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QT n. 9, 1 maggio 1999 Servizi

Trento città-ponte verso l’Europa: utopie, progetti, promesse elettorali

I candidati a sindaco parlano di Trento "città ponte verso l'Europa... cuore verde delle Alpi... grande ruolo storico..." Questi discorsi, quanto sono realistici?

Sono ricchi di proposte avvincenti i programmi dei candidati sindaco. In particolare di Pacher, quando parla di "Trento e la sua identità", concetto su cui insiste molto: "L’identità urbana deve essere costruita entro un più vasto contesto... parlare di reti di città significa superare definitivamente una concezione debole ed autolesiva della competizione urbana, inutile eredità di logiche campanilistiche incapaci di costruire un disegno maturo di eccellenze diffuse e concordate...";insomma, possiamo essere tra i migliori, purché, invece di bisticciare con Rovereto, sappiamo tessere rapporti di collaborazione ad alto livello con una pluralità di Comuni. Non solo: Trento ha "grande ricchezza architettonica, eredità storica, potenzialità culturali... è il capoluogo di una regione che è il cuore verde delle Alpi"; con queste potenzialità Trento "può entrare con coraggio nella gestazione del nuovo millennio, gettando ponti di cultura, di pace, di dialogo..."

Il candidato Eccher è più sintetico, vola più basso; comunque anche per lui si tratta di "recuperare il ruolo della città, la ricchezza storica, culturale, economica di una realtà che rappresenta il punto d’incontro fra l’Italia e l’Europa".

A questo punto ci viene in mente il prof. Marcello Vittorini, estensore dell’ultimo Piano regolatore del capoluogo: lo ricordiamo in consiglio comunale, quando con voce dolcissima e parole alate ci faceva sognare parlando di "Trento capitale", e intanto propinava autentiche schifezze (la super-metropolitana di Malossini, gli acquisti da Tosolini) e un Prg che avrebbe fatto acqua da tutte le parti. Ora, tornando a noi, tutti questi discorsi su potenzialità, ricchezze, vocazioni della città, quanto sono realistici? E quanto servono invece per solleticare l’orgoglio del cittadino-elettore? Insomma, anche in questo caso: che distanza c’è tra i programmi elettorali e la possibile successiva attuazione?

E’ vero, sono progetti di grande ambizione - conviene Pacher - Ma non credo che sopravvalutino Trento, se noi non ci fermiamo alle dimensioni demografiche nel guardare alla città. Se invece vediamo l’insieme dei soggetti che hanno rapporti in contesti internazionali, troviamo una situazione ricchissima: l’Università anzitutto, ma anche il volontariato, il mondo economico, l’associazionismo culturale..."

Semplificando, Pacher vede questa proiezione di Trento articolarsi su due livelli: il primo è quello che vede abbandonare gli antichi, un po’ esangui rapporti bilaterali fra città (come i gemellaggi) per sostituirli con rapporti più robusti tra una pluralità di soggetti, la famosa "rete di città" di cui Trento dovrebbe farsi punto di riferimento.

A spiegarci nel concreto il progetto è l’assessore alle attività economiche Franco Grasselli (entrato in giunta come assessore esterno - era segretario della Confesercenti - e ora in cerca di riconferma nella lista dei Ds, in cui avrebbe dovuto essere capolista, ma poi hanno bloccato tutto i giochi delle appartenenze...): "E’ l’economia, è l’Europa a imporci, ma anche a facilitarci questo percorso. Con la caduta delle barriere e le liberalizzazioni, tra due anni può venire l’Atesina tedesca a gestirci gli autobus, o un’azienda di Lione la nettezza urbana. E la concorrenza non è più solo tra impresa e impresa, ma tra territorio e territorio: perché diventano elementi di competitività l’efficienza della pubblica amministrazione, i trasporti, l’istruzione...

Allora, quello che poteva sembrare un’intuizione, uno slogan di politica estera del Comune (città in rete, città-ponte) diventa una necessità per mantenersi a livello competitivo: di fronte alla liberalizzazione dei servizi, o ti allei o sei perdente."

