L’inchiesta elogiata (e condannata)
Il Tribunale Civile di Trento apprezza la nostra inchiesta sulla LaVis. Ma poi ci condanna...
Il Tribunale Civile di Trento ci ha condannati, per “offesa arrecata all’immagine della LaVis e all’onore e reputazione dell’ing. Marco Zanoni” a 39.000 euro di risarcimento, più 9.000 di spese legali.
Naturalmente ricorreremo in appello: intanto però illustriamo ai lettori questa sentenza, della quale peraltro, e non a caso, la stessa LaVis si è guardata dal menare vanto.
Nelle prime dieci pagine della sentenza, la giudice dott.ssa Monica Attanasio concorda con quanto scritto da Questotrentino (nei sei articoli oggetto del contendere, dal marzo 2011 al marzo 2012). È corretta la quantificazione in 25 euro al quintale della remunerazione “di fatto entrata nelle tasche dei contadini” nel 2010 (rispetto ai 104,89 nel 2008); era legittimo parlare di preoccupante “fuga” di soci dalla Cooperativa, e di ostruzionismo alla loro uscita; corretti anche i commenti all’”indebitamento eccessivo della Cooperative e ad una gestione in perdita” dell’esercizio 2009/10.
Su uno dei punti più critici (e da noi criticati) della vicenda LaVis - i rapporti della Cantina con ISA - il giudizio del Tribunale è molto netto: “L’intera operazione, oltre che opinabile sotto il profilo finanziario, atteso che il ricorso a finanziamenti erogati da istituti di credito avrebbe ragionevolmente consentito di pattuire un tasso di interesse più basso ed una sua restituzione in tempi maggiormente dilazionati, si caratterizzò per la sua opacità...”.
Ne consegue che le nostre denunce erano corrette. Come pure non certo denigratorio era imputare a Zanoni, Commissario della Cantina, il rifiuto alla rinegoziazione dell’accordo con Isa. Né denigratorio era criticarlo per “non aver operato una cesura netta rispetto alla precedente gestione, ma di aver al contrario confermato le persone che ne erano state responsabili (l’ex direttore Peratoner e il vice Andermarcher, n.d.r.) in posizioni che, pur ridimensionate rispetto al passato, erano comunque apicali”. Anche qui la giudice è molto netta: “Si trattava di critica fondata su un dato di realtà, e legittimi e rispondenti ad un interesse pubblico erano gli interrogativi che ne derivavano, di cui il giornalista si era reso portavoce”.
La giudice poi - attraverso un’attenta analisi dei documenti, che qui giocoforza sintetizziamo - concorda anche con le nostre denunce su “specifiche operazioni caratterizzate da scarsa trasparenza e/o dubbia convenienza”. “È il caso - scrive il Tribunale - dell’accordo concluso fra Ethica (società interamente controllata da LaVis, n.d.r.) ed ISA... è il caso inoltre, della FWI, società americana partecipata da Casa Girelli e distributrice esclusiva dei prodotti di tale società e della Cantina LaVis sul mercato statunitense: in alcuni dei suoi articoli il Paris ne parla come di un ‘buco senza fondo”.
In proposito la giudice, citando una risposta della Provincia a un’interrogazione consiliare, la relazione sul bilancio 2010 di Casa Girelli, come pure la relativa relazione del collegio sindacale, concorda con il nostro sconcerto di fronte alle ripetute forniture di vino a FWI che mai pagava, al conseguente formarsi di crediti milionari cui poi la Cantina troppo facilmente rinunciava ascrivendoli a perdita.
“In questo contesto - conclude la giudice - appariva ed appare in effetti difficilmente comprensibile che al commissariamento non si sia accompagnato un completo rinnovo del management - e l’ing. Zanoni, proprio per le sue competenze professionali, doveva sapere quale importanza riveste la discontinuità manageriale”. (Qui semmai alla giudice potremmo far notare come le nostre critiche a Zanoni non riguardino solo la mancata rimozione di Peratoner e Andermarcher per il pasticcio americano, ma anche la sua - di Zanoni - frettolosa rinuncia a 6 milioni di crediti presso FWI).
