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QT n. 3, marzo 2014 Seconda cover

Candidati PD: parliamo di politica

Confronto con i tre aspiranti alla segreteria del Pd. Argomento: che fare dopo i 15 anni di Dellai? E come mai nel partito è un tema tabù?

Il concorso di bellezza titolavamo sulle primarie per il posto di segretario del Pd, attualmente ancora il maggior partito in provincia. Contenuti zero, lunghi discorsi invece sulle qualità personali dei candidati, magnificate dagli sponsor: “È una persona determinata, tenace, volitiva, ma anche una persona che ha capacità d’ascolto, pazienza, umiltà e una disponibilità a camminare insieme” elenca entusiasta il sindaco di Trento Alessandro Andreatta magnificando le doti di Elisa Filippi in un’intervista a L’Adige. Che poi, in un soprassalto di buonsenso, aggiunge: “Le persone hanno bisogno di sapere cosa pensa il Pd di mobilità, autonomia, spending review, ambiente, turismo e tutto il resto”, solo che a lui sembra non interessi proprio cosa di tali argomenti pensino i potenziali segretari. Né all’intervistatrice, che si lancia invece in elucubrazioni sul sostegno alla Filippi da parte di Mattia Civico, che è un “kessleriano”, e allora, che ne pensano i “pacheriani”? Risponde Andreatta: “Io sono prima di tutto un ‘lettiano’”. Buona notte.

Li abbiamo intervistati noi i tre candidati alle primarie. Dichiarando subito la nostra allergia tanto ai profili personalisti/giovanilisti quanto alle disquisizioni su partito aperto/chiuso, federato/confederato, centralizzato/territoriale/autonomo, ecc. Abbiamo posto invece un altro ragionamento. Questi mesi hanno fatto emergere vistosi limiti ed errori del dellaismo, oggi non più sopportabili: gli sprechi per foraggiare comparti prediletti (i costruttori edili o gli impiantisti) o il rapportarsi ai poteri forti (il Centro congressi comperato da Isa e ora malamente riconvertito in biblioteca, o le scuole da trasferire a Piedicastello nel terreno di Diego Schelfi), o il coltivare clientele (le caserme per la Protezione Civile); le Comunità di Valle che si rivelano un ulteriore impaccio burocratico; i progetti megalomani, da Metroland al Not, con un pericoloso ricorso al debito; le nomine di persone fidate ma di dubbia competenza (vedi Angeli al Catullo o Zanoni alla LaVis, ma anche i dirigenti fedeli pensionati, riciclati come consulenti). Rispetto a queste dinamiche, il Pd è stato spettatore. Anzi, ha pesantemente contestato chi - Luca Zeni e il gruppo consigliare - questi problemi li poneva. E ora, finita l’era Dellai, mentre Rossi, sia pur in maniera non lineare, si pone il tema di un mutamento di rotta, il Pd rimane fermo, parla d’altro, quando non difende il vecchio, vedi Comunità di Valle.

Insomma, l’asse strategico su cui si intende governare è un argomento che riguarda i candidati alla guida del Partito Democratico?

Di seguito le risposte.

Vanni Scalfi

Vanni Scalfi

45 anni, insegnante, consigliere comunale a Trento

“Dei 15 anni di Dellai andranno cambiate due cose: il metodo di governo, da padre padrone burbero che però tiene insieme la famiglia; e l’assetto finanziario dell’Autonomia. Perché se negli ultimi anni gli sprechi, comunque sbagliati, potevano però essere giustificati, ora sono insostenibili. A iniziare dagli investimenti a pioggia, che nelle imprese andranno sostituiti da incentivi alla valorizzazione della sostenibilità, nella ricerca da una valutazione non del numero di start up che nascono, ma di quelle che sopravvivono.”

Giusto. Sono parole che dicono in molti, ma va bene sentirsele ripetere. Speriamo che non siano soltanto buone intenzioni. Voto: 7.

C’era del metodo negli sprechi di Dellai... Utilizzarli per rapportarsi con poteri ed elettori...

“Gli va riconosciuto un merito storico, a mio avviso superiore ai demeriti come amministratore: aver tenuto la barra dritta sul centro-sinistra, mai cedendo alle sirene della destra, e solo qualche volta, tatticamente, a quelle centriste”.

Parlare di “merito storico” di Dellai sembra eccessivo. La sua è stata una politica centrista, che certo non ha mai ceduto a Berlusconi o alla Lega, ma che ha fatto accordi con Malossini. Scalfi però doveva difendere quello che per anni la sinistra ha definito il “nostro leader”. Voto: 6.

Ma quale sarà il vostro metodo? Non possiamo dimenticare come, nella campagna delle comunali del 2008, lei, con il sindaco Andreatta impostò la campagna contro il ventilato spostamento delle quattro scuole da via Barbacovi a Piedicastello, rivendicando, oltre al risparmio, anche la correttezza urbanistica e didattica di avere le scuole in una zona centrale. E quando poi, a elezioni vinte, da Dellai arrivò il diktat, lei ripiegò sulla formula “teniamo una scuola in via Barbacovi”.

