Quei 10 milioni buttati
Mentre il Trentino arranca, Rossi sbraca: 10 milioni per la LaVis, un’azienda decotta. L’etica economica stravolta solo per ribadire il proprio potere di Presidente.
A Ugo Rossi non è andata bene. Come avevamo riferito nel numero di maggio (“10 milioni targati Rossi”), il presidente della Giunta si è personalmente impuntato per fare arrivare il ricco contributo alla LaVis. Però, oltre a un’incerta opposizione dell’alleato PD (su cui ritorneremo), si è trovato di fronte una serie di sdegnate riprovazioni nella società e nella pubblica opinione. E anche i quotidiani, adusi a spacciare per informazione le veline della Cantina, (ricordiamo titoli come “LaVis: bilancio col segno più” e “Il rilancio in atto”, a commento del bilancio 2012-13, chiusosi invece con una perdita, ignorata dalla stampa, di 6.743.669 euro), si sono messi a criticare aspramente Rossi e - addirittura! - a leggere i bilanci della Cantina evidenziando la montagna di debiti.
Il fatto è che quel maxi contributo è un insulto alla politica economica e all’etica istituzionale, oltre che uno schiaffo all’insieme della popolazione trentina, chiamata a sopportare tagli e sacrifici, dagli infermieri alle maestre d’asilo, dai vigili alle biblioteche, e che qui invece si trova costretta a pagare di tasca propria (40 euro da ogni singolo contribuente) un aiutino, anzi un aiutone, fuori dal senso comune.
L’economia
Dunque, la politica economica anzitutto. L’esperienza della crisi ha dimostrato l’illusorietà degli aiuti alle aziende in difficoltà sotto forma di lease back. E quello alla LaVis è appunto un lease back, cioè un finanziamento corrispondente all’acquisto da parte dell’ente pubblico della sede (capannone o altro) dell’azienda, che dovrà poi pagarne l’affitto e, superata la crisi, restituire il finanziamento riacquistando l’immobile. In teoria un meccanismo perfetto: l’azienda con il contributo abbatte i debiti, ottiene il respiro per superare il momento di crisi e poi ritorna alla situazione di prima; l’ente pubblico vede comunque remunerato il capitale attraverso l’affitto e se le cose dovessero andare male si troverebbe con l’immobile in proprietà. Questa però è la teoria; la pratica è diversa: se l’azienda indebitata non è strutturalmente più che sana, si ritrova a vedere gravati i propri conti anche dell’affitto e quindi, dopo una breve ripresa, affonda definitivamente, mentre l’ente pubblico si ritrova sul groppone degli immobili dalla scarsa utilizzabilità, che aveva generosamente sopravvalutato. Insomma, ha solo buttato via denaro. È stato questo il caso di una lunga serie di interventi provinciali, dal Caseificio Fiavè alla Whirlpool, tutti risoltisi con la chiusura dell’azienda. Il lease back era finito sotto accusa e dopo un dibattito acceso si era stabilito di non utilizzarlo più. E Rossi, ora, che fa?
Investe altri 10 milioni in un’azienda, come la LaVis, senza speranze, che, dopo gli anni delle follie della gestione Peratoner, in quelli del “risanamento” del commissario, poi amministratore delegato Marco Zanoni, ha registrato solo bilanci in passivo, “27.476.249 di euro negli ultimi quattro anni”, come certifica la revisione cooperativa; e che ha sulle spalle debiti per oltre 120 milioni (di cui 78 verso banche e finanziarie, gli altri verso soci e fornitori), e si trova pure con 18 milioni di capitale circolante negativo (cioè, oltre i debiti pregressi, continua a bruciare soldi a palate). Insomma, una negatività totale, per la quale i 10 milioni di Rossi sono un pannicello caldo, utile a tirare avanti qualche mese e remunerare lo stesso Zanoni (con un ammontare tenuto nascosto ai soci della coop, e che a noi risulta, con i vari benefit, attorno ai 400.000 euro l’anno) e lo stuolo di consulenti che si è tirato appresso.
