Il lupo reale e quello immaginario
“Al lupo, al lupo”: un’iniziativa di grande successo del MUSE che ha smascherato la belva sbandierata da Fugatti
Ogni anno il Servizio Foreste e Fauna della Provincia presenta un Rapporto sui grandi carnivori: un’ottima occasione per informare non solo gli addetti ai lavori sullo stato reale della presenza di orsi e lupi in Trentino. Quest’anno il rapporto era particolarmente atteso, visto che la giunta Fugatti andava parlando di problemi di “sicurezza” per la popolazione creati, oltre che dai soliti immigrati, anche dai carnivori, o meglio, dai lupi. Ci si chiedeva: su quali basi poggia questo allarme?
La presentazione del rapporto era prevista nella serata del 6 marzo al MUSE (e così ancora riportano i programmi del museo), ma poi l’assessora Zanotelli decideva di annullare questo ormai abituale appuntamento pubblico. La cosa metteva in stato di agitazione il variegato mondo ambientalista e non solo quello. Anche perché la cancellazione dell’evento assomigliava troppo a un atto d’imperio: i lupi sono diventati pericolosi, lo abbiamo deciso noi, non stiamo neanche a discuterne. Una messa in mora, anzi una sconfessione plateale del lavoro degli studiosi della fauna, in pratica zittiti.
A questa arrogante e ignorante pretesa è stata data una risposta forte: è stata organizzata una serata sostitutiva, a cura delle quattro associazioni (Legambiente, LIPU, Pan-EPPAA, WWF) presenti nell’ormai ex Comitato faunistico (abolito anch’esso d’imperio), tenuta il 13 marzo proprio al MUSE. “Al lupo, al lupo” il titolo dell’evento, seguito da un pubblico debordante, al punto che risultava stracolma non solo l’abituale sala conferenze, ma anche quella aggiuntiva, al piano superiore, dove si seguono gli interventi in videoconferenza.
I cittadini, in numero che andava molto oltre quello dei benemeriti ma soliti ambientalisti, davano con la semplice presenza una prima risposta all’arroganza dei nuovi potenti.
E forti e chiari erano anche i messaggi arrivati dai relatori.
Il ritorno del lupo sulle Alpi
Contrariamente a quanto talora si dice, i lupi si stanno espandendo sull’arco alpino in modo del tutto naturale e senza alcun intervento di re-introduzione pilotato dall’uomo. Il processo, iniziato grazie al piccolo nucleo di lupi italici presenti negli Appennini meridionali, ultimi sopravvissuti a secoli di stragi, è in corso da decenni ed è stato reso possibile da due fattori determinanti. In primo luogo, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il ritorno nei boschi, soprattutto in quelli delle aree protette e dei parchi nazionali, di numeri di ungulati (preda primaria dei lupi che per questo motivo sono eternamente in conflitto con i cacciatori) in quantità tali da consentire la crescita dei branchi e il loro continuo espandersi su nuovi territori. Espansione avvenuta prima risalendo verso nord l’Appennino e poi lentamente ricolonizzando le Alpi, a partire da ovest ed arrivando anche in Trentino.
In secondo luogo grazie ad una severa legislazione, sia nazionale che europea, che tutela la specie definendola “particolarmente protetta” proibendone la caccia in qualunque forma. Ed è seguendo questo percorso che alla fine il lupo è arrivato, in modo del tutto naturale appunto, anche in Trentino.
Le ronde
Contro il lupo si è avviata un’operazione di propaganda. Particolarmente deleteria, perché instilla nella popolazione l’dea che i lupi stiano letteralmente invadendo il Trentino e che rappresentino una seria minaccia per le persone. Questo è il passaggio chiave dell’azione propagandistica: si veicola il messaggio che ad essere in pericolo non è solo la sicurezza degli animali d’allevamento, ma anche delle persone: e quindi è logico, è giusto avere mano libera per sparare ai lupi.
Come abbiamo già rimarcato nel numero di marzo, le cose stanno diversamente e tutti i maggiori esperti lo hanno confermato: nei paesi come la Svizzera dove è consolidata la convivenza con il lupo, si sono studiate e messe in pratica modalità di intervento ormai collaudate. Sono riassunte in una tabella molto istruttiva.