“Che potevo fare? Dovevo uscire dal Pd?”

Risposta sincera, dignitosa ma fragile. Voto: 5,5.

Poteva tener fermo e chiaro un dissenso. Insomma: voi proponete un altro metodo di governo?

“C’è stata una ricerca del consenso fondata non solo sulla qualità dell’amministrazione (che ha fatto crescere cooperazione, volontariato, ecc), ma soprattutto sulla quantità (presenza invasiva della Pat, che ha fatto crescere le società partecipate, ha creato dipendenza dall’assistenzialismo del contributo). Si è così fatta nascere nei trentini l’idea che non occorra far ricorso alle proprie migliori energie, ma rimanere in attesa dell’aiuto altrui, con un conseguente immobilismo, vedi appunto l’esempio dei dirigenti in pensione trattenuti in campo per di più pagandoli due volte. E questo, dal punto di vista culturale, credo sia stato decisamente grave.”

“Qualità dell’amministrazione”? Non sembra proprio. La deriva successiva è causata anche dalla scarsa capacità della burocrazia. L’aver mortificato l’apparato provinciale è uno dei più gravi danni lasciati dal governo dellaiano. L’analisi di Scalfi non convince. Voto: 5.

In questa dinamica il Pd si è adagiato. Per di più criminalizzando chi, al proprio interno, la denunciava, accusato di personalismo, frazionismo, ecc. Come mai?

“È mancato il partito, la capacità di far marciare nella stessa direzione assessori, consiglieri, circoli. Non sono nostalgico del partito-chiesa, ma abbiamo buttato via il bambino con l’acqua sporca, per non essere dirigisti abbiamo azzerato la discussione. Voglio invertire questa tendenza. Ma a questo occorre dedicare tempo, non sovrapporre altre cariche (ed è quello che chiedo anche alle altre candidate).

Belle speranze, di ardua realizzazione. Quante volte abbiamo sentito queste parole! Comunque auguri. Voto: 7.

C’è stato anche il ruolo della pubblica opinione, o meglio degli opinionisti. Ricordo, per non fare nomi, l’autorevole politologo prof. Fabbrini, alcuni anni fa suggeritore della legge della ‘porta girevole’ (che faceva decadere gli assessori dal ruolo di consiglieri, perché il consiglio Provinciale doveva essere libero di esercitare critica e controllo sull’esecutivo) e poi teorico dell’obbligatorio allineamento dei consiglieri di maggioranza alla linea della Giunta. E quest’ultima è stata la linea portata avanti, e con virulenza, dai quotidiani.

“In questi anni c’è stato l’accantonamento dei partiti e il rafforzamento esclusivo degli esecutivi. Credo che il partito serva non a dare la linea, ma a far dibattere consiglieri, amministratori e cittadini. Non è un arbitro, direi un facilitatore, deve essere quello che tiene gli amministratori radicati non dentro i propri elettorati, ma dentro i territori, la comunità. Se il partito non fa questo, rimangono solo il gossip o i personalismi: discutiamo dei contributi a pioggia o di Olivi? Di ricerca o di Ferrari? Di chiusura degli ospedali periferici o di Borgonovo? Se discutiamo nel merito possiamo andare oltre le persone. Poi, se questa inversione di rotta sia possibile non so, questo sarà il mio impegno”.

Idem come sopra. Se Scalfi riuscisse ad introdurre nella discussione interna al Partito anche qualche contenuto entrerebbe sicuramente nella piccola storia del Trentino. Dubitiamo molto che ce la faccia, ma almeno c’è il desiderio. Voto: 7.

Giulia Robol

Giulia Robol

42 anni, architetto, assessore all’urbanistica a Rovereto

“Gli anni di Dellai sono un tema dirimente. Ne va dato un giudizio positivo, ma erano anni diversi, alcuni aspetti hanno bisogno di una revisione, che peraltro Ugo Rossi sta facendo in modo molto pratico. Non mi è chiara però la sua visione di lungo periodo, dovrebbero maggiormente emergere le scelte, i tagli non possono essere lineari. Il Pd lo vedo anch’io in difficoltà, anche se alle elezioni, pur in discesa, è stato premiato. Con i suoi tre autorevoli assessori in giunta, deve portare le nostre idee e sensibilità”.

Analisi chiara e diretta. Rivedere gli anni di Dellai è già un impegno importante. Significativa è anche la posizione critica nei confronti dei primi mesi della Giunta Rossi. Sono buone intenzioni, ma ci sono. Voto: 7.

Quali gli aspetti del dellaismo da rivedere?

“La sua leadership, molto forte e autorevole, non ha consentito al Pd di esprimersi. Ora non ci si sono più alibi”.

Non è stata forse la debolezza del Pd a farlo scomparire a livello di contenuti? Voto: 5.

Ma su cosa? Ad esempio, sulla destrutturazione delle CdV qual è il pensiero del Pd? Quale è il pensiero dell’aspirante segretaria?

“La riforma va rivista, il decentramento non è avvenuto, si deve forzare rispetto all’aggregazione dei Comuni, che di fatto era penalizzata”.