Questi i presupposti ideologici, le buone intenzioni su quello che si farà. Un’amministrazione uscente deve però presentare anche un bilancio di quello che si è fatto. Grasselli non si tira indietro: "Le grandi riforme o le fai ora o non le fai più. Certe scelte si possono fare solo in momenti di tranquillità finanziaria e sociale, quando invece c’è crisi nasce la tendenza protezionistica, c’è subito chi protesta se dai la casa all’albanese. Ora siamo in fase ancora positiva: Trento ha il livello d’inflazione più alta d’Italia, il che è un danno, ma è anche l’indicatore macroeconomico di una domanda di consumi, di disponibilità di reddito, di ottimismo.

Se vogliamo raggiungere un’apertura europea contro il rischio sempre incombente delle barriere, delle protezioni, questo è il momento. Nei momenti critici le alleanze magari le fai, ma per disperazione, con i rischi conseguenti."

Insomma, gli ultimi miliardi dell’Autonomia possono essere utilizzati per gestire l’apertura del Trentino. Perché ogni apertura passa attraverso il superamento di campanilismi, di rendite di posizione, la crisi di equilibri consolidati; e i processi di fusione iniziano sempre con razionalizzazioni, spostamenti di personale, dimezzamento dei dirigenti.

Franco Grasselli elenca i lavori in corso: "Da due anni lavoriamo alla fusione tra la Sit di Trento e la Azienda Servizi Municipalizzati di Rovereto: sarà la più grande società trentina (Trentino Servizi spa, 270 miliardi di capitale sociale), simbolo del superamento delle barriere tra Trento e Rovereto. Dopo 15 anni razionalizziamo l’Interporto, con un piano attuativo per l’inserimento di aziende di autotrasporto e all’ingrosso, e con l’accordo con le FS per il trasferimento entro il 2003 dello scalo Filzi e lo sviluppo dell’intermodalità: un progetto da gestire in comune con Bolzano, sul quale Durnwalder si è già dichiarato pronto a investire 8 miliardi. E al posto della Farmaceutica Municipalizzata abbiamo deliberato la costituzione di una spa, che collegherà le farmacie comunali di Trento, Volano, Fai, Andalo, Arco, Riva, Pergine: questa è la nostra politica di apertura alle collaborazioni, alle alleanze, che oggi sono una necessità: il mettersi in rete non è più uno slogan, né una proposta solo culturale; è l’economia stessa che sta unendo i territori."

Le esperienze portate da Grasselli, pur concrete, rappresentano però solo un primo livello della proiezione, che è anche internazionale (anzi, soprattutto internazionale), vagheggiata dal programma di Pacher. La città-ponte è qualcosa in più, un elemento propulsivo a livello internazionale, non uno dei tanti...

A lavorare su quest’ipotesi si era a suo tempo speso Andrea Zanotti, docente di Diritto canonico a Bologna, che con l’amministrazione Dellai nel ’95 aveva promosso il Civitatum concilium, il Concilio dei sindaci, che aveva riunito a Trento sindaci e rettori universitari da tutta Europa. Un evento di prestigio (che riuscì a unire il sindaco di Sarajevo, il vice-sindaco di Belgrado, una rappresentante di Dubrovnik in un abbraccio teletrasmesso via satellite a Sarajevo assediata). Poi però l’iniziativa non ebbe seguito. Come mai? Non è che Trento sia troppo poca cosa per sostenere iniziative di tale livello

"Bisogna avere il coraggio di creare simboli, un’immagine aderente alla tua identità storica; e poi essere in grado di lanciare quest’immagine e coltivarla - ci risponde Zanotti - Se oggi Trento è nota a livello internazionale, è come città del Concilio. Un frutto della grande intuizione di Bernardo Clesio: portare la città dentro il circuito europeo. E per far questo da una parte adeguò l’intero impianto cittadino: sfondando Piazza Duomo per creare una grande via centrale adornata da palazzi importanti, restaurando il Magno Palazzo e dotandolo di una biblioteca internazionale, rettificando il Fersina e portandolo via da Piazza Fiera per rendere più sicura e salubre la città. Dall’altra, accortosi tra i primi dell’insanabilità della frattura con il mondo protestante, ecco l’idea di gestire la frattura, e di fare il Concilio a Trento."

Clesio sfruttò i fondi derivantegli dall’essere il grande consigliere dell’imperatore Carlo V: e li utilizzò per fare di Trento una città europea. "Analogamente oggi si tratta di utilizzare i soldi della Provincia per fare di Trento un luogo forte nell’immaginario collettivo, un luogo della conciliazione internazionale."

