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E se sindaci governassero il mondo?

La concretezza delle politiche comunali può fare molto per aggredire i problemi planetari

Proprio questo fine settimana, mentre esce questo numero di QT, ad Amsterdam, su invito dei sindaci delle principali città olandesi, si riunisce, il comitato preparatorio per il “Parlamento globale dei Sindaci” (Global Parliament of Mayors). Un’altra iniziativa di sindaci megalomani destinata a finire nel ridicolo o a svanire senza lasciar traccia? Non credo; comunque ad Amsterdam ci sarà anche il sottoscritto, incaricato dalla nostra sindaca. Saranno rappresentati anche i primi cittadini di Vienna e Graz, nonché l’associazione delle città austriache. Per discutere di “global governance”, con il che non si intende un ipotetico quanto utopico governo mondiale, ma un modo di trovare e realizzare, soluzioni - anche parziali e pragmatiche - per i grandi problemi globali (l’effetto serra, i flussi di migrazione...), difendendo e rafforzando la democrazia grazie a una rete di soggetti “deboli”, come sono le città rispetto agli Stati cui appartengono.

Benjamin Barber

Un anno fa, Benjamin Barber, docente di scienze politiche della City University di New York, pubblicò un libro intitolato appunto “E se sindaci governassero il mondo?”, il cui sottotitolo comprende tutto il suo programma: gli Stati nazionali non funzionano più, cioè sono costituzionalmente incapaci di risolvere problemi globali in modo cooperativo, mentre le città già lo fanno.

Los Angeles, ad esempio, con la ristrutturazione del porto (in cooperazione con investitori cinesi, quando il governo federale non ha potuto o voluto investire) ha fatto di più per ridurre le emissioni di CO2 che non le ultime tre conferenze mondiali sul tema organizzate nell’ambito delle Nazioni Unite. Migliaia di città, grandi metropoli come New York o Londra e città medio-piccole come Innsbruck ed altre centinaia in Europa, con le loro politiche per ridurre il traffico individuale o per rafforzare l’efficienza energetica nel settore delle costruzioni, riducendo così la dipendenza da petrolio e carbone, hanno sviluppato politiche per salvare il clima sulle quali i capi di governo chiacchierano senza fare progressi. (“busily doing nothing”, dice Barber, cioè dandosi l’aria di occuparsi fattivamente dei problemi, ma con risultato zero). Il contributo di Michael Bloomberg, quando era sindaco di New York, allo lotta contro la diffusione delle armi private è stato molto più efficace di quanto ha fatto Barack Obama, e Leoluca Orlando, come sindaco di Palermo, ha combattuto la mafia molto più efficacemente che tante politiche per il Mezzogiorno. E Boris Johnson, sindaco conservatore di Londra (in eterno dissidio con il suo partito quanto il suo predecessore, il “rosso” Ken Livingston), in un’intervista sul nuovo sistema di noleggio di bici e corsie preferenziali, ha detto seccamente: “È un sistema comunista, ma non m’importa, funziona”. Un episodio citato per sottolineare che le politiche cittadine, di regola, sono meno ideologiche e più pragmatiche. E devono esserlo per forza, dato che - sono ancora parole di Bloomberg - “la raccolta dei rifiuti non è di destra o di sinistra. O funziona o non funziona”. La stessa cosa la sottolineava il leggendario sindaco di Gerusalemme Teddy Kolek, quando gridò ai fanatici religiosi (sia ebrei che islamici): “Io vi sistemo le discariche, voi risparmiatemi le prediche!”

Il libro di Barber, però, non è una collezione di aneddoti e citazioni. È una raccolta di studi seri e approfonditi su come (e perché) funziona lo Stato nazionale dalla sua nascita fino ad oggi, e come funzionano le città, dall’agorà di Atene fino all’associazione volontaria delle città portuali della “Hanse”, dall’inizio dell’economia capitalistica fino alla sua vocazione “glocal”, con nuovi movimenti sociali tipo “Occupy” e nuove strategie per sviluppare la partecipazione dei cittadini.

Lo Stato-Nazione, con la rivoluzione borghese, contenitore della democrazia, è “naturalmente” esclusivo ed egoistico; i governanti, per legittimarsi, devono difendere l’interesse nazionale, il che fa sì che gli interessi planetari, dell’umanità intera, vanno a farsi benedire. Le città invece sono inclusive da sempre, terreno di nascita della democrazia partecipata, forze civilizzatrici, soggetti deboli, sì, ma appunto per questo, consci dell’interdipendenza e pronti alla cooperazione, anziché difensori della sacra indipendenza (nazionale) e della competizione.

Una rete di sindaci, dunque, potrebbe “salvare” il pianeta - con il suo umile e concreto lavoro quotidiano al servizio dei cittadini. Organizzare questa rete, in modo informale, volontario: di ciò si era occupato. Ora questo primo incontro europeo. Vedremo. E speriamo.