In pratica i comportamenti del lupo vengono distinti in quattro categorie.
Nella prima il lupo “viene avvistato da una persona, osserva a sua volta, si allontana dopo alcuni secondi”, oppure “si avvicina a un insediamento al di fuori delle ore di attività dell’uomo (dalle 22 alle 6), costeggia l’insediamento”, o ancora “sbrana le sue prede o animali da reddito nelle vicinanze di una casa isolata abitata o di un insediamento in assenza di misure di protezione delle greggi”. Sono i casi capitati in Trentino, e per cui i nostri amministratori tanto si allarmano. Non si allarmano invece gli svizzeri, che prevedono solo maggiori informazioni alla popolazione e intensificazione del monitoraggio.
C’è poi una seconda categoria di comportamenti, in cui il lupo “costeggia un insediamento durante le ore di attività dell’uomo” oppure “si avvicina a persone con cani da compagnia, fino a distanza ravvicinata” (meno di 20 metri); comportamenti, dicono gli svizzeri, che “richiedono attenzione” ma niente di più.
Più gravi invece i casi in cui “il lupo si avvicina all’insediamento durante le ore di attività dell’uomo”, oppure “stabilisce la sua tana diurna nelle vicinanze di un insediamento” (distanza meno di 50 metri). Allora bisogna iniziare le azioni di dissuasione.
Solo la quarta categoria di comportamenti è considerata problematica: “Il lupo segue una persona nonostante i tentativi di allontanamento”, oppure “uccide un cane da compagnia in un insediamento”. Allora è meglio procedere all’abbattimento.
Come si vede, abbattere un lupo non è un tabù. È una cosa logica, ma solo in casi critici decisamente rari, e da cui i lupi trentini sono lontanissimi. Insomma, l’abbattimento, nel caso di insuccesso delle altre azioni, è previsto e codificato, ma solo a fronte di situazioni del tutto eccezionali, una speciale deroga rispetto alle pratiche di gestione abituale. Esso non richiede quindi leggi speciali o ulteriori deroghe alle norme, come invece pretendono i nostri amministratori.
Del resto che la presenza del lupo non significhi necessariamente problemi ed uccisioni di bestiame lo possiamo sperimentare già ora anche da noi. Si veda a tal proposito l’articolo apparso il 29 gennaio sul Trentino, a firma di Mauro Fattor, dal titolo esplicativo di quanto appena asserito: “In alta Val di Non i lupi che non fanno danni”.
Il rischio zero
Bisogna però essere chiari: il rischio zero non esiste. Ma questo ovviamente vale nei confronti di qualsiasi animale e non solo. Se fossimo razionali e sapessimo valutare in modo corretto il rischio, il problema lupo non dovrebbe neppure nascere tra i nostri pensieri. Come un po’ scherzosamente ha osservato uno dei relatori, ma a ben guardare si tratta in realtà di qualcosa di drammaticamente vero: il grande predatore dei nostri giorni è l’automobile. È davvero triste e sconcertante sapere che vi sono genitori preoccupati all’idea che i figli corrano dei rischi a causa dei lupi nei boschi e poi consentano agli stessi di girare sulle strade in motorino. Se è vero che il rischio zero non esiste è però vero che, con i lupi, ci siamo molto vicini.
Il confronto con le cause di morte a livello mondiale a causa di animali e dello stesso uomo è riportato nella tabella in alto. Dieci, nel mondo, sono in media gli uomini ogni anno uccisi da lupi. In massima parte si tratta di lupi che hanno contratto la rabbia, malattia oggi non presente in Italia: e un suo ipotetico ritorno attraverso un qualche esemplare di lupo infetto ne giustificherebbe l’immediato abbattimento a protezione di tutti, uomini e animali. Insomma, quel piccolo numero (dieci a livello mondiale) sostanzialmente non ci riguarda.
