Biblioteca universitaria: chi l’ha affossata, come e perché
Sulla biblioteca di Botta si cerca di riscrivere la storia: “Il Comune non ce la lasciava fare”. Ma la verità e le responsabilità sono altre: ecco i documenti e le testimonianze.
È troppo piccola, non c’è niente da fare. La nuova biblioteca universitaria alle Albere, a poche settimane dall’inaugurazione, per quanto bella e firmata da Renzo Piano, evidenzia le proprie magagne. Non riesce ad accogliere tutti gli studenti che vorrebbero entrarvi, non riesce a contenere i libri previsti (550 mila volumi) per cui il personale va avanti e indietro dal magazzino a recuperarli, non funge certo al ruolo di “interscambio tra università e città” come ci dice l’ex rettore Bassi, che le era stato assegnato con il progetto di Mario Botta (al massimo funge da animatore dell’altrimenti deserto quartiere delle Albere).
Appunto, la biblioteca di Botta in piazzale Sanseverino. Con il passare del tempo, invece di svanire nel nulla, sempre di più assume il ruolo del convitato di pietra. Con varie personalità del mondo universitario a sbracciarsi nel tentare di spiegare come mai si sia rinunciato a quella soluzione più compiuta e razionale, nella posizione di gran lunga più logica, in favore di quella invece che, gira e rigira, ha solo un pregio: aver portato soldi alle casse della società Castello sgr, leggi Isa finanziaria, leggi i poteri forti della città, Curia arcivescovile in testa.
In queste pagine, facendo parlare i protagonisti, ma soprattutto i documenti, cerchiamo di ristabilire un minimo di verità sui tempi, i modi e le responsabilità, attraverso cui si è passati da un progetto bello, logico e condiviso ad uno scombinato e malamente abborracciato all’ultimo momento.
In effetti la marchiana differenza tra le due soluzioni è così vistosa, che i sostenitori della soluzione alle Albere si trovano costretti a ricorrere a un argomento scivoloso, anzi inquietante. La biblioteca di Botta era irrealizzabile. E perché? Perché sabotata. “Era chiaro che il Comune mai ci avrebbe concesso la concessione edilizia”. Accidenti!
Era stato lo stesso rettore Paolo Collini, all’inaugurazione della biblioteca di Piano, a dire: “Non so se ad abbandonare il progetto di Botta abbiamo fatto bene o male, so solo che se fossimo rimasti a quel progetto, l’edificio oggi non l’avremmo inaugurato, e neanche tra uno, due, tre, dieci anni”. Ancora più deciso, in un editoriale sul Corriere del Trentino dell’8 febbraio, il prof. Giuseppe Sciortino, membro del Senato accademico: abbiamo dovuto prendere atto “dell’impossibilità (e non per colpa dell’Ateneo) di realizzare il progetto di Botta”. Insomma, don Rodrigo aveva sentenziato: “Questa biblioteca non s’ha da fare”. E don Abbondio ha chinato il capo.
La cosa è evidentemente molto grave. Perché sul Comune viene riversata l’accusa di premeditato sabotaggio di un’opera pubblica. Un’accusa da codice penale. E l’Università cosa fa di fronte a questa prepotenza? Si indigna, denuncia? No, si adegua, come don Abbondio, come Alberto Sordi: beh, se non ce la lasciano fare, ne faremo una più piccola, decentrata…
Basta poi che a Sociologia (in cui insegna Sciortino) non si parli di senso civico, antimafia ecc.
Ma non basta. Perché tutta questa ricostruzione a posteriori del sabotaggio comunale, è fasulla. Ad affondare la biblioteca di Botta non è stato il Comune.
