Giorgio Tonini, come un berlusconiano
Abbiamo spesso apprezzato Giorgio Tonini, oggi senatore del Pd: politico lucido, intelligente, brillante; anche se, per noi, troppo “realista”, troppo aderente a quella che appare la realtà del momento, e sdraiato sui personaggi vincenti, ieri Dellai, oggi Renzi.
Ora però ci sembra che esageri in questa adesione, che diventa identificazione, con la realtà che vive, il Parlamento ed il renzismo. Diciamo questo dopo aver letto le sue motivazioni del voto contro la decadenza di Augusto Minzolini, pubblicate su l’Unità e riprese nel suo profilo FaceBook. Motivazioni che ci sembrano purtroppo emblematiche del degrado della politica, tanto più significative proprio perché espresse non da un Razzi qualsiasi, ma da una persona che riteniamo intelligente ed anche onesta.
Dunque cosa scrive Tonini? Arriviamo al cuore del problema: il combinato della legge Severino (sulla decadenza di un parlamentare condannato in via definitiva a pene superiori ai due anni) e dell’articolo 66 della Costituzione (“ciascuna Camera giudica… delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità” dei suoi componenti) secondo Tonini impone in questo caso al Senato, non di prendere atto della condanna di Minzolini, ma di “giudicare”. “Dunque entrare nel merito, ponderare i valori in gioco e apprezzare le circostanze. A garanzia dell’esercizio del mandato democratico, che può essere revocato in caso di accertata indegnità, ma non nel caso di un uso politico della giustizia.”
Qui è il punto, l’”uso politico della giustizia”. E a noi sembra corretta la cautela della Costituzione e, fin qui, anche la posizione di Tonini. Nel senso che il Parlamento deve essere tenuto al riparo da possibili usi incongrui, anzi eversivi, della magistratura. Dunque, afferma Tonini, il Senato non deve limitarsi a prendere atto della condanna, deve giudicare, “entrare nel merito”.
E cosa ha portato Tonini a valutare come “uso politico della giustizia” la condanna di Minzolini? Ci sono state palesi violazioni, un mezzo golpe? Quali le prove, o se non altro gli indizi, di un atto così grave, destabilizzante della democrazia? Questo è il punto, ma qui il senatore annaspa, rimane nel vago, nell’indeterminato “leggendo le carte, ascoltando il dibattito” (sembra Nanni Moretti “faccio cose, vedo ggente”) “mi sono formato il convincimento che il percorso giudiziario che ha portato alla condanna di Minzolini non sia scevro da dubbi circa un uso politico della giustizia”. Che è una frase senza senso, si ripetono a vuoto le stesse parole, l’uso politico della giustizia deriva dal fatto che io mi sono formato il convincimento che ci siano dei dubbi circa un uso politico della giustizia.
Tonini come Grillo: “Fidatevi”. O come un berlusconiano qualsiasi, quando l’”uso politico della giustizia” era il refrain dei difensori d’ufficio del capo e voleva dire una cosa chiara: un politico, soprattutto un leader, è al di sopra della legge.
A dire il vero altri senatori (forse più accorti di Tonini, o forse meno) hanno pensato di specificare in cosa sia consistito questo “uso politico”: sarebbe stato nel fatto che tra i giudici che hanno condannato Minzolini, ci fosse un ex-senatore del Pd. Quindi un avversario politico.
Ora, a parte il fatto che nei tribunali esiste l’istituto della ricusazione del giudice ritenuto prevenuto, che Minzolini in sede processuale non la ha utilizzata, e che quindi è incongruo che salti fuori in Parlamento, a parte questo, l’argomentazione è illuminante. Anzi, devastante. Vuol dire che la condanna di Minzolini non va ritenuta tale, in quanto comminata da un collegio in cui c’era una persona inaffidabile, un ex-politico. Ma allora, di grazia, se i politici non possono essere giudicati dagli ex-politici perché troppo di parte, li facciamo giudicare dai colleghi politici in carica? Che saranno ancor più di parte?
L’argomentazione finisce con il ritorcersi contro chi la pronuncia. Sì, la storia ci insegna che i politici non riescono a valutare con obiettività uno di loro: prevalgono, sempre, solidarietà di casta, oppure considerazioni di opportunità politica. A loro non va affidato il giudizio sui loro pari.
Sarebbe opportuna una modifica, per cui la valutazione dell’”uso politico” della giustizia sia affidato a un organismo terzo, la Corte Costituzionale o altro.
Ma per favore, per il bene stesso della democrazia, non fateci più leggere argomentazioni pretestuose come quelle in favore di Minzolini. Che difatti, vista l’indignata reazione della pubblica opinione, sono state sconfessate dallo stesso mandante, Matteo Renzi, che cadendo dal pero ha sconfessato i Tonini, lasciandoli con il cerino in mano: “Io Minzolini non lo avrei salvato”.