Non si sta sognando? Che carte ha Trento per giocare questo ruolo?

"C’è l’Autonomia, che significa non solo quattrini, ma possibilità giuridica di attivare rappori internazionali; c’è un tessuto di 85 organizzazioni di volontariato; ci sono strutture transnazionali come l’Università e l’Itc; c’è una terra bella e quindi ospitale; una città di pregio architettonico, che può farsi egregiamente teatro..."

Eppure il Concilio dei sindaci si è fermato alla prima edizione.

"Si è esaurito perchè andava istituzionalizzato, non poteva andare avanti sul solo volontariato. Instaurato il rapporto con Sarajevo, una volta arrivata la pace, gli imprenditori trentini dovevano essere stimolati ad aprire rapporti con la Bosnia. Attivato il rapporto con Belgrado, bisognava mantenerlo, e oggi sappiamo quanto ce ne sarebbe bisogno. Nella situazione attuale si comincia a capire che gli sceriffi non bastano più; e allora si deve costruire l’alternativa."

Pacher, seppur più cauto, è sulla stessa linea d’onda: "La soluzione ai problemi della convivenza è oggi troppo appiattita sull’intervento armato, oppure umanitario. Bisogna puntare sulla collaborazione, sulla diplomazia di base, attraverso le relazioni che le città possono tessere con le città dei paesi in guerra. Al di là degli stati nazionali, proprio le città possono farsi attrici a questo livello. E Trento potrebbe farsi capofila per un incontro dei sindaci delle città investite dai conflitti, Belgrado, Sarajevo, Pristina, Tirana. Per questo l’esperienza del Concilio dei Sindaci non è chiusa, ma andrà riproposta, come conferenza europea delle città sui temi della convivenza; e potrebbe essere permanente, con sede a Trento, almeno nella fase di avvio."

Ma la città ha le risorse, le capacità per un progetto del genere? C’è la proiezione internazionale degli industriali; quella, molto spiccata, dell’Università (vedi scheda). Ci sono le tante associazioni di volontariato, attive soprattutto in Africa; c’è - per esempio - il rapporto con il Mozambico, in cui il processo di pace è stato attivato anche grazie all’opera del trentino Mario Raffaelli, allora sottosegretario degli esteri, alcuni dirigenti si sono formati a Trento a Sociologia, e in questi giorni la famiglia Kessler ha sovvenzionato un Istituto superiore. C’è la complessa azione diplomatica di una parte della Curia trentina verso la Chiesa ortodossa, anticipatrice a suo tempo di una possibile Ostpolitik vaticana (anche qui vedi la scheda).

"E’ sull’insieme di queste tante risorse che contiamo per il nostro progetto - afferma Pacher - Il Comune deve facilitare questi rapporti: deve dare una cornice istituzionale, ma a percorsi di collaborazione in cui ci sia già operante una qualche articolazione della società."

Riproponiamo a Claudio Eccher la stessa tematica; e il dubbio che nelle proposte dei candidati ci sia un eccesso di utopismo. Il chirurgo tiene a distinguere: "La nostra è una proposta, di chi si affaccia ora alla politica; mentre chi ha già amministrato dovrebbe portare dei consuntivi. Noi invece lanciamo una sfida. Trento è una città schiacciata tra Verona e Bolzano, ed ha perso la passata leadership, la capacità attrattiva che, grazie all’Autonomia, aveva anche rispetto a una città dinamica come Verona. Nel mio campo ho cercato di favorire questi rapporti, sono stato il primo a stipulare una convenzione con Verona e un accordo con Bolzano e Innsbruck nel campo dei trapianti. E questa esperienza ritengo si possa trasferire dal campo medico in altri settori."

L’esempio di Eccher a noi sembra concorde con la visione di Pacher e Grasselli: è la logica delle cose, le dinamiche della società, a spingere perché le città si mettano in rete; e l’amministrazione deve fornire la cornice, favorire questo processo...

"Il fatto è che nella realtà Trento sta attraversando un periodo di stallo, perdiamo terreno - distingue Eccher - Vediamo l’aeroporto: uno studio di Civilavia aveva valutato Trento, Bolzano e Innsbruck, e aveva concluso che Trento era la località più vocata. Bene, oggi Bolzano e Innsbruck l’aeroporto ce l’hanno, noi stiamo ancora a discutere..."