Insomma, per la giudice le nostre critiche sono risultate fondate e legittime, per di più inserite “nell’ambito di una più ampia ricostruzione operata dal giornalista del sistema della cooperazione, della sua gestione politica, delle prospettive di riforma in funzione di una sua maggiore democraticità”.
Dove sta l’offesa?
Ma sono da ritenersi espresse in termini offensivi? No, argomenta il Tribunale, “si tratta, è vero, di critiche espresse in forme spesso aspre, veementi, provocatorie” ma “va ricordato che l’esercizio del diritto di critica consente l’utilizzo di espressioni forti ed anche suggestive al fine di rendere efficace il discorso e richiamare l’attenzione di chi ascolta” e che le espressioni da noi adoperate nei confronti di Zanoni e della Cantina, “se pure colorite, rudi, forti, iperboliche, si sono tuttavia mantenute all’interno del tessuto narrativo ed argomentativo dei temi esaminati, senza quindi trasmodare in aggressioni verbali gratuite ed ingiustificate”.
Ma se le cose stanno così, se la giudice sembra perfino apprezzare “le vicende narrate e le tematiche affrontate negli articoli di cui si discute” dei quali sottolinea “la risonanza politica” “l’eco e il riscontro in interrogazioni in Consiglio provinciale”, “il sicuro interesse per l’opinione pubblica”, in presenza insomma di tutte queste valutazioni positive - si chiederà a questo punto il lettore - come mai una condanna?
Ce lo chiediamo anche noi.
In questo nostro lavoro per far emergere una vicenda grave, complessa, dalle molteplici opacità, dove abbiamo sbagliato?
I nostri “errori”
Sono sostanzialmente tre i punti che la giudice ci contesta. Il più grave sembra essere l’aver posto “nuovi interrogativi, riguardanti non più la vecchia gestione, ma quella del Commissario Zanoni”, sostenendo che “l’avviato risanamento della LaVis sarebbe soltanto una ‘versione ufficiale’, contrabbandata dal Commissario alla stampa locale”. E tutto questo senza portare motivazioni, anzi fornendo “informazioni errate, se non del tutto false” attribuendo al bilancio 2010/11 “‘quasi 80 milioni di debiti (79,6 per la precisione)’”, mentre in realtà erano 65.247.433.
Ora francamente, che il risanamento della LaVis fosse al 2011 una mera “versione ufficiale per la stampa”, ci sembra più che acclarato da tutti i fatti successivi, compresi l’attuale stop al credito da parte delle banche e i milioni che la giunta Rossi cerca disperatamente di convogliare alla Cantina, con ogni evidenza tutt’altro che risanata; ma anche nei nostri articoli di allora le motivazioni le portavamo, a partire da significativi passaggi della relazione di Revisione Cooperativa del 2011, che l’operato di Zanoni sostanzialmente stroncava. In quanto poi al dato da noi riportato sui debiti nel bilancio 2010/11, non è errato e si tratta di comprenderne l’esatto senso, come sarà argomentato in Appello.
Il secondo punto che ci viene contestato riguarda “il discorso del ‘buco nero’ di FWI (la società americana in cui sparivano i milioni della Cantina ndr) affermando che nel marzo 2011 nel CdA di tale società era entrato Fausto Peratoner e chiosando che ‘Sembra un ingresso fortunato: secondo notizie che ci aspettiamo vengano quanto prima verificato, la FWI, nonostante le perdite milionarie, pare abbia riservato compensi altrettanto milionari ai proprio amministratori, per la precisione 1.051.000 dollari’”.
La giudice lamenta la mancanza di qualsiasi prova dell’ingresso di Peratoner nel cda di FWI, e che anzi, nella documentazione da noi prodotta, la somma di 1.051.000 dollari “è riferita non ai compensi degli amministratori, ma alle spese generali e amministrative”.
Anche qui capiamo fino a un certo punto il ragionamento della giudice: se le nostre prove sull’attività di Peratoner in FWI sono lacunose o insufficienti, è cosa di cui può dolersi lo stesso Peratoner, non certo LaVis o Zanoni. I quali anzi dovrebbero esserci grati se, con le nostre modeste capacità investigative, abbiamo rivelato un legame tra l’ex direttore e la società in cui sono spariti i milioni della Cantina; anzi, magari potrebbero loro approfondire la cosa e finanche esercitare fino in fondo un’azione di rivalsa (come più volte richiesto dai soci in assemblea e per ora avviata in termini molto timidi) sull’ex amministratore. Il quale quindi potrebbe essere l’unico a risentirsi di quanto da noi scritto: ci faccia una causa, così avrà finalmente modo di spiegare i suoi rapporti con la società americana, i suoi compensi e soprattutto la fine di almeno sei milioni di euro.