Questa la realtà. Cui hanno tentato di fare violenza le veline diffuse a piene mani da Zanoni e amplificate in questi anni dalle pagine economiche dei quotidiani, e ora dalle bolse chiacchiere dei politici. Panizza, senatore Patt: “LaVis ha imboccato la strada giusta e ha raggiunto e consolidato risultati significativi”. Conzatti, segretaria Upt: “Una scelta di risanamento partita con la nomina del commissario Zanoni, uno sforzo che sta cominciando a dare i suoi frutti” (!!). Per non parlare di Rossi, che per sembrare super partes s’inventa “l’obbligo per la Cantina di abbandonare le illusioni di fare il terzo polo del vino trentino”, come se oggi il problema di LaVis non fosse la mera sopravvivenza; e gli altri attori del sistema vitivinicolo trentino non ne temano invece i disperati tentativi di gettare fumo negli occhi, vendendo vino trentino sottocosto a prezzi improponibili e squalificanti, pur di poter vantare aumenti di fatturato (e di perdite, ma a quelle ci pensa poi Rossi).
Insomma, una situazione disastrata, con cui la politica si rapporta con sconcertante dilettantismo, quando non in aperta malafede. Il culmine lo raggiunge Tiziano Mellarini dell’Upt, assessore alla cooperazione e proponente della delibera dei 10 milioni: “Attorno alla Cantina vivono molte famiglie, e molte zone rischierebbero di essere abbandonate dalla coltivazione dei vigneti”; insomma, ci sarebbe la desertificazione. Mellarini, per favore, non faccia il furbo: sa benissimo che i contadini, se chiudesse la LaVis, conferirebbero in una delle tante altre cantine circostanti, sociali o private, e venendo remunerati molto meglio!
L’etica
Si è toccato il fondo? Non ancora. Perché, come abbiamo documentato da oltre tre anni, sul giornale e in tribunale, la LaVis non rappresenta solo un caso di malaccorta gestione industriale, ma di malaffare. Abbiamo documentato due casi: l’accordo scellerato con Isa per l’acquisto di Casa Girelli, con un immotivato regalo di 4 milioni alla finanziaria del vescovo; e la sparizione di milioni e milioni di bottiglie in un’azienda americana (la Fine Wine International) che importava vino e mai pagava. Quando i soci detronizzavano i responsabili di questa autentica spoliazione (Peratoner, Giacomoni, Andermarcher) e nominavano nuovo presidente Vittorio Brugnara, che proclamava di voler ricontrattare il debito con Isa, fare causa a Peratoner & C e verificare le cose in America, Dellai immediatamente commissariava la Cantina sgomberando Brugnara e insediando Zanoni. Che subito riassumeva in posizioni di vertice Peratoner e Andermarcher, dichiarava intoccabili gli impegni con Isa, accettava impassibile le perdite americane iscrivendo 7 milioni di perdite a bilancio prima, e riannodando i rapporti con FWI poi.
Un’assoluta continuità con la precedente malagestione, condita con un surplus di aggressività: a noi che denunciavamo queste cose, Zanoni riservava due denunce, in sede penale e civile.
Il tribunale però si è rivelato per tali pessimi amministratori un terreno di battaglia temerario: Peratoner e soci sono stati condannati a 8 mesi di reclusione, la Cantina ha patteggiato 25.000 euro per “ostacolo alla vigilanza”, la querela in sede penale contro QT è stata archiviata (il procedimento civile è ancora in corso), la contabile di Casa Girelli, licenziata in tronco da Zanoni nei giorni della redazione del bilancio, vince in primo e in secondo grado la causa di lavoro e LaVis viene condannata per illegittimo licenziamento.
Una débacle, che ora si tramuta in farsa. Con l’acqua alla gola, Zanoni è costretto a piatire il contributo in Provincia, “È per l’ultima volta”- dichiara, ed evidentemente non può farlo senza prendere le distanze dai precedenti amministratori ormai condannati; ed avvia lui, dopo quattro anni di inerzia, un’azione di responsabilità contro Peratoner, Giacomoni e Andermarcher, nonché il collegio sindacale di Casa Girelli. E su quale base? Sulle stesse accuse di Questotrentino: “Hanno utilizzato FWI per convogliare le passività maturate e registrare nel contempo ricavi fittizi... i beni e i servizi non vengono mai pagati dalla società estera...” ecc, in pratica gli stessi rilievi, in alcuni punti con le stesse parole, effettuati da noi, per i quali Zanoni si è proclamato diffamato avviando dei procedimenti giudiziari uno dei quali ancora aperto!
