Due settimane a Marrakech
I risultati - fra luci e ombre - della conferenza sul clima
L’avenue di Bab Ighli quasi deserta, i padiglioni vuoti con i tecnici intenti a smontare le attrezzature, e una luna così piena che, dicono, non si vedeva da sessantotto anni a questa parte. Sono le dieci di sera, ora locale, e qui dentro i capannoni della XXII Conferenza delle Parti (COP) di Marrakech non succede ancora nulla.
Si attende il round finale, ultima plenaria di due lunghe e intense settimane di lavori e negoziati tra i 196 Stati che hanno preso parte alla conferenza sui cambiamenti climatici, tenutasi dal 7 al 18 novembre.
In terra marocchina, a vivere questo grande evento c’era anche una giovane delegazione trentina composta da 18 studenti delle scuole superiori e dell’Università di Trento, selezionati nell’ambito del progetto “Una cittadinanza planetaria per affrontare i cambiamenti climatici”, promosso dall’associazione Viração&Jangada con il sostegno della Provincia di Trento e in collaborazione con altre realtà del territorio. Scopo del progetto è quello di “creare un percorso di sensibilizzazione sociale e di partecipazione politica sul tema della cittadinanza planetaria collegato a quello della sostenibilità ambientale e dei cambiamenti climatici”.
I giovani studenti dei licei sono stati coinvolti durante la COY12, la Conferenza internazionale dei giovani sul clima, che tradizionalmente ha luogo qualche giorno prima della COP. Il loro compito è stato quello di raccontare i fatti di Marrakech da una prospettiva e con un linguaggio giovanile, in collaborazione con una quarantina di altri giovani dell’Africa e dell’America Latina. Gli universitari hanno preso parte invece alla COP raccontando tramite articoli, fotoreportage e video non solo i negoziati, ma anche l’atmosfera che si respirava, le impressioni raccolte per le vie di Bab Ighli e le istanze portate avanti dalla società civile. I contenuti prodotti sono consultabili sia sul sito che sulla pagina Facebook di Agenzia di Stampa Giovanile.
Ribattezzata fin da subito “COP dell’azione”, questo evento che ha raccolto migliaia di persone da tutto il mondo e di cui i media italiani hanno parlato ben poco (dei giornalisti della Rai e di Mediaset neanche l’ombra), ha deluso paradossalmente per la sua in-azione.
“Time for action” è stato lo slogan che ha accompagnato, anche per le strade di Marrakech, i dodici giorni di trattative. Nella capitale marocchina di fatto bisognava adottare provvedimenti concreti che dessero operatività nel breve termine allo storico Accordo di Parigi, sottoscritto da 196 Paesi lo scorso novembre, proprio qualche giorno dopo i terribili attacchi terroristici nella capitale francese.
Le aspettative erano tante, ma l’impeto con cui si era raggiunto l’Accordo si è forse già affievolito alla luce delle divergenze tra Paesi sviluppati da un lato e Paesi in via di sviluppo e sottosviluppati dall’altro.
A Parigi le parti si erano impegnate anzitutto a contenere ben al di sotto dei 2°C la variazione della temperatura tenendo come punto di riferimento i valori della temperatura dell’era preindustriale, con l’obiettivo di fermarsi a +1,5°. Per arrivare a questo obiettivo, le Parti si sono impegnate a diminuire le emissioni di gas serra nell’atmosfera a partire dal 2020.
Ha stupito anche la velocità con cui l’accordo è stato ratificato, appena un anno dopo dalla COP21, lo scorso 4 novembre, da almeno 55 paesi che producono complessivamente il 55 per cento delle emissioni mondiali di gas serra (condizione necessaria per l’entrata in vigore dell’accordo). L’Unione Europea per velocizzare il processo ha deciso di ratificare l’Accordo in blocco, senza aspettare tutti gli stati membri. La ratifica da parte dell’Italia è arrivata il 27 ottobre.
Una delle difficoltà principali ha riguardato la parte dei finanziamenti da stanziare per il Green Climate Fund, il fondo mondiale per il Clima, incaricato di preparare i Paesi in via di sviluppo a contrastare gli effetti del riscaldamento globale e a facilitare la loro transizione verso le energie rinnovabili.
Nonostante le dichiarazioni d’impegno rilasciate in occasione del Dialogo ministeriale di alto livello sulla finanza climatica, le aspettative dei Paesi in via di sviluppo sono lontane dall’essere soddisfatte. In uno dei tanti incontri proposti dalla società civile nella “Green Zone” della COP, veniva inoltre denunciato da parte dell’IIPFCC (il Forum internazionale delle popolazioni indigene sui cambiamenti climatici) la mancanza di qualsiasi riferimento alle popolazioni indigene nella guida alle opportunità di investimento offerte dal Green Climate Fund. Il che è paradossale, perché proprio gli indigeni sono tra i soggetti più colpiti dagli effetti dei cambiamenti climatici e allo stesso tempo quelli meno responsabili.
Un po’ più rosea è la situazione che riguarda il Fondo di adattamento (messo dalla COP 22 al servizio dell’accordo di Parigi) per il quale è stato raggiunto l’obiettivo degli 80 milioni di dollari con il contributo di Germania, Svezia, Italia e Belgio.
Un risultato significativo, che esula però dai negoziati, è il piano di azione dal titolo “Marrekech partnership for global climate action”, lanciato da Laurence Tubiana, ambasciatrice francese per il cambiamento climatico, e da Hakima El Haite, ministro dell’Energia, Miniere, Acqua e Ambiente del Marocco. Il piano costituisce un punto d’incontro dell’azione comune tra settore privato, investitori, società civile, Stati, regioni e città, per accelerare l’azione immediata (2017-2020), con cicli di attività che durino tutto l’anno e non solo durante le COP.
Per il resto il documento politico adottato a tarda notte a Marrakech (Proclamazione di azione di Marrakech per il nostro clima e sviluppo sostenibile) esorta gli stati più ricchi alla solidarietà (finanziaria soprattutto) con i paesi più vulnerabili, impegnandosi a raggiungere l’obiettivo della mobilizzazione dei 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020 sancita a Parigi. Si rinvia invece al 2018 la definizione del regolamento per attuare l’accordo di Parigi, con il quale i Paesi monitoreranno i loro impegni per la riduzione dei gas serra.
Se su questi punti sono emerse divergenze, quasi unanime è apparso invece l’appello rivolto al neo presidente americano Donald Trump, affinché si unisca allo sforzo internazionale per l’attuazione dell’Accordo di Parigi, viste le sue affermazioni negazioniste in tema di cambiamenti climatici. “Noi contiamo sul suo pragmatismo, così come sul suo impegno verso lo spirito della comunità internazionale, in una lotta immane per il nostro futuro, per il pianeta, per l’umanità e la dignità di milioni di persone” - ha detto in conferenza stampa di chiusura della COP Salaheddine Mezouar, ministro degli Esteri marocchino e presidente della Conferenza.
La risposta del presidente non si è fatta attendere: intervistato qualche giorno fa dal New York Times, Trump si è detto “pronto a valutare tutte le possibilità” e disponibile a trovare un’intesa. Quale che sia la sua strategia rispetto agli accordi di Parigi, rimane il fatto che prima di 4 anni dalla sua entrata in vigore (periodo che coincide con la fine del mandato del presidente degli Stati Uniti, salvo una eventuale rielezione), non è possibile recedere dall’Accordo.