LaVis: i soldi di Rossi in fondo al tunnel
È cambiato il clima alla Cantina LaVis con il siluramento dell’Ad veronese Marco Zanoni e il subentro del commissario Andrea Girardi. Rapporti più chiari, distesi con i soci, i revisori, le banche, la documentazione che viene messa a disposizione; la fine delle relazioni privilegiate con entità veronesi come le Cantine Tommasi, che finora dalla crisi della LaVis avevano guadagnato.
Cambiato il clima, i problemi sono però rimasti sul tappeto. Ossia i numeri dei bilanci continuano ad essere impietosi. “Il bilancio consolidato chiude con una perdita d’esercizio di gruppo pari ad euro 2.574.453” - sono le parole con cui si apre la nota integrativa al bilancio al 30 giugno 2015. Un altro anno in perdita, quindi.
La relazione dei revisori cooperativi è ancor più preoccupante. Il revisore dottor Cozzio riprende pari pari le contestazioni espresse gli scorsi anni, che così possiamo sintetizzare: nei bilanci delle varie società del gruppo c’è tutta una serie di poste che sono arbitrarie, ingiustificate, e che concorrono a gonfiare artificialmente il patrimonio del gruppo. Tali contestazioni c’erano in ugual misura, ai tempi di Zanoni, al quale periodicamente la Revisione comunicava l’impossibilità di giudicare bilanci siffatti, basati su dati evanescenti. Ma Zanoni scrollava le spalle, e anzi in assemblea si scagliava contro “Cozzio e i suoi numerini”. E Girardi, che ben sa che i bilanci sono fatti di numerini e che non ha la stessa impudenza di Zanoni, come mai ripropone (con qualche riduzione secondaria) le stesse poste di Zanoni? La risposta sta nella crudezza dei numeri: Cozzio contesta circa 6 milioni di euro, di cui dovrebbe essere diminuito il patrimonio netto consolidato. Ma questo è di soli 2,873 (in diminuzione dai 5,118 del 2014); se gli si sottraggono i 6 milioni ritenuti fasulli, si arriva sottozero. Girardi cioè dovrebbe portare i libri in Tribunale.
E allora?
Che senso ha andare avanti? C’è un’ultima ciambella di salvataggio, i dieci milioni che graziosamente Ugo Rossi ha deciso, ormai un anno e mezzo fa, di regalare alla LaVis. Con quei dieci milioni (dati in cambio dei vecchi muri della cantina, iscritti a bilancio per circa due milioni) il patrimonio netto salirebbe di 8 milioni, riportandosi in attivo; a quel punto le banche riaprirebbero i crediti e la vita ricomincerebbe.
La concessione di Rossi è però legata ad un “piano di risanamento” ormai mitico: dato per imminente da Zanoni infinite volte, e ora anche da Girardi, sembra che in effetti ora ci sia.
Ma se il “piano” non arrivava mai, un motivo c’era: l’attestatore, il professionista che doveva firmarlo, assumendosene le responsabilità, nicchiava. Perché in effetti, con un bilancio su cui gravano tutte le ombre di cui sopra (e altre: Cozzio in altro documento sottolinea come una serie di valutazioni siano affidate a perizie di commercialisti raccolti in giro per l’Italia, da Napoli a Milano), la situazione non è chiara. E anche a prescindere dal peso dei debiti che ogni anno porta il risultato finale in rosso ulteriore, l’attività industriale è comunque negativa. Nel 2014-15 la gestione caratteristica è negativa di 800.000 euro, a seguito di costi diminuiti sì di 4,5 milioni, ma di un valore della produzione crollato di 8 milioni. E questo nonostante l’ennesimo sacrificio dei contadini, che si sono visti remunerare le uve circa 82 euro a quintale, contro i 107 ricevuti da quelli che conferiscono alla vicina Mezzacorona.
È tutto il sistema LaVis, concepito come velleitario “terzo polo del vino trentino”, che non ha senso e che continua a scontare le dissipazioni degli anni scorsi, con i relativi nodi che continuano a venire al pettine.
Ora Girardi ha fatto piazza pulita dei manager di Zanoni e cerca di riconfigurare la Cantina in termini più realistici, attraverso un suo ridimensionamento. Ma è una partita molto difficile, aggrappata com’è, nel brevissimo periodo, ai soldi di Rossi. Soldi assolutamente indispensabili per evitare il patacrac. Quanto al “rilancio”, si vedrà.