Il PD trentino al tempo di Renzi
In Italia mattatore, in Trentino il PD rischia ancora la subalternità: tra un Rossi debordante e un Dellai pentito
In provincia il 42%, a Trento e Rovereto praticamente la maggioranza assoluta. Questi i dati del Pd trentino, che in effetti ricordano quelli della Dc dei tempi d’oro. Solo che i democristiani con quei voti avevano non solo la maggioranza, ma soprattutto l’egemonia: stabilivano loro temi, tempi e modi della politica. Il Pd invece ha - finora - solo usufruito dell’inaspettata onda nazionale renziana, sulla quale si è trovato a galleggiare, da essa portato al raddoppio dei voti, 92.000 oggi con Renzi, contro i 41.000 di voti propri, alle provinciali dello scorso ottobre.
A questo punto il tema è se il nuovo successo darà forze e prospettive al partito trentino, o se esso invece si adagerà sulla tradizionale anemica subalternità. E di come questa scelta può influenzare la politica e la società provinciale.
Il consolidamento di Ugo Rossi
Per cercare di capire, dobbiamo fare un passo indietro, a prima delle elezioni europee, al consolidarsi della Giunta Rossi. O meglio, al consolidarsi di Ugo Rossi. Che, inaspettatamente, in breve sfoderava obiettivi e metodi degni dell’ultimo, pessimo Dellai.
A dire il vero Ugo Rossi ha saputo anche affrontare con energia positiva una serie di temi: i rapporti con la nuova leadership sudtirolese; la dismissione dei progetti più strampalati dell’ultimo faraonico Dellai (Metroland, le scuole a Piedicastello, per iniziare); una messa in discussione del baraccone delle Comunità di Valle. Però in contemporanea ha dimostrato una preoccupante tendenza verso imponenti elargizioni clientelari (l’acquisto immobiliare di Corti Fiorite, dietro il paravento delle solite società parapubbliche, vedi il servizio precedente; o l’inutile supporto multimilionario alla LaVis, che sta cercando di perseguire contro ogni logica economica e decoro istituzionale; o per altro verso l’accanimento nel voler portare avanti il NOT, un buco di diverse centinaia di milioni). E una concezione personalistica del potere, che lo ha portato a travolgere le norme sulle nomine, per piazzare ovunque personaggi fidati. Se a questo aggiungiamo l’arroganza con cui in Giunta pretende che gli assessori votino i suoi provvedimenti senza nemmeno leggerli (“vi fidate, si o no?”) abbiamo un quadro preoccupante. Che delinea un uomo con una cultura politica pericolosamente inadeguata, evidentemente mutuata dagli ultimi anni del dellaismo.
E il Pd, che fa? In Giunta provinciale è presente con Donata Borgonovo, già combattiva e agguerrita nel ruolo di Difensore Civico, però depotenziatasi da sola con la troppo tranquilla accettazione dell’assessorato alla Sanità, dove si trova a gestire autentiche patate bollenti come la Protonterapia, o missioni impossibili come il Nuovo Ospedale (d’altronde chi si impegna senza prima documentarsi dove va a parare, può solo biasimare se stesso). C’è poi Sara Ferrari, fornita delle migliori intenzioni, ma molto assorbita dalle sue competenze (Università e Ricerca). E infine c’è Alessandro Olivi, vice-presidente e assessore allo sviluppo economico. Il quale, in un’intervista, ha mirabilmente tratteggiato, in implicita polemica con Borgonovo e Ferrari, come una parte del Pd intenda la gestione del potere: “Non sta al Pd fare da cane da guardia della Giunta”. Cioè, gli altri possono fare tutte le porcate che vogliono, Rossi può instaurare un rovinoso clientelismo personale, la Pat andare in malora, a me basta gestire le mie cosette.
La nuova segretaria
Su questa situazione si è abbattuto il renzismo. Inteso, prima che come successo elettorale, o attenzione al mondo moderato, o frenesia rinnovatrice, come rottamazione. Cioè come dura contestazione di una cultura politica e di un gruppo più o meno inamovibile di persone, che hanno portato solo sconfitte a livello nazionale, subalternità in quello locale. Di qui l’eclissi di personaggi come Alberto Pacher e Roberto Pinter, e l’impallidire di altri, come i parlamentari Giorgio Tonini e Michele Nicoletti. E una competizione per la segreteria ristretta a trenta-quarentenni, con un deciso rinnovamento\ringiovanimento del gruppo dirigente attorno alla neosegretaria Giulia Robol.
È stato cambiato tutto per non cambiare nulla?
“Sappiamo che il consenso che abbiamo avuto alle europee è molto legato alle sorti del governo italiano - ci risponde Giulia Robol - Detto questo, noi qui dobbiamo convincere che l’azione di rinnovamento riusciamo a farla anche in Trentino, dove ci hanno votato ben oltre l’area consolidata del Pd o della sinistra, proprio affinché cambiamo la politica”.
Bene. Però in Giunta il presidente Rossi deborda, e nel Pd sotto sotto c’è l’idea di essere figli di un dio minore.