La Commissione urbanistica si diverte
È con il rettore Massimo Egidi che era stato varato il progetto biblioteca. Affidata, dopo apposito concorso, all’archistar ticinese Mario Botta, la realizzazione doveva ricoprire diverse funzioni, ruoli e significati. Doveva essere la “porta della città” verso ovest, una “cattedrale laica del sapere” in dialogo architettonico con la vicina cattedrale trecentesca, rappresentare – a chiudere gli isolati con Lettere, Giurisprudenza, Sociologia, Economia, Mulino Vittoria – il compimento della cittadella universitaria innervata nel centro storico cittadino, ospitare l’ingente patrimonio librario secondo il sistema dello scaffale aperto, aprirsi verso la città con una piazza che avrebbe plasticamente rappresentato quell’interscambio università/città che la stessa biblioteca avrebbe svolto con i suoi spazi e iniziative aperti al pubblico. Doveva infine recuperare nei piani interrati i posti-macchina che andavano persi in superficie, nel piazzale Sanseverino.
Il progetto di Botta – di cui il modellino per anni stazionò nella hall del rettorato – incontrò generali consensi. Ma non unanimi.
“Quando nel 2005-06 presentammo il lavoro in Comune ci furono anche delle critiche, forti – ci dice il rettore di allora, Davide Bassi. – In particolare si osteggiava l’altezza, ritenuta eccessiva soprattutto perché, maggiore di quella del Duomo, sembrava adombrare – si disse – una superiorità della cultura laica su quella cristiana”.
Il progetto fu così rivisto: un piano in meno, un lucernario più basso. Si dovette anche togliere un piano interrato (e quindi posti macchina) in quanto non era consigliabile scavare troppo nelle immediate vicinanze dell’Adige.
Così nel 2008 fu presentato un progetto rivisto. Su di esso lavorò la Commissione Urbanistica. Ed è vero, ci fu, soprattutto da parte delle minoranze, una sorta di tiro al bersaglio. È il problema della democrazia al giorno d’oggi: il livello degli eletti è quello che è, e a leggere i verbali, spesso cascano le braccia.
La prevista riduzione dei posti-macchina venne ritenuta inaccettabile. C’era chi (Gabriella Maffioletti, di Forza Italia) denunciava “la smania dell’Amministrazione di assecondare l’Università”, che d’altra parte presenterebbe “progetti scontati e stantii”. Il collega di partito Giorgio Manuali dipingeva un Comune “prono all’Università”, ancora per i parcheggi, che comunque “devono essere gratuiti”. Fabio Armellini, del PATT, contemporaneamente si inalberava per i parcheggi e proponeva che la biblioteca fosse costruita a Sardagna (!). Stendiamo poi un velo pietoso sulle lezioni estetiche e prescrizioni architettoniche che vari consiglieri, impancatisi a critici d’arte, pretendevano di impartire al povero Botta. Di cui non conosciamo le reazioni, ma al quale va, per quello che conta, la nostra solidarietà.
Comunque alla fine la maggioranza si compattava, e finalmente, il 22 febbraio 2012, dichiarava finito il proprio compito, “affidando all’assessorato ed agli uffici competenti gli approfondimenti sulle sollecitazioni e le evidenze emerse”. In soldoni, venivano votate quattro “sollecitazioni”, cioè quattro punti che le due strutture tecniche - Comune ed Università - dovevano risolvere, per poi portare il risultato in Consiglio Comunale dove andava dato il voto definitivo.
Quali erano queste “sollecitazioni”? Vediamo meglio questo punto, per capire le basi logiche delle accuse di sabotaggio al Comune.
In una lettera del 29 giugno 2012 alla struttura tecnica dell’Università, a seguito di diversi incontri tra le due équipe tecniche, il vicesindaco nonché assessore all’Urbanistica Paolo Biasioli mette per iscritto i quattro punti. Che sono: 1) mancano, rispetto agli accordi precedenti (del 2001, cioè 11 anni prima), 103 posti macchina, da reperire in aree adiacenti; 2) il fronte ovest, verso l’Adige, è un muro compatto, mentre la città tende a riguadagnare il rapporto con il fiume; bisognerà quindi inserire “varchi e trasparenze” per mettere in contatto visivo la piazza interna con il lungofiume; 3) il progetto prevede uno spigolo che sovrasta parte di via Verdi, che andrà tolto o smussato; 4) va verificato se il progetto è compatibile con l’ipotizzato (in realtà ormai defunto) interramento della ferrovia.
