sono rimasti marginali; solo l’intraprendenza di alcuni soggetti è riuscita a ritagliarsi un qualche spazio, e in pochi territori. Infatti per seguire i lavori bisognava essere invitati.

Anche i tempi del confronto sono stati inadeguati. È stata una corsa frenetica: in tre mesi si doveva tracciare il futuro del Trentino. Un simile sforzo organizzativo meritava riflessioni più ponderate. Specialmente recuperando le sollecitazioni che potevano pervenire dalla università, o da una diffusione e quindi riflessione su importanti e recenti ricerche di EURAC e dati ISTAT.

A Comano è uscito il quadro di un Trentino triste, di una montagna dimenticata, che attende. L’analisi offertaci pochi anni fa in un suo lavoro da Christian Arnoldi può descrivere al meglio la cultura di chi ha promosso questa parvenza di Stati Generali. Ogni pagina del libro “Tristi montagne – guida ai malesseri alpini” potrebbe ben rappresentare il manifesto della cultura leghista.

Come ci si è descritti? Un Trentino incapace di progetto, privo di filiere portanti, un territorio dove si nasce sempre meno, e specialmente si invecchia. Approfondimenti più seri ci avrebbero detto che i territori montani delle due Province autonome sono quelli più strutturati di tutta la montagna italiana, grazie alla presenza di economie che dialogano fra loro (industria di qualità con grande vocazione all’esportazione, un turismo da regolamentare, specie dove è più aggressivo, statistiche su fatti criminosi ai minimi storici, servizi pubblici e formazione con standard sempre superiori alla media nazionale. A nostro avviso una analisi reale dello stato della nostra montagna non poteva che partire dai punti di forza oggettivi, e da questi pilastri ricercare percorsi di miglioramento, processi innovativi di sviluppo e di coesione sociale, ricucendo un legame tra valli e città e specialmente con l’Università e tutte le importanti sedi dei saperi delle quali disponiamo.

Invece ne è uscito un quadro di autoreferenzialità, una montagna chiusa in se stessa. Senza le sollecitazioni delle poche tracce di mondo ambientalista e lo spunto di ricercatori, temi come i cambiamenti climatici, una attenzione alle montagne a noi vicine, uno sguardo sull’Europa sarebbero rimasti completamente assenti. Sono temi strategici che non hanno avuto possibilità di essere approfonditi. Rimasti titoli.

I cartelloni con i titoli degli argomenti nelle discussioni dei gruppi
I cartelloni con i titoli degli argomenti nelle discussioni dei gruppi

Il Paese discute da tempo di montagne, ma il Trentino non se ne accorge

Eppure in Italia l’UNCEM (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani) da oltre un anno, affiancata dai ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente, ha lanciato la proposta degli Stati generali della montagna. Ai trentini non è stato detto che a novembre, a Camaldoli, altre associazioni concluderanno un impegnativo lavoro sulla rigenerazione della montagna italiana, che un po’ ovunque, da Tolmezzo (INNOVALP) a Brescia, dalla Val di Susa alla Val Maira, lungo tutta la catena appenninica, la montagna sta ritornando un attore protagonista della politica attaccando una disattenzione cronica dello Stato. Da anni l’associazione “Alleanza nelle Alpi” ha messo in rete le città alpine, le aree protette lavorano strutturate in Alp-Parks, in Italia è attiva la Rete delle montagne che comprende anche gli Appennini. Ovunque, siamo in presenza di una montagna che si risveglia, ricca di orgoglio, in diversi territori si ragiona partendo dalle buone pratiche che si sviluppano, sulla intraprendenza dei giovani. Insomma, è una montagna che cerca futuro e innovazione, strettamente legata alle città e priva di rancore verso chi le città le vive: di tutto questo in Trentino non c’è traccia.

Non si è discusso di EUSALP, cioè della costruzione di un progetto di governo della macroregione, ormai avviato alla conclusione, travolto da criticità. Una macroregione che dovrebbe avere per protagonista la montagna e che invece in Italia si fa schiacciare dai bisogni della pianura padana, da ambiti tutti governati dalla Lega. Una pianura che ha fame delle risorse delle montagne, che vuole fare delle Alpi una oasi ricreativa invernale e estiva, attraversata da grandi corridoi autostradali come la A27 e la A31.

Gli Stati generali della montagna trentina nemmeno hanno sfiorato questo tema che ci lega strettamente a progettualità europee. La responsabilità di queste assenze non è addebitabile solo al governo provinciale, ma anche e specialmente ad una stampa locale priva di curiosità, con giornalisti forse annoiati del loro lavoro. I quotidiani, con la lodevole eccezione del Corriere del Trentino, hanno negato in modo clamoroso ogni attenzione al lavoro svolto dal gruppo più produttivo e vivace, quello del paesaggio, dell’ambiente e della coesione sociale.

