Una nazione divisa
La morte annunciata del bipolarismo
Il terremoto elettorale delle elezioni presidenziali di aprile segna veramente la fine del nostro sistema politico della seconda Repubblica? Tutti (tranne i partiti della coalizione governativa) sembrano d’accordo. È finita un’epoca? Almeno pare evidente che il governo non possa continuare come se niente fosse cambiato.
Sicuramente, per i prossimi 6 anni, non avremo un Presidente della Repubblica socialdemocratico o democristiano. Ma avremo un Presidente dei Freiheitlichen, cioè della destra populista e xenofoba (i cosiddetti “blu”), come molti temono? Possibile, ma tutt’altro che certo. I primi sondaggi per il secondo turno annunciano una corsa testa a testa. Recentemente Gallup ha pronosticato il 50% ai due candidati in ballottaggio, con un margine di errore del 4%. Ma i sondaggi erano grossolanamente sbagliati già al primo turno, come del resto nella maggioranza delle elezioni degli ultimi anni. La demoscopia pare una scienza non più affidabile, perché l’elettorato è diventato fluido. Una cosa però è certa: non esistono più i “campi” elettorali ai quali si appartiene dalla nascita alla morte. Non esistono più i grandi partiti popolari della destra democristiana e della sinistra socialdemocratica. Ambedue sono diventati “partiti medi”, come anche Freiheitlichen e verdi. E i Freiheitlichen sono ormai il nuovo partito operaio, come dimostra la retorica di sinistra – o nazional-popolare - dei loro dirigenti; e lo si vede benissimo nelle fu roccaforti rosse di Vienna o delle regioni industriali in via di de-industrializzazione.
Per la prima volta nella storia della Repubblica, c’erano 6 candidati, e per la prima volta nessun candidato della ex grande coalizione è arrivato al secondo turno. I sondaggi avevano dato per primo “il professore” (di economia) Alexander van der Bellen (tirolese per la migrazione dei genitori, profughi dall’impero di Stalin), ex-leader dei verdi, ma formalmente indipendente, con al secondo posto Irmgard Griess, ex presidente della Corte di Cassazione, indipendente liberal-conservatrice e senza un partito che l’appoggiasse, seguita da Norbert Hofer, candidato ufficiale dei Freiheitlichen. I candidati del governo li avevano dati per perdenti sin dall’inizio. Ma si sa, o si dovrebbe sapere, che molti potenziali elettori dei Freiheitlichen non si dichiarano come tali nei sondaggi, preferiscono esprimere il loro voto di protesta contro “quelli là” (il governo, le grandi banche, i migranti o chicchessia) nel segreto delle urne.
Poi, l’amara sorpresa: Ha stravinto Hofer, con van der Bellen al secondo posto, a quasi 15 punti di distanza, mentre i governativi si sono fermati entrambi a un ridicolo 10%. E anche la signora Griess, seppur di stretta misura, è rimasta fuori. È vero, van der Bellen ha vinto a Vienna e in altri 4 capoluoghi di regione (a Innsbruck col 34,27%, mentre i candidati governativi insieme non hanno superato quota 15%) ed è stato di poco superato da Hofer negli altri grandi centri urbani e in molti altri comuni, specialmente nelle regioni a forte tradizione democristiana, che ovviamente resistono meglio alla seduzione della destra populista. Ma complessivamente è stato distanziato del 15%. Serve un miracolo per ribaltare la situazione? No, ha dichiarato van der Bellen: al secondo turno si riparte da zero.
C’è l’elettore democristiano che voterà per un verde e mai e poi mai per un Freiheitlichen. Anche se la sinistra socialdemocratica probabilmente ha già votato van der Bellen al primo turno, e gran parte della destra socialdemocratica Hofer, ci sarà qualche socialdemocratico che preferisce van der Bellen. Ci sono gli elettori della Griess (quasi il 20 %), che non hanno preferenze per alcun partito, ma tendenzialmente non amano i Freiheitlichen. C’è perfino qualche elettore di Hofer che ha voluto esprimere un voto di protesta contro il governo, ma il giorno dopo, con i risultati pubblicati, si è svegliato angosciato: un presidente “blu” non lo vuole proprio e al secondo turno potrebbe restare a casa...
Nessuno può seriamente pronosticare il risultato del 22 maggio. L’unica certezza pare sia un risultato con scarso margine. Potremmo avere un Presidente di cui vergognarci all’estero (e di cui non si sa come userà il suo potere di far dimettere il governo e indire nuove elezioni, o di opporre il suo veto a leggi approvate dal parlamento). O forse un Presidente di centro-sinistra come rappresentante di una società civile aperta, moderna, pluralistica, e rivolta all’Europa, che si adopera a riunificare una nazione divisa.
In ogni caso, l’Austria che conosciamo da decenni non c’è più e le elezioni politiche del 2018 segneranno la fine di un’epoca di bipolarismo o bipartitismo. Vedremo nuove coalizioni su scala nazionale. C’è già qualche esponente della destra socialdemocratica che parla apertamente di coalizioni “rosso-blu”, in barba alle dichiarazioni sempre più inaffidabili della dirigenza. La futura maggioranza presidenziale sarà un primo test per il sistema futuro dei partiti in Austria. Auguri.