Comunque la tabella è istruttiva per altri dati: lasciando perdere gli animali che non esistono nel nostro territorio (e tralasciando le considerazioni sul tragico primato dell’uomo come killer dell’uomo, peraltro superato dalla minuscola ma più efficiente zanzara), appare evidente l’enorme divario tra le morti causate dai cani e quelle causate dai lupi, addirittura nel rapporto di uno a 2.500. Il che non deve indurre a strani sospetti verso i nostri tradizionali amici a quattro zampe; anche in questo caso la stragrande maggioranza delle morti umane sono conseguenza della rabbia contratta dai cani (non necessariamente sempre per i morsi, ma anche per il consumo di carne infetta, come avviene in Cina).
La convivenza è possibile
È questo uno degli aspetti più interessanti tra quelli trattati durante la serata. Affinché questo sia possibile, tutti gli esperti concordano che occorrono formazione e informazione, svolte con continuità.
C’è poi la parte sociale più ostile al lupo, e con solide ragioni: sono gli allevatori di montagna, pastori in particolare. Nei loro confronti vanno attivate altre due misure: il rimborso in tempi ragionevoli dei capi deceduti in caso di predazioni comprovate e la messa a disposizione di attrezzature atte a difendere gli animali d’allevamento dagli attacchi. Interessante il dato presentato da un relatore che mostrava il calo di predazioni effettuate, dagli stessi branchi attivi nella Lessinia, in provincia di Trento, dove sono stati posti in atto difese degli allevamenti rispetto a quanto accade nelle province venete, dove questo non si è fatto.
Insomma, a chi opera con gli animali in montagna si richiede un cambio di passo, ossia l’accettazione dell’idea che i loro animali vanno custoditi e non abbandonati a se stessi per lunghi periodi. Si tratta sicuramente di un maggiore impegno, soprattutto per i pastori, ma è una condizione che in altre aree italiane avviene già.
Certo non ci possiamo aspettare che tutti i pastori abbiano lo stesso atteggiamento di Patroclo Bigolin, che l’anno scorso è stato al centro di molte polemiche per le sue dichiarazioni a seguito della perdita di alcuni capi assaliti dai lupi: “Ma, cosa vuole, il lupo fa parte dell’ecosistema. È un buon segno che ci sia. Chi lo vuole uccidere non capisce, non sa. Ho messo il recinto doppio, con due batterie, come hanno detto i forestali. Basta. Non ho più avuto problemi. Certo, è un lavoro in più, ci devi stare attento agli animali. Non puoi mica lasciarli là e non prendertene cura. È la differenza tra chi fa questo lavoro e chi lo deve fare perché pagato da qualche allevatore. Io questa vita l’ho scelta...”.
Gli organizzatori lo avevano invitato a partecipare all’evento al MUSE, ma lui non è riuscito ad essere presente. Lo si è però potuto apprezzare, con il suo atteggiamento spiritoso e bonario, in un video trasmesso per l’occasione, al termine del quale una parente ha ritirato a nome suo un attestato ed un premio offertogli in segno di apprezzamento per la sua apertura verso quello che gli altri pastori considerano solo un nemico.
Il lupo e il cacciatore
L’accettazione del lupo da parte di altre componenti della società (pensiamo soprattutto ad albergatori e turisti, ma anche frequentatori abituali dei boschi) è quasi sicuramente un obiettivo più facile da raggiungere. Di certo anche in questo caso l’informazione scientifica è fondamentale.
Vi è però un’ultima categoria da considerare, quella dei cacciatori. Fino ad ora hanno tenuto un profilo basso e si sono limitati a fare presente che, se sarà necessario, loro sono disponibili, naturalmente a sparare; il che non è una grande novità.
Bisognerà però vedere se in futuro la posizione dei cacciatori non cambierà e non decideranno di “alzare il tiro” a fronte della competizione con il lupo, inteso come ladro di prede che spettano loro.
In Trentino, da questo punto di vista, la situazione è potenzialmente molto più pericolosa per il lupo che negli Appennini e nelle Alpi occidentali dove esistono Parchi Nazionali ed aree protette in cui ogni attività venatoria è proibita e il lupo può cacciare le sue prede naturali, ossia gli ungulati selvatici, senza per questo entrare in competizione con i cacciatori.