Non è un esempio un po’ riduttivo? Serve proprio avere l’aeroporto a cinque minuti da casa? A Innsbruck si è visto che è un problemaccio, a Malpensa i cittadini scendono in piazza esasperati...

"Io rispondo: ma voi pensate che Bolzano sia così altruista da fare l’aeroporto che inquina solo loro e serve anche noi? O invece non è che hanno fatto i loro calcoli? E poi ci sono altri campi: l’Interporto, il polo fieristico: qui si discute, lì si fa."

Ma questi, l’Interporto, l’aeroporto, non sono esempi di sviluppo tipo anni ’60? In fin dei conti, rispetto a Bolzano non è stata più lungimirante Trento a puntare sulla cultura, sull’Università?

"Quelli che ho fatto sono esempi. E i sudtirolesi, quando hanno deciso per l’Università, se la sono fatta, e come hanno voluto loro.

Sulla cultura: abbiamo un centro storico bello, ma alla sera chiuso, con gli universitari che non sanno dove andare. Vogliamo che Trento continui ad essere una bella addormentata?"

Approfittiamo per chiedere delucidazioni su un punto un po’ generico del programma di Eccher, dove si parla di "ridisegnare la politica culturale del Centro Santa Chiara": che vuol dire?

"Il Santa Chiara è un bellissimo centro, ma non riesce ad avere una sua vera connotazione."

Ma cosa non va bene, cosa andrebbe cambiato?

"Non mi può chiedere dettagli. Come linea generale posso dire che l’attività del Santa Chiara deve essere ridisegnata in un’ottica diversa, riconsiderando l’attività dei teatri periferici."

Passiamo al discorso più generale. Anche il programma di Eccher si rifà alla "Trento città del Concilio che scrisse pagine memorabili... terra di raccordo tra diverse civiltà... che segnò i destini dell’intera Europa... oggi ha le carte in regola per diventare la capitale alpina..."

Come si sostanzia tutto questo, e come valuta l’esperienza del Concilio dei sindaci della passata amministrazione?

"Non ho elementi per valutare il Concilio dei sindaci. Quello che vedo invece è la possibilità di utilizzare Trento Città del Concilio all’interno del grande prossimo movimento attorno al Giubileo. Sarebbe una notevole opportunità, anche economica, e soprattutto per far conoscere la città. Ma su questo, non si sente dire alcunché."

Eccher scrive di Trento "terra di raccordo tra diverse civiltà" ed è candidato del centro-destra, e in caso di ballottaggio si appoggerebbe ai voti leghisti. Come vede la presenza degli extra-comunitari? Se, per esempio, volessero una moschea, avrebbero gli stessi diritti (contributi) dei cattolici?

"Se l’immigrazione è regolamentata, non è solo un atto di solidarietà, è una risorsa. E come i nostri emigranti, anche gli attuali immigrati, fuori dal loro contesto, sono persone deboli, che vanno aiutate. Anzitutto combattendo l’identificazione immigrato uguale malavitoso, e riconoscendo loro piena dignità.

Sulla moschea: a Roma hanno eretto la moschea più bella del mondo, mentre invece in tanti stati islamici - anche la Tunisia, il Marocco - i nostri cristiani sono costretti a sopravvivere come ai tempi delle catacombe. Quindi la moschea va bene, ma solo se c’è un minimo di reciprocità."

Perché gli altri sono illiberali, dobbiamo esserlo anche noi? Lei crede nella società multietnica, nella terra di raccordo di diverse civiltà? Se crede nel valore dell’apertura culturale, non dovrebbe ipotizzare chiusure solo perchè altri sono chiusi.

"E’ una questione di rapporti internazionali: non vedo perché dobbiamo rassegnarci al fatto che i nostri praticanti siano impediti nella loro espressione nei paesi musulmani. Per quanto riguarda l’apertura alle altre culture, io sono favorevole, immagino una società dove convivono diverse culture come quella inglese. Con la natalità agli attuali livelli, stiamo andando in quella direzione. E dovremo darci delle regole, perchè questo avvenga in modo positivo, senza traumi; fermo restando che la nostra cultura, le tradizioni ereditate dai nostri padri, vorremmo trasmetterle ai nostri figli."