“Credo che il voto abbia dimostrato invece quanti guardano a noi, anche nelle valli, perchè innoviamo. E questa domanda la dobbiamo saper tradurre in pratica anche se non abbiamo la presidenza della Giunta, recuperando un protagonismo finora, è vero, abbastanza assente. Quanto a Rossi e alla sua richiesta di fiducia a prescindere, non sono d’accordo, anche la mia esperienza nella Giunta comunale di Rovereto conferma che la fiducia non implica la mancanza di collegialità, la discussione deve poter nascere, i problemi essere sviscerati, se invece nessuno sa quello che fa l’altro, è un grosso problema, perché il programma di governo deve essere condiviso. Mi sembra invece che Rossi spesso non si preoccupi di quel che pensa la sua squadra, che sull’attuale giunta provinciale pesi l’eredità di Dellai, la cui leadership era riconosciuta come carismaticamente indiscussa, e Rossi voglia la sua leadership autoritariamente indiscussa. Perché, sia chiaro, la leadership è necessaria, ma vanno riconosciute pari dignità alle opzioni e sensibilità di tutti.”
Il fatto è che in politica, come dice il consigliere provinciale Pd Luca Zeni “gli spazi c’è chi li lascia e chi li prende, se il Pd lascia perdere i suoi principi come la trasparenza, c’è chi li riempie. Il Pd trentino ha attraversato una lunga fase di transizione, ora finalmente abbiamo organismi funzionanti e sembra si possa fare quello che forse non si è mai fatto, un coordinamento tra momenti di dibattito nel partito, rappresentanti nelle istituzioni, amministratori”.
Ci sembra un déjà vu. A ogni nuovo cambio di segretario c’è stata questa lista di buoni propositi. Intanto registriamo che Rossi fa strame della legge, proposta dal Pd, di un percorso valutativo per arrivare a nomine di competenti nei vari organismi: la legge lasciava un pertugio alla Giunta per proporre anche lei dei nominativi, qualora si ritenesse che i curriculum inviati dagli autocandidati non fossero soddisfacenti; e così Rossi dei curriculum se ne frega, nomina chi vuole lui, punto.
“Da primo firmatario di quella legge, confermo - risponde Zeni - è diventato un percorso solo formale, i nomi sono quelli già decisi dalla Giunta, il che è frustrante per chi, di valore, si propone.”
“Anch’io sono rimasta molto sconcertata, in diverse situazioni la nomina mi è sembrata prescindere dalla competenza, e la legge non rispettata nel suo senso vero - ci dice Robol - Ma al di là del protagonismo di Rossi, il problema è se il governo provinciale ha una linea di fondo, ora mi sembra molto stretto tra le questioni istituzionali nazionali con relative implicazioni finanziarie, la querelle sui vitalizi, e la riforma delle Comunità di valle, per le quali a ottobre ci sarebbe la scadenza del voto. Ecco, credo che noi dovremmo lavorare per fornire alla coalizione e alla Giunta alcune idee, punti chiave, che siano assi della legislatura, e che io ora francamente non vedo.”
Il ritorno di Dellai?
Torniamo alla rottamazione. In questi giorni, dopo il successo renziano, Lorenzo Dellai, orfano di un partito nazionale, ha pensato bene di fare il gran salto: sul carro del Pd. Ed ha proposto l’ennesimo contenitore, chiamato “campo democratico” (ma non aveva alcuni anni fa fondato un “vivaio”? Peraltro subito rinsecchito?) dove dovrebbero confluire Pd e Upt, con Patt annesso. Proposta evidentemente strumentale, e accolta con favore dal solo Alberto Pacher.
A nostro avviso però il tema vero è un altro. Dell’era Dellai oggi, vediamo i lasciti positivi (università e ricerca, con annesso Festival dell’Economia da una parte, concreta attenzione al sociale dall’altra) ma anche i disastri di una concezione personalista, clientelare, faraonica. Ogni giorno saltano fuori nuove magagne: ultime la privatizzazione dell’Itea (vedi a pag 8) o la ventilata distruzione del carcere (intervento a pag 41) che si aggiungono a Metroland, Protonterapia, LaVis, scuole all’Italcementi, quartiere alle Albere, Comunità di Valle e l’elenco potrebbe riempire la pagina. Come mai nessuno dice a questo signore: grazie, ma hai già dato, ora per favore fatti da parte? La sua cultura politica non è ormai all’altezza, come si fa a prenderlo ancora sul serio? Oppure siamo nel paese dove i notabili tali sono per tutta la vita, e ovviamente niente cambia?
“Ho già detto di non aver ben capito cosa si intenda per ‘campo democratico’, io pensavo fosse costituito proprio dal Partito Democratico come confluenza di culture - risponde Robol - Comunque non posso essere che contenta se chi finora non ha mai votato Pd ora vi si riconosca. Per quanto riguarda invece le valutazioni e responsabilità di Dellai, posso semplicemente dire che ormai è cambiata un’epoca, quella cultura politica non funziona più, in quanto non ci sono più quelle risorse, e ben diversi sono i rapporti con Roma. Detto questo, rapportarsi con l’insieme dell’Upt, a prescindere dai destini di un uomo, quello è un nostro compito.”