Il 23 maggio risponde la direttrice generale dell’Università Giancarla Masè. In breve: sui parcheggi, si devono accordare sindaco e rettore; sulle trasparenze del lato ovest, i progettisti sono d’accordo, e le realizzeranno in sede di progetto esecutivo; sul taglio dello spigolo: andate a quel paese, Botta non vuole rovinare il suo progetto ed ha ragione; sull’interramento: qualora ci fosse, la biblioteca sarebbe pienamente compatibile.
Come valutare questo botta e risposta? A noi sembra indicare un iter ormai concluso, cui mancavano solo alcuni dettagli tecnici e un accordo politico sindaco/rettore sui parcheggi.
“Sì, eravamo arrivati alla conclusione – ci conferma il rettore di allora Davide Bassi. – E devo anche dire che i tempi del Comune non sono certo stati brevi, ma nemmeno infiniti”.
A conferma delle parole del rettore, ci sono anche le mail interne tra le strutture comunali, che nel gennaio 2013 stabilivano gli ultimi passaggi tecnici (nulla osta Antincendi, autorizzazione Ferrovie, ecc), “al fine di programmare il passaggio in Consiglio Comunale”.
Anzi, compulsando queste carte, non ci sembra proprio di vedere una melina del Comune, semmai qualche ritardo da parte dell’Università, che non appare interessata a chiudere rapidamente la partita.
Bassi ce lo conferma: “È vero. Durante il mio mandato abbiamo costruito tutto il polo scientifico a Povo, la sede di Lettere, la ristrutturazione di Sociologia a Trento e del Palazzo dell’Istruzione a Rovereto. L’Università non può stare dietro a troppi progetti, nel 2012 avevamo due grossi cantieri, Povo e il completamento di Lettere. Per questo non abbiamo incalzato il Comune; e io ero al termine del mio mandato, la biblioteca era la ciliegina sulla torta di tutte queste realizzazioni, per un totale, notevole, di 250 milioni. E avrebbe dovuto essere fatta dal mio successore”.
Insomma, la storia del Comune sabotatore è una bufala vergognosa. Anche perché gli attribuisce un ruolo subdolo, per motivazioni oscure; che invece, come vedremo, sono in capo ad altri responsabili.
Arriva la rettrice de Pretis. E tutto cambia
Eravamo dunque al gennaio 2013 quando a Palazzo Thun ci si preparava a votare deroga urbanistica e concessione edilizia alla biblioteca; e a febbraio ci furono le elezioni del nuovo rettore. Daria de Pretis. Ma lei avrebbe, repentinamente, voltato pagina.
Non è facile ricostruire i passaggi attraverso cui si decise l’affossamento del progetto Botta. In proposito ha ragione il prof. Stefano Zambelli, antagonista di de Pretis prima e di Collini poi, che lamenta l’assoluta opacità della decisione.
Sappiamo solo che – a ulteriore conferma della vacuità dell’accusa di sabotaggio – appena chiuse le urne, l’1 marzo del 2013, il sindaco Alessandro Andreatta proclamava ai giornali: “Adesso siamo allo sprint finale, il via libera alla biblioteca Botta ci sarà in tempi brevi”.
Evidentemente nessuno gli aveva detto niente sui nuovi orientamenti in rettorato (solo in rettorato?). Sta di fatto che poco dopo ci fu un incontro a tre, il sindaco Andreatta, la rettrice de Pretis, il presidente della Provincia Alberto Pacher.
Abbiamo ripetutamente chiesto ad Andreatta di confermarci quest’incontro: non ci ha voluto rispondere. L’uomo lo conosciamo, è quello che è, sa benissimo dove c’è il potere vero, e non vuole certo infastidirlo, anche a costo di dover incassare infamanti accuse di lavorare contro la città. Sappiamo comunque che, del fatidico incontro, il sindaco – evidentemente esasperato - ha parlato in due diverse circostanze con due docenti: il prof. Stefano Zambelli di cui sopra, e il prof. Giovanni Pascuzzi.