È a costui che Rossi dà ancora fiducia? E ulteriori dieci milioni dei soldi di tutti? Ma non è ancora finita.
Abbiamo detto come la LaVis sia già stata riconosciuta colpevole di ostacolare la vigilanza cooperativa. Vigilanza che peraltro ha ritenuto sballate diverse cifre del bilancio della Cantina, continuamente correggendo, fra l’altro, fantasiose valutazioni del valore degli asset proprietari. Zanoni si è più volte scagliato contro la Revisione e in particolare contro il responsabile, dottor Enrico Cozzio, andando anche in cerca di più favorevoli valutazioni da parte di professionisti privati. Poi, alla prova dei fatti, cioè della vendita sul mercato di terreni e aziende, non è riuscito a realizzare nemmeno i valori indicati da Cozzio. Insomma, sui bilanci di LaVis gravano pesantissimi dubbi, che non sono frutto di chiacchiere da bar, ma sono messi per iscritto dall’autorità preposta alla Vigilanza. E Rossi vuole premiare un’azienda che sistematicamente pratica una tale opacità?
Il culmine (peraltro in attesa di quanto succederà con il bilancio 2013-14) lo si è raggiunto in questi mesi. In data 7 marzo la Vigilanza cooperativa ha chiesto alla Provincia la nomina alla LaVis di una sorta di commissario affiancatore perché risolva delle gravi irregolarità: la Cantina, pur con un bilancio in perdita, ha infatti proceduto al pagamento degli interessi ai soci sovventori! In soldoni: con un bilancio in perdita, ha distribuito utili, utili quindi che non esistono. Il che è un’enormità, contro la logica e soprattutto contro la legge.
E la Provincia che ha fatto, dal 7 marzo? Ha trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica? Ha risposto alla Vigilanza? E come mai non ha provveduto alla nomina del Commissario affiancatore? Rossi è a conoscenza di tutto questo? Ne sono a conoscenza gli assessori della sua Giunta? E ciò nonostante regalano 10 milioni a questa gente, che ne fa di cotte e di crude?
Hanno perso tutti
In questa vicenda escono tutti perdenti. Anzitutto ha perso Ugo Rossi. Il quale, attraverso un indubbio dinamismo, una profonda rivisitazione delle ultime megalomanie dellaiane e un buon rapporto con Bolzano, era riuscito a crearsi una certa credibilità, supportata anche dalla sintonia subito dimostrata con L’Adige e il suo direttore Giovanetti. Ora invece questo strappo ha evidenziato in maniera chiarissima una radicata mentalità clientelare dell’uomo, che già si era vista in altri atti (vedi il salvataggio dell’avventura immobiliare Corti Fiorite dell’imprenditore Dalle Nogare, attraverso lo schermo dell’acquisto - a prezzi incongrui - da parte del Social Housing); che già si vedeva all’opera in tutta una serie di nomine di modesti yes man imposti in spregio alla recente legge; e che qui è stata imposta con piglio sprezzantemente autoritario. La scena, trasmessa dalle tv, della conferenza stampa in cui il presidente si alza a deridere e zittire l’assessora Borgonovo Re che si sforzava di porre qualche condizione, è emblematica di un uomo che intende la politica e il potere coincidente con l’autorità e la clientela. In barba agli alleati e al buon senso. Anzi, il potere lo affermi se riesci a esercitarlo contro gli altri e anche contro la logica: se riesci a accontentare i tuoi clienti anche quando non lo meritano, allora sì che vai forte. Un mix di vetusta cultura dorotea e di nuove velleità autoritarie.
Alle quali va aggiunto il disprezzo per l’etica istituzionale. Zanoni e il presidente della Cantina Paolazzi, in documenti e interviste, dichiarano che i debiti finanziari sono di 58 milioni (in realtà, come abbiamo visto, al bilancio 2013 erano 20 in più, cui andrebbero sommati altri 42 verso soci e fornitori). Rossi, richiesto di un commento, bello bello chiosa: “Beh, a me risulta che siano di più”. Vale a dire: gli amministratori della LaVis dichiarano il falso, io lo so, ma non mi importa, i soldi glieli do lo stesso. In questi tempi ci si può permettere un Presidente del genere?