Sicuramente si è sbagliato il punto di partenza. Nonostante i tanti limiti, a Comano si è constatata una volontà propositiva: i gruppi hanno anche fornito una serie di indicazioni programmatiche di alto profilo, anche economico. Hanno messo in evidenza un obiettivo strategico, quello della ricerca assidua della qualità. E per avere qualità si deve - è stato ribadito - bloccare immediatamente il consumo di suolo. Si è quasi urlato un no alle seconde case (uno degli obiettivi strategici della Giunta Fugatti è il superamento della legge Gilmozzi). Si sono avanzate proposte su come recuperare anni di disattenzioni nella filiera agricola che andrebbe strettamente legata ad una offerta turistica più identitaria. Si è messa in rilievo l’importanza strategica delle aree protette e della conservazione attiva del territorio. Tutti i gruppi hanno rivendicato la necessità di mantenere attivi e funzionali i presidi dei servizi essenziali sui territori, certo riformandoli, ma non ricorrendo ad analisi spregiudicatamente ragionieristiche come quelle sostenute e imposte dal centro-sinistra. Si è offerta centralità a parole cardine come responsabilità e consapevolezza, limite, formazione diffusa, ruolo della conoscenza e specialmente al tema dei cambiamenti climatici in atto.

A questa azione propositiva ha fatto da contraltare il lavoro del gruppo governance e dello sviluppo.

Qui il Trentino ha mostrato il suo volto più chiuso. In presenza di una incapacità innovativa quasi cronica era necessario individuare dei nemici: la burocrazia (quindi anche i dipendenti pubblici) e i segretari comunali, che sono stati definiti un ostacolo strutturale. Non si è riflettuto sul fatto che l’eccesso di burocrazia è stato sostenuto da leggi votate in Consiglio provinciale dai politici, che norme fra loro contraddittorie (il livello nazionale trasferito alla autonomia locale) sono state alimentate da una autonomia incapace di semplificare, che una corretta, forte burocrazia e le figure dei segretari comunali sono strumenti di garanzia capaci di tutelare i diritti dei cittadini dalla invadenza troppe volte superficiale e incompetente di tanti amministratori pubblici.

Le conclusioni: 100 euro per ogni figlio

Il Presidente Fugatti ha cercato di mettere insieme una enorme mole di lavoro con delle conclusioni che ai più sono sembrate molto modeste. Non una parola è stata dedicata ai contenuti del gruppo ambiente. Per sconfiggere la denatalità (un tema assente dai titoli dei gruppi di lavoro), sembra essere sufficiente l’erogazione di un assegno di natalità, 100 euro al mese. Già più serio ridurre le tariffe degli asili nido, ma il tema, tanto delicato e preoccupante per tutto il nostro Paese (in piena decrescita demografica), per essere affrontato ha bisogno di ridisegnare, anche culturalmente, un più complesso sentimento sociale senza sfuggire dal tema dell’immigrazione. Il disegno programmatico del Presidente aggiunge attenzioni ai piccoli negozi che non andrebbero chiusi, al recupero di appartamenti ITEA da assegnare anche gratuitamente alle giovani coppie, a una fiscalità agevolata rivolta alle attività della montagna, a comunicazioni e trasporti fra centri e periferie più veloci, all’investimento nelle ferrovie, con una linea, quella della Valsugana, più efficiente e moderna e delle nuove tratte: la Rovereto-Riva del Garda e quella dell’Avisio, la Trento-Canazei, una grande opera del valore fra i 60 -80 milioni di euro.

Mentre in tutto il mondo si mette in discussione la cosiddetta tecnologia G5 che causa danni alla salute più volte documentati dalla letteratura scientifica, Fugatti indica in questo obiettivo una delle sue strategie innovative. È stato poi avvilente ascoltare la proposta della rivalutazione delle scuole professionali, più che necessarie, ma sostenute in contrapposizione a corsi più impegnativi quali sono i licei. Un percorso sostenuto da una indicazione politica precisa: meno laureati e più lavoro manuale; certo, la cura del territorio ha bisogno di manualità, ma perché questa non può essere sostenuta da conoscenze di alto profilo? Invece di impegnarsi a strutturare lavori di qualità nelle periferie si investe in un ulteriore impoverimento culturale dei territori periferici.

Nessuna risposta è stata data ai punti critici evidenziati dal gruppo di lavoro sulla coesione sociale e paesaggio, temi lasciati in sospeso ma ben evidenziati, temi che sono fonte di conflitti irrisolti da tempo: viabilità (nuove autostrade), grandi carnivori, aree sciabili, consumo di suolo, servizi sanitari nelle valli.

Nella riunione plenaria è stato anche messo in evidenza come si sia concluso un ciclo virtuoso nato da tre grandi idee degli anni Sessanta: la prima pianificazione urbanistica italiana, l’Università di Trento, l’Autostrada del Brennero. Si è detto in conclusione che il Trentino del futuro avrebbe bisogno di altri due grandi obiettivi che permettano un percorso innovativo di lungo periodo.

La risposta di Fugatti, sottolineata con enfasi, è stata: “Noi vogliamo che il Trentino di domani sia quello di ieri”. È detto tutto...