E la testé insediata rettrice (cui abbiamo per mail chiesto conferma, non ricevendo nemmeno da lei risposta) cosa disse ad Andreatta? Lo rimbrottò per i presunti ritardi nell’approvazione, di cui oggi si lamentano i suoi seguaci? Lo sollecitò a darsi da fare? No di certo. Anzi, al contrario lo fermò: noi stiamo valutando un’altra opzione. Di questo peraltro parla un documento di Patrimonio del Trentino (la società che in quel momento stava costruendo il Centro Congressi riconvertito poi in biblioteca): “Nel luglio 2013 la rettrice ha rilevato i suoi dubbi in merito alla prevista costruzione della biblioteca universitaria, sia rispetto ai tempi di realizzazione – in quanto il previsto progetto Botta su piazzale Sanseverino non aveva ancora avuto assenso definitivo dal Comune di Trento, che richiedeva ulteriori modifiche – sia riguardo alla spesa ipotizzata”.
E qui siamo in piena ambiguità. Al Comune si dice di stare fermi, si sta valutando un’altra soluzione; poi si propugna l’altra soluzione perché il Comune è rimasto fermo.
La rettrice peraltro sembra avere – quando vuole - un rapporto molto efficiente con il Comune, qui sì “prono all’Università”. Da un’altra lettera di Patrimonio del Trentino apprendiamo di un incontro del 29 novembre 2013 Depretis-Provincia-Patrimonio del Trentino con il sindaco Andreatta e l’assessore Biasioli; che prontamente assicurano che la trasformazione del Centro Congressi in biblioteca “è conforme agli strumenti urbanistici” e in considerazione di ciò “il Comune sarà in grado di rilasciare la concessione entro 60 giorni dal deposito del progetto”.
E vai! De Pretis si lamenta del Comune lentissimo, che sul progetto di Botta mena il can per l’aia; ma sulle Albere lo fa andare a mille all’ora.
La fine di Trento Fiere
Qui non parliamo tanto di questioni di metodo, ma di merito. Lo spostamento della biblioteca, deciso in quattro e quattr’otto, contraddice il Piano Regolatore e tutta la pianificazione comunale rispetto all’università e a quella parte di città. La vera anomalia dunque non sono i presunti sabotaggi a Botta, ma il fulmineo adeguamento del Comune, senza discussione alcuna, senza alcun passaggio nelle sedi istituzionali, a questo autentico stravolgimento, apparentemente senza senso. Come è potuto accadere? Cosa c’è in gioco?
Il gioco infatti si allarga. E subito vi partecipa Ugo Rossi. Proclamato presidente della Provincia il 9 novembre 2013, si tuffa il 18 nella questione, con una richiesta a Patrimonio del Trentino non solo sulla realizzazione della biblioteca al posto del Centro Congressi ma anche “sul futuro utilizzo degli spazi intercorrenti tra il polo universitario di via Verdi e la futura biblioteca (piazzale Sanseverino [che si dà già per sgomberato dal progetto Botta, ormai cestinato, n.d.r.] e attuali spazi occupati dalla Fiera di Trento) che tenga conto delle necessità sia dell’Università che del Comune di Trento”.
Il disegno e lo stravolgimento si completano. L’Università viene dirottata verso le Albere (infatti poi di utilizzare piazzale Sanseverino non se ne parlerà proprio più, le parole sopra riportate sono state una svista di Rossi, troppo fresco di nomina). Per riempire quindi gli spazi tra gli attuali edifici universitari e il quartiere di Renzo Piano si inventano nuove mense, sale studio, ecc di cui prima non si sentiva il bisogno, e che lì certo non erano state da nessuno pianificate. In tutto questo chi ci rimette è Trento Fiere, che viene sloggiata dalla sua sede verso un imprecisato altrove, mettendo a repentaglio manifestazioni di grande impatto e successo, da Fa’ la Cosa Giusta alla Mostra dell’Agricoltura, che da decenni allestisce.