Il primo partito?
Ma ha perso anche il PD, che in questa vicenda poteva rivendicare un ruolo, e soprattutto indicare una politica per rimettere in piedi uno dei supporti fondamentali dell’autonomia trentina: la cooperazione.
Siamo in tempi di vacche magre, con tante realtà economiche, anche meritorie, che arrancano. Per questo l’intervento pubblico, che per di più dispone di sempre meno risorse, deve essere più che mai avveduto; spazio per dissipare milioni in supporti clientelari non ce n’è più. La politica dorotea dell’accontentiamo tutti, e soprattutto i clienti, non ha più le basi materiali su cui reggere. Non solo: in un momento di crisi, e di più generale sbandamento, a livello nazionale, dell’etica economica, la barra dovrebbe essere tenuta ferma; correttezza, trasparenza, legalità e competenza dovrebbero essere principi imprescindibili.
Insomma, dal primo partito ci si aspetterebbe una posizione chiara e fermissima nel rifiuto delle clientele, del no ai lease back, della difesa intransigente dell’etica economica.
E invece il PD, che ha oltre il 40% di voti nelle valli e la maggioranza assoluta nelle città, che fa? Di fronte al maxi aiuto alla LaVis, che per tutte le ragioni viste non dovrebbe essere nemmeno ipotizzabile, come si comporta?
Attua la politica del “meno uno”. Non 10 ma 8 milioni. Non subito, ma a settembre. Non senza ulteriori approfondimenti (ancora? Non bastano le montagne di carte prodotte dal tribunale e dalla Vigilanza cooperativa?). Insomma, non contesta la logica, non le si oppone, si limita a chiedere rinvii e mettere i bastoni tra le ruote. Come se fosse un partitino, un fastidioso alleato di poco conto. E Rossi infatti così lo tratta!
La Cooperazione
Nella vicenda perde anche l’insieme del movimento cooperativo. Avevamo a suo tempo denunciato come nella questione LaVis fosse coinvolto lo stesso Diego Schelfi, nel duplice ruolo di presidente della Federazione Cooperative e di consigliere d’amministrazione (ed ex presidente) di Isa, supervisore quindi della spoliazione dei soci della Cantina effettuata con lo sciagurato acquisto di Casa Girelli.
Ci risulta che Schelfi sia contrariato dalle asprezze di Zanoni, che ha introdotto nel sistema trentino - fatto di accordicchi sottobanco in cui alla fine una mano lava l’altra - metodi spicci, cinici e financo brutali, con licenziamenti in tronco, espulsioni di soci, insulti alle autorità della Vigilanza, deferimenti in tribunale, addirittura adesso - arrivato alla disperazione sull’orlo del baratro - la denuncia del collegio sindacale che, firmando tutte le carte senza manco guardarle, aveva a suo tempo assicurato il quieto vivere. Insomma, il veronese Zanoni, improvvidamente trapiantato in Trentino, sta scardinando la vischiosità dorotea dei gruppi di potere, usi a formare un insieme, magari non omogeneo, ma sicuramente colluso. E Schelfi, “el Diego” per gli amici cioè per tutti, è uno dei massimi interpreti di questa gestione del potere.
In tale panorama LaVis rappresenta il buco nero. Per gli scheletri nell’armadio, per l’amministratore che si ritrova, per la montagna di debiti, per il ruolo ormai conflittuale che riveste nel mondo vitivinicolo. E allora Schelfi annaspa. “È una cosa importante se una cooperativa viene salvata” commenta i milioni di Rossi, riducendosi da solo a terminale delle elargizioni clientelari, e così dando nuove ragioni a chi accusa la cooperazione di vivere di assistenzialismo.