Questo non avviene in Trentino, dove l’intero territorio è diviso in riserve e la caccia è possibile (contrariamente a quanto stabilisce la legge nazionale per la tutela della fauna) anche nei Parchi.
Ora con il lupo i cacciatori, che non mancano mai di dichiararsi amanti della natura ed oculati tutori della fauna, hanno la possibilità di dimostrare di essere coerenti con queste affermazioni. Affinché i lupi possano condividere il nostro territorio senza creare problemi è fondamentale che essi abbiano a disposizione le loro prede naturali; nei boschi del Trentino caprioli e cervi non mancano e se i cacciatori sapranno essere abbastanza generosi da concedere che il lupo possa attingere al loro stesso carniere e sapranno ammirarne le doti di cacciatore naturale anziché vederlo come un eterno nemico, sarà stato fatto un grande passo verso quella coesistenza a cui tutti dovremmo ambire.
I predatori e i politici
A ulteriore conferma dell’atteggiamento di dura chiusura dell’attuale amministrazione provinciale, sta il fatto che i tecnici e i dirigenti del Servizio Foreste e Fauna, invitati alla serata, hanno pensato bene di non presentarsi. Cosa comprensibile, vista la linea tenuta dall’assessora Zanotelli. Ma è un’amara costatazione.
Più grave la questione della distribuzione della versione cartacea del Rapporto grandi carnivori, pubblicato ogni anno a cura dello stesso Servizio e abitualmente distribuito in occasione dell’omonima serata quest’anno annullata. Agli organizzatori la serata alternativa era sembrata un’ottima occasione per procedere alla distribuzione del Rapporto e ne avevano richiesto un cospicuo numero di copie in modo da evitare che lo stesso, ormai stampato, andasse sprecato. Ne sono state fornite una misera trentina di copie, mentre le altre (abitualmente se ne stampano mille) per ora giacciono inutilizzate. A ribadire il disprezzo della Giunta per l’informazione scientifica.
In effetti il rapporto dei politici con la sopravvivenza dei grandi predatori è sempre stato difficile. Il successo di questi animali nel riconquistare spazi nel territorio provinciale (nel caso dell’orso grazie alla riuscita del progetto di re-introduzione Life Ursus; nel caso del lupo in modo del tutto naturale e grazie solo alla normativa che lo tutela) è stato accompagnato da un notevole grado di contrarietà, crescente nel tempo, da parte della politica. Durante l’era Dellai si trattava di una malcelata insofferenza per un progetto, quello di reintroduzione dell’orso appunto, che lui aveva ereditato ed a cui avrebbe volentieri rinunciato. Per anni i validi tecnici a cui era demandato il compito di gestire Life Ursus hanno dovuto convivere senza un convinto appoggio politico, nel timore che qualche incidente potesse decretare la fine del progetto.
Con la Giunta a guida Rossi si è poi passati all’ostilità vera e propria, con situazioni problematiche gestite in malo modo ed effetti deleteri per gli orsi; l’arrivo del lupo faceva salire ulteriormente il livello di aggressività (contro il lupo, s’intende...), al fine di tutelare gli animali domestici (che come abbiamo visto possono essere altrimenti difesi). È però con la Giunta Fugatti che si fa il passo finale: nel lupo si individua un potenziale grave pericolo per l’incolumità dei trentini e, si sa, quando c’è di mezzo la nostra vita, i politici non vogliono ostacoli. Insomma, al lupo bisogna poter sparare senza se e senza ma.
È un peccato che questa sia la linea della politica trentina. La nostra provincia avrebbe le caratteristiche ideali per diventare un caso da manuale su come sia possibile convivere con orsi e lupi anche in territori antropizzati. Vi sono le risorse economiche (anche se assai limitate, come mostrano i dati forniti dalla stessa Provincia) per garantire la continuità di progetti di questo tipo. Vi sono le risorse umane, grazie alla presenza di personale forestale esperto e motivato e di naturalisti preparatissimi. Vi sono le conoscenze scientifiche grazie ai numerosi studi e ricerche già effettuati.
