Protonterapia: ancora una scommessa
Un centro di eccellenza, ma con tanti ostacoli
Il Centro di Protonterapia di Trento rappresenta un esempio emblematico della situazione della sanità trentina. Eccellenza a livello mondiale per quanta riguarda struttura e tecnologia, il Centro ha un costo notevole per le casse dell’Azienda Sanitaria (APSS) e un compito di nicchia, ma importante, per la salute dei cittadini. Tuttavia viene oggi utilizzato solo in parte, ben al di sotto delle sue potenzialità.
Il nodo principale è il fatto che Protonterapia è parte integrante dell’Azienda Sanitaria trentina.
“Non esiste al mondo un sistema sanitario che abbia al suo interno una struttura di Protonterapia come la nostra. Noi siamo un’unità operativa dell’azienda e quindi non abbiamo niente di più e niente di meno rispetto, ad esempio, al reparto di dermatologia di Cavalese” - spiega Maurizio Amichetti, direttore del Centro.
Quella che la Provincia di Trento ha fatto è una scommessa: mettere al servizio dei cittadini (rendere cioè pubblica) una struttura che in tutto il resto del mondo è gestita privatamente. Ma questo comporta delle problematicità.
Il primo punto è il ritardo che la struttura ha accumulato già al primo anno di attività. “Ad oggi con i pazienti che hanno già completato la terapia (circa 83) e in trattamento (15), ci stiamo avvicinando al centesimo paziente. Di questi, 10 sono bambini. Nei primi 3-4 mesi abbiamo fatto dei trattamenti ridotti perché era necessario provare la macchina”.
Stando alla tabella di marcia redatta da AtreP (Agenzia provinciale per la Protonterapia, organo costituito per sovraintendere ai lavori di realizzazione e di attivazione del Centro) il Centro avrebbe dovuto trattare circa 150 pazienti nel primo anno di attività (cioè all’inizio del 2015, se si considera la fine dei collaudi avvenuta a febbraio 2014).
“L’autorizzazione del ministero è arrivata nel luglio 2014 e l’autorizzazione ufficiale a settembre 2014. A fine ottobre abbiamo trattato il primo paziente. Prima non si sarebbe potuto fare niente” - continua Amichetti.
L’obiettivo finale rimane quello di riuscire a trattare 700 pazienti all’anno a tre anni dall’apertura, così che il costo di gestione e manutenzione (circa 13 milioni di euro all’anno) venga recuperato grazie ai trattamenti erogati.
“Sono molto fiducioso che si riuscirà a raggiungere l’obiettivo, purché vengano rispettate alcune premesse: poter aprire la seconda camera per i trattamenti e avere il personale adeguato” - spiega Amichetti “Purtroppo le procedure di assunzione hanno i loro tempi”. Di fatto l’Azienda Sanitaria è titubante nell’assegnare nuove figure professionali ad un Centro che utilizza già molte risorse.
Ciò che potrebbe sbloccare la situazione è l’entrata della Protonterapia all’interno dei Lea, i livelli essenziali di assistenza che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a offrire a tutti i cittadini. In questo modo i 20-22.000 euro del trattamento, prima a carico dei pazienti o delle Aziende Sanitarie regionali, sarebbero stanziati dallo Stato, garantendo così la sostenibilità economica della struttura.
“Questo è un punto spinoso. Ad ogni modo si consideri che anche se domani entrassero in vigore le nuove norme relative ai livelli essenziali di assistenza (Lea), noi faremmo lo stesso numero di pazienti che facciamo oggi. Il vantaggio per il Centro sarebbe in prospettiva futura” - sostiene Amichetti. Per la questione dei Lea, la Provincia ha spesso scaricato la responsabilità su Roma, facendo intendere che i processi di inserimento della terapia avrebbero seguito i tempi burocratici del Servizio Sanitario Nazionale. Non è dello stesso parere Renzo Leonardi che, in un’intervista uscita sul Corriere del Trentino, sostiene che la responsabilità dei ritardi è della Provincia, asserendo che, dopo Dellai, non vi fu più la volontà politica di realizzare il Centro.
“Venendo personalmente al Centro, l’assessore Zeni ha dimostrato un interesse da cui sono stato favorevolmente colpito. Anche l’ex direttore sanitario Flor ha cercato di sostenere la protonterapia. Insieme avevamo fatto un programma e mi dispiace che sia andato via. Spero non bisognerà ricominciare da capo con il suo successore” - dice il direttore del Centro.
È particolare l’attività svolta in questa struttura, dove si lavora con un prototipo che ogni giorno presenta sfide e problemi da superare. “La nostra non è una classica unità dell’Azienda sanitaria. La ricerca e lo sviluppo sono una parte decisamente importante, molto del nostro tempo deve essere dedicato ad attività che non sono mirate al trattamento dei pazienti” - conclude Amichetti.
I pareri tutti favorevoli delle persone che sono state curate al Centro sono comunque segnali incoraggianti.
Insomma, vi sono segnali positivi, ma non ancora sufficienti. Mancano due anni a quando si dovranno tirare le somme definitive; per ora protonterapia è ancora una scommessa.