Il Comune subisce.
L’alibi della rettrice
Dopo quasi un anno di lavoro sotto traccia, la rettrice si decide a far partecipe della vicenda l’università, attraverso un passaggio nel Cda dell’Ateneo, il 23 gennaio 2014, a giochi peraltro ormai del tutto fatti. E anche qui le ambiguità si sprecano. Si delibera di richiedere al Comune la sospensione della pratica edilizia relativa alla biblioteca Botta, “precisando che tale richiesta non sottintende alcuna decisione sulla soluzione di allocazione della biblioteca alle Albere”. È una presa in giro: 5 giorni prima, il 18 gennaio, Rossi ricordava a Cipolletta (presidente del cda dell’Ateneo) come fosse stata “proposta all’università e favorevolmente accolta (nostra sottolineatura, n.d.r.) una nuova collocazione del progetto della biblioteca”.
Ma quello che più sconcerta sono le motivazioni che la rettrice adduce per motivare l’abbandono del progetto Botta: “La richiesta di concessione edilizia…. risale al 2008 con una integrazione del luglio 2011 a cui non è seguita nessuna risposta ufficiale del Comune di Trento”.
Abbiamo sottolineato il passaggio perché lo troviamo sconcertante. Non è seguita nessuna risposta ufficiale? Ma come? E la lettera del vicesindaco e assessore all’urbanistica con cui si specificano le richieste per portare la deroga in aula? Non esiste? Non è “ufficiale”? La rettrice, se riteneva tali richieste inaccettabili o pretestuose (e come abbiamo visto, solo una lo era) lo poteva dire, poteva battere i pugni sul tavolo e magari rovesciarlo. Ma non può dire “non ci hanno dato nessuna risposta”.
In realtà si stava già precostituendo l’alibi: la biblioteca di Botta, non ce la hanno lasciata fare.
La pretesa sobrietà
A dire il vero, de Pretis ha soprattutto argomentato diversamente (anche in un colloquio che avevamo avuto diversi mesi orsono): abbiamo rinunciato al progetto Botta per sobrietà, perché era troppo costoso.
Ma anche qui non ci siamo. Non ci siamo proprio. In primis perché Mario Botta ha dichiarato anche a noi che, se glielo avessero chiesto, avrebbe ridimensionato il progetto arrivando a una biblioteca più piccola e quindi meno costosa. E nessuno glielo ha chiesto.
Poi, mai è stato presentato, nonostante esplicite richieste, per esempio dal prof. Zambelli, alcun raffronto costi-benefici tra le due soluzioni (e qui ci permettiamo di sottolineare come la biblioteca Botta custodisse 550.000 volumi contro i 340.000 di quella alle Albere; e offrisse 1000 postazioni studio contro 430).
Ma soprattutto questa storia della sobrietà proprio non tiene. Nell’autunno del 2012, quando tra Comune e Università si definivano gli ultimi dettagli tecnici per arrivare all’approvazione del progetto, in quegli stessi giorni, esattamente il 2 ottobre, la Provincia acquistava come cosa futura dalla Castello sgr, per oltre 30 milioni, il realizzando Centro Congressi. E noi non siamo fessi: non si può contemporaneamente buttare via 30 e passa milioni in un Centro congressi di cui nessuno sentiva il bisogno, e allo stesso tempo dimezzare la biblioteca universitaria, spostarla fuori zona, per risparmiare.
E allora diciamole le cose come stanno: tutta l’operazione è stata finalizzata a rianimare la fallita operazione speculativa alle Albere, a iniettare altri soldi ai soliti noti, a Isa & soci. Come analizzato nel libro di de Bertolini “L’affare ex-Michelin”, quelli sono i potenti di Trento, a loro tutti si inchinano, per loro tutte le strade vengono spianate. Dai politici, e non solo.
Salvo poi arrabattarsi con fragili scuse.