USA: e adesso che succede?
Gli animi si stanno pacificando, mentre le prime scelte del nuovo presidente fanno pensare che molte promesse non saranno mantenute
Scrivo nel giorno del Ringraziamento, poco più di due settimane dal voto che ha visto il magnate Trump trionfare, a sorpresa, sulla politica Hillary Clinton.
Sono settimane ormai che amici e giornalisti, specialisti e professori si susseguono nei media provando a spiegare a una parte della popolazione frastornata come sia stata possibile una simile débâcle e come sarà la presidenza Trump.
Sono giorni di post-sbornia, nei quali i fan dell’una e dell’altra parte si guardano un po’ spersi, come quando ci si sveglia il mattino e ci si ricorda vagamente quanto accaduto la sera prima; il senso di fratellanza, falsa ma non per questo meno forte, espressa e provata che ci fa ora accennare un timido saluto a qualcuno cui, altrimenti, non avremmo rivolto la parola.
Felici gli uni – ma di una felicità amara, di chi sa per esperienza che non vincerà mai, e se per caso una volta ha vinto, è stato per qualche altro interesse in gioco; una felicità di chi sa che di tutte le promesse fatte e credute, probabilmente poche saranno mantenute, perché in fondo si può mandare qualcuno a fanculo, ma poi bisogna anche viverci assieme.
E increduli gli altri: dopo essersi sentiti dire che Trump non avrebbe mai vinto, che gli americani sono fondamentalmente persone tolleranti, che non possono odiare con la veemenza mostrata durante la campagna elettorale, eccoli lì, catapultati nel peggiore dei loro incubi.
L’America post-elezioni è spossata da un anno e mezzo di campagna elettorale, di odio caricato da politici e media e scaricato contro i soliti sospetti: immigrati, donne, musulmani.
Finalmente ci si riunisce attorno al tavolo di famiglia e si ringrazia per quello che si ha, nonostante tutto. Perché la maggior parte degli americani è fatta di persone oneste che lavorano sodo, hanno più o meno un’educazione religiosa, e corrispondono all’idea di patria e famiglia che viene loro inculcata sin da bambini. Per questo sembra ancor più surreale, questo giorno del Ringraziamento: fino a due settimane fa vicini di casa di fazioni diverse non si parlavano più, o si insultavano a colpi di “Lock her up” e di “Release your tax returns” (“Rinchiudetela” e “Facci vedere i tuoi 730”) e ora si torna al timido “How’d do?” masticato tra i denti – ma almeno c’è – perché in fondo l’etica condivisa del buon vicinato è anch’essa parte dell’etica americana di essere un buon cittadino.
Ho lasciato il Maine, e un’università molto di sinistra, una settimana prima del voto per trasferirmi a Pittsburgh, in Pennsylvania, dove comincerò ad insegnare, spero, a breve. Nonostante Pittsburgh sia una roccaforte della sinistra in Pennsylvania, attraversare la zona centrale dello Stato è stato difficile, tra manifesti e yard-signs (cartelli piantati nei giardini delle abitazioni private o lungo le strade) a supporto di Trump e macchine con adesivi più o meno razzisti. E questa demografia è poi quella emersa dalle elezioni: le parti rurali degli Stati Uniti sono andate ai repubblicani, mentre le città e le coste ai democratici.
Molti americani hanno votato Trump spinti dalla rabbia e persino dall’odio verso le politiche pro-globalizzazione e l’interventismo americano nelle faccende del mondo, attuato per risolvere a modo loro quei conflitti che gli imbelli europei non sanno affrontare; il tutto supportato dai tipici valori americani di cui dicevo: lavorare sodo, un forte senso di patria e famiglia, e la religione – cristiana, possibilmente, e certamente non musulmana, anche se si può essere tolleranti con le altre religioni.
Ma ora il presidente eletto sta chiarendo che a comandare, più che lui, saranno i soliti ignoti, le eminenze grigie che abitano i palazzi del potere di tutto il mondo. Non il burattino Donald, ma piuttosto l’estremista Bannon, il razzista Sessions, il guerrafondaio Flynn, il neo-colonialista Pompeo.
Sicché il mantenimento delle promesse fatte ai poveracci americani è sempre più problematico, mentre diventa sempre più chiaro che l’obiettivo primario è sempre stato il medesimo: mantenere, proteggere ed espandere gli interessi di pochi, magari sperando che questo porti qualche briciola anche agli altri.