Infine la terza contestazione del Tribunale: “Prendendo le mosse da un fatto vero, e cioè il diniego frapposto alla richiesta di un socio di avere copia di alcuni documenti” noi siamo arrivati “ad affermare che il diniego comportava una consapevole espropriazione dei soci dai loro diritti e poteri”.
Ma questo diritto dei soci è in realtà molto limitato, puntualizza il Tribunale e “i documenti di cui era richiesta copia non rientravano tra quelli accessibili ai soci”. Quindi la nostra accusa a Cantina e Commissario di aver scientemente violato i diritti dei soci, è ingiusta. E tale rimane anche se, nel numero successivo, noi la ritiravamo, “inquadrando questa volta il tema nell’ambito normativo vigente: ‘Il socio che chiede documenti si trova di fronte le porte sbarrate (citazione da QT dell’aprile 2011, riportata dalla giudice, n.d.r.); come abbiamo denunciato nel numero scorso, al socio che chiedeva i contratti di LaVis con Isa e FWI, il commissario Zanoni ha risposto di no. Quelle carte se le tiene per sé. E purtroppo ha ragione. Il codice civile prevede che il socio possa accedere solo ai bilanci, ai verbali delle assemblee, ai libri dei soci. Cioè praticamente a niente; conoscendo come sono fatti i bilanci, un socio, anche con il supporto di un commercialista, se non può accedere ad ulteriore documentazione, non ha contezza delle dinamiche aziendali, insomma non ha poteri”.
Questa citazione illustra bene il senso della nostra inchiesta, rivolta a scavare - anche indagando su un caso forse estremo come quello della LaVis - all’interno delle evoluzioni (o involuzioni) del mondo cooperativo, in particolare nei critici e cruciali rapporti tra soci e management. Per la giudice invece questo nostro scritto costituisce la ritrattazione di un’accusa ingiusta (“aver scientemente violato i diritti dei soci”), che pertanto è rimasta operante dal marzo all’aprile del 2011, un “ristretto arco di tempo” cui va però commisurato il danno subito da LaVis e Zanoni.
Una questione di democrazia
Queste quindi le imputazioni in base alle quali siamo stati condannati a pagare un totale di 48.000 euro.
Come detto, non siamo d’accordo. È una questione di democrazia. Da una parte c’è un’inchiesta complessa, articolata, di sicuro spessore sociale come riconosce lo stesso Tribunale; dall’altra qualche secondaria imprecisione (una sola, quella sui diritti dei soci, secondo noi, peraltro prontamente corretta). Non si può tagliare le gambe a chi ha svolto un lavoro di tale portata, pluriennale per via di una svista. Vorrebbe dire, nei fatti, proibire il giornalismo d’inchiesta.
Già oggi, come denunciato in questi giorni dal presidente Fabrizio Franchi all’Assemblea dell’Ordine, i giornalisti sono soggetti a pesanti intimidazioni, e porta ad esempio proprio la Cantina di La-Vis, “un grande buco nero per le casse pubbliche. Ebbene, le minacce hanno fatto un salto di qualità: i dirigenti della Cantina, a iniziare dal suo presidente, non solo inviano diffide ai giornali, ma attaccano pubblicamente dei colleghi, facendone nome e cognome - Ettore Paris di Questotrentino, Enrico Orfano del Corriere e Francesco Terreri de L’Adige: un evidente invito ai soci della cantina ad agire contro di loro”.
Noi aggiungiamo come nei quotidiani si sia ormai fatta strada la massima “meglio il buco che la querela”, meglio evitare di dare una notizia che rischiare un procedimento giudiziario da parte di soggetti particolarmente aggressivi.
Noi crediamo che questa sia una china pericolosa per il Trentino, e vi resisteremo.
Finché possibile.