Il tema è tutt’altro che secondario e sta investendo anche Cooperfidi, l’organismo cooperativo incaricato di erogare il finanziamento, previa “verifica della sostenibilità economica del piano di risanamento” proposto dalla LaVis. Compito caricato di significato dagli assessori del PD che, incapaci di contrastare Rossi sul piano politico con ragionamenti semplici e chiari (“Di questo tipo di regalie neanche si parla”), confidano che siano i tecnici, i commercialisti di turno a cavargli le castagne dal fuoco, lasciando dire a loro che i 10 milioni sono soldi buttati.
In Cooperfidi tutti sanno che, con i bilanci di LaVis, con 120 milioni di debiti, i 10 milioni non servono. Si sono però messi, sia pur di malumore, a cercar tempo (“Sarà un’istruttoria lunga, che richiederà mesi”) e soprattutto l’esperto che gli dia il parere positivo, come si vuole nelle alte sfere.
Ricerca difficile, ma tutt’altro che impossibile; e comunque devastante. Ma come? Non bastano i bilanci? Non bastano le revisioni? E soprattutto, avete in casa chi questi bilanci li ha letti in controluce e col lanternino, la Vigilanza cooperativa, che a più riprese ha lanciato grida di allarme, e andate a cercare il parere di qualche fantomatico consulente? Ma con quale credibilità per voi, per la Vigilanza stessa, per l’insieme del movimento, disposto ad arrampicarsi sugli specchi pur di ricevere ancora una carrettata di inutili milioni pubblici per un’azienda decotta?
Quando ci sarebbero, ci dice un dirigente cooperativo, “decine di cooperative di lavoro che si salverebbero con 100.000 euro; alcune hanno anche 50-60 dipendenti, che a volte rinunciano anche al loro Tfr per far andare avanti l’azienda in cui credono”.
Lo sciagurato connubio fra politica e coop non produce buon vino, ma solo aceto
Da presidente di una cooperativa che ha uno statuto simile a quello di LaVis, sono amareggiato per la vicenda dei 10 milioni. Siamo arrivati a tanto perché la politica, in cerca di consensi elettorali, si è intromessa pesantemente nel mondo cooperativo, causando danni. Se ben ricordo, Questotrentino venne pesantemente intimidito dall’allora governatore Dellai perché aveva accusato di inerzia gli uffici provinciali preposti alla vigilanza sulle cooperative.
Ora mi viene da sorridere al pensiero che la Cooperfidi vigilerà su quella mazzetta a perdere di 10 milioni; magari lo farà come hanno fatto in passato i revisori della Federazione con dei conti della Cantina...
La Giunta provinciale fa quello che nemmeno le banche della Federazione fanno, e ciò facendo provocano solo guasti: nessuna salvaguardia dell’occupazione, soltanto un assistenzialismo con data di scadenza, vista la situazione economica della Cantina; e per questo ogni famiglia trentina contribuirà con 100 euro, alla faccia degli 80 ricevuti da Renzi!
Ma c’è di più: con questo regalo si danneggia l’imprenditorialità: fuori regione appariremo i bamboccioni coccolati da mamma Provincia, incapaci altrimenti di essere concorrenziali sul mercato.
E dire che personalmente, da presidente di una cooperativa, dovrei caldeggiare queste illusorie iniezioni finanziarie, tanto più che lo scorso anno abbiamo registrato una perdita di 50.000 euro dovuta a una brutta storia giudiziaria: avendo denunciato un funzionario provinciale infedele, ci siamo visti sospendere tutti i lavori para-provinciali fino alla conclusione della vertenza. Perché mai - mi chiedo - non dovremmo attendere dalla stessa Gwwiunta un assegno compensatorio? E certe cooperative fallite in passato, perché non sono state salvate? E i soci di LaVis che, visto come agivano gli amministratori, hanno preferito uscire dalla Cantina, chi li tutela?
Sono quegli stessi amministratori che hanno acquistato e poi venduto, ogni volta causando delle perdite, ma con la benedizione della Curia trentina. Perché perseverare è diabolico, ma se a guadagnarci è l’ISA (la finanziaria della Curia), non c’è niente di male.
Comunque andrà a finire, resterà l’amarezza per questo connubio tra politica e mondo cooperativo, che non ha prodotto del buon vino, ma solo aceto.
Alessandro Giacomini, presidente di Alpicoop, Carisolo