10 milioni targati Rossi
Anche per Mediobanca la Cantina LaVis è decotta, ma Ugo Rossi, contro tutto e tutti, ha pronta una flebo. Inutile per LaVis, costosa per la Pat, devastante per l’etica economica.
È di questi giorni la pubblicazione, da parte dell’Ufficio studi di Mediobanca, dell’Indagine sul settore vinicolo, che prende in considerazione le 111 principali società italiane del settore, e compara i dati delle prime 25: tra esse, terza per fatturato è Mezzacorona con 163 milioni, sesta Cavit con 153, quattordicesima LaVis con 85. I dati più significativi sono riassunti in una tabella (vedi alla pagina successiva), che riporta gli Indicatori economico-patrimoniali e di efficienza basati sui bilanci 2012. Per ulteriore chiarezza, la tabella segnala in verde, per ogni parametro, le tre migliori cantine, e in rosso le tre peggiori. Orbene, mentre Cavit evidenzia una solidità di fondo riuscendo anche a raggiungere il verde in due parametri (debiti rispetto ai mezzi propri e rispetto al fatturato); Mezzacorona è in rosso (penultimo posto) nel rapporto debiti\fatturato, riscattato però dall’elevato rapporto investimenti\fatturato e dalla normalità di tutti gli altri parametri; LaVis invece si trova sempre in rosso profondo, è all’ultimo o penultimo o terzultimo posto praticamente in tutti i parametri. Insomma, secondo Mediobanca è un’azienda decotta. Né più né meno di quanto ha rilevato, leggendo gli stessi bilanci, la nostrana revisione cooperativa, attirandosi gli strali dell’impudente Marco Zanoni, amministratore delegato della Cantina.
Ma non è tutto. I rilievi di Mediobanca infatti sono tratti dalle cifre dei bilanci della LaVis, cioè dalle cifre di Zanoni, sulla congruità delle quali il revisore dott. Enrico Cozzio ha avanzato serie ed argomentate obiezioni. Che proprio in questi giorni hanno mostrato di essere pienamente centrate.
Zanoni infatti è riuscito a vendere uno degli asset, a suo tempo acquistati a carissimo prezzo dai precedenti, sciagurati amministratori: la società (e relativa tenuta toscana) Basilica Cafaggio. Solo che la società, acquistata a suo tempo per 7,3 milioni, iscritta a bilancio per 6,8 milioni, è stata venduta a 4,8 milioni. Il che vuol dire da una parte una perdita nel patrimonio di altri due milioni, dall’altra che Cozzio aveva ragione: il pur orrido bilancio di Zanoni, stroncato da Mediobanca, è in realtà imbellettato attraverso l’iscrizione di valori non giustificati.
E chi è il compratore? Qualche imprenditore vinicolo? No, a comperare è Isa, la nota finanziaria della Curia trentina. La quale, grazie alle splendide regalie della precedente amministrazione Giacomoni-Peratoner-Andermarcher, da noi a suo tempo ampiamente denunciate (“Un ritorno al Medioevo: soldi dai contadini al vescovo” titolavamo nell’aprile 2011) vanta dalla LaVis crediti residui per oltre dieci milioni. Che, pur essendo farina del diavolo, la finanziaria vescovile certamente aliena da tentazioni francescane, vuole recuperare, e che invece vede svanire nelle nebbie dei bilanci lavisani sempre più affannati: di qui, per limitare i danni, l’acquisto di Basilica Cafaggio, con il relativo importo - 4,8 milioni - scalato dai debiti della Cantina.
E che se ne fa Isa della tenuta? Per intanto niente, così la riaffitta per cinque anni alla stessa LaVis, a un canone di 121.250 euro annuali. C’è da sperare che la Cantina sappia gestire Cafaggio in attivo (finora vi ha solo riversato soldi), a differenza di quanto sta facendo con Maso Franch, altra follia della gestione Peratoner, munificamente acquistato (8,97 milioni) dalla Provincia di Dellai, e riaffittato a LaVis per 227.000 euro, che lo ha subaffittato per 127.000, con una perdita secca annuale di centomila euro. Della serie: qui è tutto sbagliato, ogni pezza è peggio del buco.
Zanoni va avanti imperterrito
Che Lavis sia all’ultima spiaggia, lo dicono altri indizi. La Cantina infatti, pur quattordicesima in Italia, è stata scacciata con ignominia dal Consorzio Vini del Trentino perché non paga le quote sociali. Come un barbone molesto. Non solo: ha anche un arretrato pazzesco con la Federazione delle Cooperative, ben 300.000 euro di quote non pagate.
Altre partite vengono poi al pettine. Da alcuni anni, ad ogni bilancio, Zanoni illustra come imminente lo spostamento di Casa Girelli da Trento Sud a LaVis, e la vendita del terreno al Consorzio Lavoro Ambiente (CLA), che vi costruirebbe uno studentato. Il CLA, come caparra, aveva versato 3 milioni, da restituire entro il maggio 2014, vale a dire ora, se non si fossero verificate le condizioni per realizzare lo studentato: e siccome l’ennesimo studentato, altra megalomania dellaiana, non si farà, i 3 milioni vanno restituiti.
