Corso Nuovo (oggi Bettini): metafora del ‘700 roveretano
Il progetto razionalista del nuovo viale aperto a nord di Rovereto nel tardo Settecento, e l’attuale rilancio in funzione di una riproposizione del centro-storico della città
Nelle due “cartoline roveretane” uscite nei mesi scorsi (aprile e giugno) abbiamo visto come lo sviluppo economico prodotto dalle attività seriche (filande e filatoi, tintorie, case commerciali, ma anche tutte le attività che ruotavano loro attorno) abbiano plasmato nei secoli XVII e XVIII il volto della “città bassa”, sorta attorno alle fonti energetiche del periodo, quelle rogge che, alimentando le strutture produttive, scorrevano sotto i primi nuclei abitati di Rovereto: la zona medioevale di via della Terra (ai piedi del castello) e quella veneziana intorno alla chiesa di S.Marco (costruita nel secolo XV, quando Rovereto faceva parte della Repubblica di Venezia).
Abbiamo visto come la zona sulla sinistra del Leno, quella che attualmente si chiama di Santa Maria (ed allora invece Borgo San Tommaso, ed era dipendente dalla comunità e dalla parrocchia di Lizzana) sia sorta come quartiere industriale a partire dal Seicento, mentre la zona lungo l’altro lato del fiume si sia strutturata urbanisticamente attorno alle tre piazze - del Grano, di S.Carlo, e delle Erbe - create dalla metà degli anni ‘20 alla metà dei ‘60 del Settecento sulla base di spontanee attività edilizie private, solo regolamentate dalla municipalità.
Oggi, per concludere, possiamo vedere invece quella zona della città sorta nell’ultimo quarto del XVIII secolo a nord, verso Trento, per diretto impulso della municipalità stessa, ma anche qui con il contributo della partecipazione privata, soprattutto quello delle più ricche famiglie nobili, che stabilendovi le loro nuove monumentali residenze hanno contribuito a dar vita al Corso Nuovo (oggi Corso Bettini), che Lucio Franchini definisce - nel libro che ha dedicato a questa parte di città - “una via-monumento, decorata dalle facciate di importanti strutture pubbliche e di maestose residenze private in reciproco rapporto celebrativo, diventando, senza alcun dubbio, il principale spazio comunitario del tempo [...] una metafora espressiva ed efficace del grado di civiltà raggiunta da Rovereto nel Settecento”. Dal 2003 rilanciata dalla principale iniziativa pubblica concepita a Rovereto nella seconda metà del Novecento, e realizzata assieme alla Provincia: il Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, il MART.
Dal Corso Nuovo al MART
Nel primo Settecento, l’abitato di Rovereto finiva a nord, oltre lo snodo di piazza delle Oche, con il palazzo suburbano del Bene-d’Arco ad est (oggi sede della Cassa di Risparmio, in piazza Rosmini) e ad ovest con la contrada “Ai Paganini” (oggi via Paganini), oltre i quali partiva la “via Imperiale”, che collegava la città con Trento e da lì con il centro-Europa. Caratterizzata ancora - nonostante l’importanza - dalla forma di una carrareccia rurale, che passava fra campagne delimitate da muriccioli, e dopo mezzo miglio incontrava il convento di San Rocco, voluto dai roveretani a ricordo della terribile peste del 1630 (quella raccontata dal Manzoni nei “Promessi sposi”). Fin dagli anni ‘30 negli atti dell’amministrazione civica si trovano tracce dell’intenzione di rettificare la via Imperiale fino al convento, per creare la sede adatta ad un razionale sviluppo urbano in quella direzione, ma solo nel 1768 ci sono le condizioni per tracciare un primo rettilineo di 160 metri, e nel 1771 per affidare al perito Bernardino Tacchi - di una famiglia di costruttori di origine lombarda già attiva a Rovereto da qualche generazione - il compito di stendere il progetto della nuova via, che verrà chiamata Corso Nuovo, nella perfetta consapevolezza dell’importanza che l’apertura della nuova arteria avrebbe avuto per l’immagine e il decoro della città.
A partire da una memoria del filosofo Antonio Rosmini, a Rovereto è circolata l’idea che il vero ideatore del Corso Nuovo sarebbe stato un suo zio, l’architetto neoclassico Ambrogio Rosmini. Ma recenti studi sistematici di Lucio Franchini hanno portato a rimettere in discussione questa tradizione, dando all’amministrazione civica settecentesca e a Bernardino Tacchi il merito di aver concepito, da una parte, e realizzato tecnicamente, dall’altra, l’importante progetto dell’apertura di un ampio viale monumentale come biglietto da visita della cittadina - al culmine di un paio di secoli di sviluppo economico e civile - per chi arrivava da nord. Ma questo nulla toglie naturalmente al merito di Ambrogio Rosmini di avere forgiato invece l’aspetto architettonico del nuovo viale con un classicismo essenziale e misurato, che guardava più alla Roma cinquecentesca che alle forme canonicamente neoclassiche, disegnando per la municipalità il progetto del Magazzino del Grano (1772-1776), e per famiglie nobili con cui era in stretti rapporti il palazzo Bossi-Fedrigotti (1790-1794), e la facciata di palazzo Alberti (1778-1779), principali emergenze architettoniche del Corso Nuovo insieme al palazzo Piomarta (1771-1777, dalla facciata di una imponente e aristocratica monumentalità tipicamente neoclassica, insolita per Rovereto, dell’architetto Francesco Giongo di Lavarone) e al teatro Zandonai (settecentesco, ma con facciata sul Corso del 1871).
L’apertura nel 2003 del MART, nella sede disegnata da Mario Botta, che si insinua con le sue linee tardo-razionaliste in maniera discosta fra due palazzi settecenteschi (sviluppando una facciata circolare “interna”, non visibile direttamente dal Corso), ha rilanciato questa zona della città come nuovo centro, grazie anche al restauro ed al trasferimento nei più importanti palazzi storici di nuove attività e funzioni: l’università nei palazzi Bossi-Fedrigotti e Piomarta, l’assessorato cultura del Comune e uno spazio espositivo del Museo Civico in palazzo Alberti, oltre alla Biblioteca civica da decenni ospitata in quello che era il Magazzino del Grano (con un enorme parcheggio sotterraneo d’attestamento, per l’ingresso a piedi al centro storico).
Il rilancio dovrebbe completarsi fra poco con la riapertura al pubblico dello storico Teatro Zandonai dopo un lungo e costosissimo restauro, che si è dovuto confrontare con infinite difficoltà, mentre rimane ancora in sospeso il progetto accarezzato dall’attuale amministrazione comunale di apertura al pubblico dello splendido giardino all’italiana di palazzo Bossi-Fedrigotti, per il quale andrebbe approntata una messa in sicurezza, a tutela del pubblico dai possibili pericoli nascosti da un’area verde articolata su più piani.
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Le informazioni divulgate da questo articolo sono prese dal volume editato dal Comune di Rovereto nel 2007 “Il Corso Nuovo Grande”, di Lucio Franchini, docente di Tecnica del Restauro Architettonico presso il Politecnico di Milano.