Salvaguardare la biodiversità è un obiettivo fondamentale, che a fronte di vantaggi immensi, pone alcuni problemi. Vorremmo che le campagne a favore del turismo in Trentino, presentato come un’oasi in cui ritemprarsi nella natura incontaminata e ricca di fauna selvatica, non fossero (peraltro fragili) specchietti per le allodole, ma rispecchiassero una felice realtà e scelte lungimiranti.
“I nostri antenati ci convivevano”
Intervista a Duccio Canestrini, antropologo
“Stanar le fiere”, un titolo piuttosto originale per un intervento in una serata dedicata allo stato del lupo in Trentino…
Ho pensato a questo titolo che evoca una reazione un po’ isterica, quella delle paventate ronde in montagna per cacciare i lupi. O dei bocconi avvelenati gettati nell’habitat del lupo, il bosco. Un’infamia. No dico, neanche in montagna possono stare adesso i lupi; dove devono andare, sulla luna? Appelli alla difesa contro presunte aggressioni da parte dei “lontani” dalla nostra civiltà, dal popolo gregge del Signore. Una difesa che diventa aggressione, persecuzione.
Dunque, siamo arrivati all’allarme lupo. Allarme giustificato?
È un allarme politico, diciamo la verità. Così come lo è stato l’allarme orso, così com’è l’allarme per una presunta invasione da parte di immigrati forestieri. Il lupo è sempre stato presente nelle Alpi. Siamo noi che ci siamo disabituati alla sua presenza, dopo averlo cacciato e sterminato,. I nostri antenati ci convivevano, si proteggevano, era parte della natura. Oggi lo si dipinge più feroce di quello che è. Dai tempi del Paleolitico superiore, 40 mila anni fa, l’uomo convive con i lupi. Gli sciamani turchi e mongoli si sono sempre detti discendenti del lupo, come animale totemico. È nel Medioevo, che esso diventa simbolo del male, assumendo connotazioni morali che prima non aveva. Da lupo totemico, ammirato, mitizzato nell’antichità, a lupo demonizzato nel Medioevo, a grande predatore, in perenne rapporto di antagonismo con l’uomo pastore e cacciatore.
Come spiega questa palese avversione per il lupo da parte dell’attuale governo provinciale (e anche, in toni più pacati, di quello precedente)?
Quando il popolo ha paura, insegnano i filosofi del Seicento come Hobbes e i sociologi della folla già nell’Ottocento, lo si può pilotare, dirottare, manipolare meglio. Agitare spauracchi compatta le comunità evocando i peggiori istinti di chiusura, di negazione del diverso, del selvatico. Dove il diverso e il selvatico non sono varietà del mondo e di stili di vita, ma sono avvertiti come minaccia da eliminare. Qualcuno, seminando terrore, sta facendo “spaventismo”, volutamente, e con arroganza, ignorando gli studi, le osservazioni, le relazioni di zoologi ed etologi di mezzo mondo, che raccontano una storia del tutto diversa.
Ecco cosa dice Anna Oliverio Ferraris, nel libro Psicologia della paura: “La paura dei nemici rafforza la coesione del gruppo. La paura è stata una delle armi di cui il Potere si è sempre servito per controllare e dirigere le masse. L’ordine dà sicurezza, perciò i demagoghi hanno sempre cercato di sfruttare la paura del caos”.
È indubitabile però che in molte persone una dose di paura la presenza del lupo la infonda.
La paura è un’emozione naturale, animale. È la consapevolezza della presenza di un pericolo, di una minaccia, reale o immaginaria che sia. Per certi aspetti è anche giusto avere paura quando la paura è rispetto, ed è legata a un senso sacrale delle forze della natura. Ma la paura è cattiva consigliera quando scatena violenza aggressiva, quando è fomentata e chi la cavalca sa bene dove vuole arrivare. Anziché stanare le fiere e sterminare orsi e lupi dovremmo stanare le nostre paure. Guardarle in faccia, guardarci allo specchio. In realtà i pericoli di oggi li conosciamo benissimo: le automobili e gli incidenti stradali, gli incidenti sul lavoro, la strage silenziosa provocata dal cancro, spesso causato da inquinamento ambientale o alimentazione sbagliata.