Zanoni intanto va avanti imperterrito. Fa altri danni. Ha convinto fornitori e soci ad effettuare prestiti nella veste di soci sovventori, promettendo rendimenti oltre il 4%. Solo che il socio sovventore entra nel capitale di rischio, quindi, con il patrimonio della Cantina ormai azzerato, ha perso i soldi. Ancora non lo sa, ed è contento perché Zanoni gli ha pagato il 4% di interessi. Ma questo è uno strappo alle regole, non si può remunerare il capitale di rischio con il bilancio in perdita. Le irregolarità si susseguono, la regola è il disprezzo delle regole.
10 milioni. un pannicello caldo
È in questa situazione che si inserisce la Giunta Provinciale. L’assessore all’Agricoltura Michele Dallapiccola, nelle varie assemblee, evidenzia una perdurante incompetenza a livelli ormai imbarazzanti; in compenso dimostra di aver appreso la lezione del politicante doroteo, e si dà da fare per tranquillizzare i soci, assicurando che “la Giunta farà la sua parte”. Sta però attento a dire e non dire, tranquillizza ponendo però condizioni difficilmente raggiungibili (lo studentato in viale Verona).
Chi ci va giù invece deciso è il presidente Ugo Rossi. In varie riunioni ha posto, a muso duro, l’obiettivo: dieci milioni a LaVis. Cercando di passare sopra tutte le obiezioni, di merito, di metodo, di senso economico, di etica e politica industriale. In giunta provinciale ancora non ha posto il tema, forse temendo sacrosante opposizioni, e così finora si è mosso per vie traverse. La questione è arrivata a Cooperfidi, dove si è subito dichiarato a favore il presidente Renzo Cescato (contemporaneamente presidente di CLA, un conflitto d’interessi mostruoso: il presidente dell’ente erogatore dei soldi che è anche presidente di una realtà beneficiaria - ricordiamo che LaVis deve 3 milioni a CLA - questi sono i guasti nella cooperazione trentina ristrettasi a un gruppo di mammasantissima), ma il resto del Consiglio è molto freddo. Può essere allora investito Trentino Sviluppo, o magari Patrimonio del Trentino: molteplici sono le vie per far arrivare i soldi, magari furtivamente, ma la sostanza è uguale: si vuol fare pagare a Pantalone il dissesto lavisano.
E allora diciamolo: è uno scandalo.
Dieci milioni a LaVis sarebbero, come conferma Mediobanca, un pannicello caldo. Servirebbero a Zanoni solo per tirare avanti un altro anno, con i lauti stipendi suoi e della corte che si è tirato dietro. Non risolverebbero i grossi problemi di un’azienda ormai decotta. Ma al contempo dieci milioni, pochi per LaVis, sono tanti per il sistema trentino: all’assessorato all’Industria ma anche alla Federazione cooperative potrebbero facilmente stilare un elenco di piccole aziende che con molto, molto meno si tirerebbero fuori da guai che sono solo contingenti: 10 milioni sono 100 interventi da 100.000 euro.
E non si tiri fuori, per favore, la favola dell’aiuto alle famiglie contadine. I contadini che conferiscono alla LaVis possono benissimo passare ad altre realtà, Mezzacorona e Cavit nel settore cooperativo, e molteplici altre, da Endrizzi a Ferrari, in quello privato. Anzi, ci guadagnerebbero: tutte queste aziende in questi ultimi anni hanno pagato l’uva molto di più di LaVis, che ha saputo solo chiedere sacrifici ai soci. Certo, i soci dovrebbero rinunciare ad avere la “loro” cantina. Ma ormai non è più loro, il patrimonio non c’è, ci sono solo debiti, ogni anno la Cantina crea nuove perdite. E, diciamolo francamente, i contadini lavisani non si sono dimostrati in grado di gestire la propria azienda: prima si sono fatti infinocchiare da Peratoner, poi da Zanoni, dei manager sono stati solo succubi. I campi li sanno lavorare bene, è meglio che si limitino a quello.
L’aiuto di Rossi, che vive a LaVis, non ha quindi alcuna seria motivazione economica; è solo la ricerca di consenso clientelare.
È anche peggio. È uno strappo istituzionale. LaVis è stata condannata per aver nascosto dati alla vigilanza cooperativa provinciale: come può saltare in testa di premiare questi comportamenti? E non è finita, perché innumerevoli sono le successive segnalazioni di irregolarità: come si può far finta di niente? E cosa dice in proposito l’ultima revisione? Rossi si è preso cura di leggerla?
O quello che gli interessa è proprio il messaggio negativo: chi è con me sarà comunque, aiutato? Si rende conto del segnale che dà?
In questa indifferenza verso le regole e l’etica industriale, viste non come i binari sui quali viaggia in sicurezza un’economia sana, ma come fastidiosi limiti al proprio potere, Ugo Rossi ci ricorda Dellai: non il primo, bensì l’ultimo Dellai, quello ormai incarognito nel potere. E siamo solo ai primi mesi del nuovo presidente. Saprà tornare indietro?
E gli alleati, hanno niente da dire?