“Umberto Boccioni. Genio e memoria”
Ultime notizie sull’avanguardia. Rovereto, Mart, fino al 19 febbraio.
La mostra dedicata all’artista simbolo del futurismo, a cento anni dalla morte, non è la tipica antologica che si usa fare in questi casi. Di recente sono infatti emersi preziosi documenti, posseduti dalla Biblioteca Civica di Verona, che hanno permesso di avvicinarsi meglio alla sua formazione e ai suoi riferimenti artistici negli anni che precedono la scelta futurista. I tre diari tenuti da Boccioni tra il 1907 e il 1908, ed una raccolta da lui curata personalmente di immagini a stampa, fitta di recuperi di arte antica, pittura vascolare greca, arte preraffaellita, grafica “Art and Crafts” e molto altro, fanno capire la pluralità e la complessità delle sue fonti visive, profondamente radicate nel passato, anche se arricchite da molti riferimenti alla cultura simbolista degli anni immediatamente precedenti.
Si potrebbe pensare che il rifiuto della “cultura passatista”, così vigorosamente affermato nel “Manifesto tecnico della pittura futurista” (da lui firmato nel 1910 insieme a Carrà, Russolo e Marinetti), sia lo strappo radicale di uno che rinnega ciò che è stato; ma sarebbe una lettura fuorviante, come possiamo vedere proprio in questa mostra. La discontinuità, il prima e il dopo della svolta stilistica, è evidente, ma diverse vecchie radici sono tutt’altro che disseccate.
I documenti riscoperti non figurano nella mostra come semplice integrazione; al contrario, servono ai curatori per articolare il percorso e intercalare le opere con quelle di artisti citati dall’autore come propri riferimenti: Dürer, ad esempio, per la gigantesca qualità del disegno, strumento che emerge più che mai centrale in tutte le fasi della ricerca di Boccioni; e, tra gli artisti della generazione precedente o contemporanea, i protagonisti del divisionismo e del simbolismo italiano: Segantini, Previati, Fornara, Pellizza.
Sia nel disegno, per il quale la mostra si avvale del formidabile corpus grafico messo a disposizione dal Castello Sforzesco di Milano, che nella pittura, Boccioni è un ricercatore mai fermo e soddisfatto, e anche negli anni in cui è immerso nello stile divisionista, producendo una serie di opere scintillanti, è sempre in movimento e attento a non seguire pedissequamente le tracce dei suoi modelli di riferimento. Si vedano, ad esempio, le opere dedicate alla madre (e ad altre figure femminili), che sono il più cospicuo nucleo pittorico della mostra: c’è un’incessante ricerca sulla luce, che lo porta a modificare via via il rapporto della figura con l’ambiente, a superarne la presenza isolata e statica.
Il tema della madre, frequentato anche dopo la svolta, ha le sue premesse in Previati, del quale è esposto il capolavoro del 1890 “Maternità”. Anche il tema del paesaggio si alimenta largamente della cultura divisionista (Segantini, morto da qualche anno, è il più ammirato da Boccioni), ma il trasferimento a Milano nel 1907 porta con sé il passaggio da una scena ancora pienamente naturalistico-rurale, quale era negli anni della sua formazione romana con Balla, a quella di una periferia urbana che si sta trasformando sotto la spinta dell’industrializzazione (“Il crepuscolo” e “Officine a Porta Romana”, 1909).
L’adesione alla modernità (Boccioni è sempre in movimento, è a Parigi, in Russia, a Vienna), e l’abbraccio della “narrazione” ideologica di Marinetti, non possono però accontentarsi di un semplice adeguamento di tematiche e soggetti: è la lingua stessa della pittura che deve interpretare i tempi nuovi. Ad un certo punto, questa urgenza si manifesta nella scelta di portare alle estreme conseguenze ciò che gli appare come l’essenza del contemporaneo: il dinamismo. Non troveremo in Boccioni la retorica della macchina, ma una strategia pittorica che smonta e rimonta freneticamente anche le forme e i soggetti tradizionali. Qualcosa del genere, come sappiamo, è già in atto in Francia, con le ricerche cubiste di Picasso e Braque, e occorre differenziarsi: l’elemento di diversità, che Boccioni persegue, è appunto quello del dinamismo.
Lo vediamo applicato a tre soggetti diversi: “Forze di una strada” (1911), che conserva un forte interesse per gli effetti della luce; “Elasticità” (1912), dove possiamo ancora vedere un uomo a cavallo in un contesto urbano, ma tutto si risolve in ritmo parossistico e quasi astratto; “Materia” (1912), in cui torna il tema della madre, ormai ridotto a pretesto per una orchestrazione di visioni simultanee.
A questo punto Boccioni ha bisogno di un passo in più, in un diverso linguaggio, quello della scultura. Ecco due opere che rimangono per molti delle icone del futurismo: “Sviluppo di una bottiglia nello spazio” (1912), ma soprattutto “Forme uniche della continuità nello spazio” (1913).