Lei è a favore o contro l’ulteriore livello decisionale?

“Il livello intermedio può starci, se ha la capacità di aggregare i Comuni, altrimenti non ha senso”.

I Comuni aggregati rendono inutile la Comunità, perché proprio lei dovrebbe innescare questo processo?

“Bisogna provarci, i Comuni non si aggregano da soli”.

In queste tre risposte c’è la riproposizione di un’esigenza sacrosanta (il superamento del frazionamento dei Comuni), ma una sostanziale confusione nei metodi, e una rassegnazione ad avere il quarto livello decisionale. Voto: 5.

Torniamo alla fine del dellaismo. Cosa vuol dire?

“È un modello culturale che va cambiato, oggi non si possono utilizzare le risorse come si faceva alcuni anni fa.”.

Un 7 sulla fiducia.

In questo io non vedo alcun protagonismo del Pd. Ad esempio, sulla demolizione delle scuole di via Barbacovi e il loro trasferimento a Piedicastello il Pd è del tutto muto.

“Quando a Rovereto si parlò del polo della meccatronica - imprese e scuole - sull’area di Trentino Sviluppo, e del polo dell’informatica a Trento a Piedicastello, fu sicuramente una decisione lungimirante per Rovereto, sia dal punto di vista urbanistico che da quello delle prospettive di attrarre aziende da fuori città”.

Non conosciamo abbastanza della situazione di Rovereto, quindi ci fidiamo dell’assessore. Non sappiamo però se la creazione di questi “poli” sia davvero la situazione giusta. Voto: 6,5.

Ma a Trento?

“Come il polo della meccatronica può funzionare quello dell’informatica. Se invece diventa solo lo spostamento di due scuole, perde il principio di fondo”.

Ma non c’è nessun principio di fondo. Il polo dell’informatica è stata un’invenzione di Dellai per giustificare un’operazione immobiliare in favore di Diego Schelfi. Mai dalle scuole è venuta questa esigenza; ho insegnato per vent’anni ai geometri, ho ancora relazioni con la scuola, mai nessuno ha pensato o pensa che possa interessare avere Informatica Trentina a venti metri. E se proprio analizziamo, l’unica scuola centrata sull’informatica è stata il Tambosi, che è l’unica che resterà in via Barbacovi. E ora anche Informatica Trentina non si trasferirà. Il polo dell’informatica era ed è una bufala.

“Ripeto, a Rovereto il progetto si è rivelato positivo. E a Trento non esiste solo Dellai, ci sono anche le valutazione del nostro partito”.

Questo è il problema. Quando ci sono di mezzo certi poteri il Pd tace.

“Io vorrei che il prossimo segretario dicesse la sua su queste scelte. Non basta parlare dei nostri problemi interni, deve emergere una linea politica, a iniziare dal lavoro degli assessori. Perché, sulle scelte di Dellai, il problema sta nel fatto che non ne siamo stati protagonisti”.

Commento alle ultime tre risposte: è molto difficile capire la logica di fondo delle operazioni immobiliari a Trento, se non quella appunto delle operazioni immobiliari degli amici. Ovvio che un’esponente del Pd non può stroncare tutto e deve cercare di mediare: “Deve emergere una linea politica”, che per ora sembra non esserci. Voto: 5.

Certo. E quando i consiglieri provinciali del PD e il loro capogruppo Zeni avanzavano rilievi critici, dal partito venivano stigmatizzati come “personalisti e arrivisti”.

“Questa è la legge del più forte, la politica giocata non a livello di partito, ma di individui, e quando si innesca questa dinamica, la leadership forte domina. Io invece vorrei un Pd forte in quanto in grado di elaborare e praticare una linea condivisa”.

Buone intenzioni, speriamo. Voto: 6.

Elisa Filippi

Elisa Filippi

32 anni, ricercatrice sulle politiche europee, precaria, seconda alle primarie per le elezioni nazionali

“La politica è dinamica per natura, viviamo in un momento di estremi cambiamenti, non ha senso ragionare sugli anni di Dellai in questi termini, dobbiamo rapportarci col passato in termini innovativi. La continuità non può esserci, se non come promozione di valori quali solidarietà ed equità, mentre le politiche e i relativi strumenti vanno rinnovati. Con Dellai sono state fatte scelte lungimiranti, a iniziare da welfare e ricerca, ma oggi devono essere declinate nella nuova situazione”.

Alla candidata non manca l’abilità retorica, ma questa risposta è troppo burocratica. Voto: 5.

Quali valori ci sono nel demolire e ricostruire scuole, nel trasferire una biblioteca universitaria in una zona disagiata? E che dire di un Pd che su questi temi brilla per il silenzio?

“Concordo, su alcuni di questi casi la riflessione va posta sul metodo. Sulla scuola la consultazione degli operatori, prevista dal ministro Carrozza, è un principio importante, e permette di rendere operativo il metodo della trasparenza istituzionale, quando in passato ci siamo talvolta trovati di fronte a decisioni opache”.

Obiettivo sacrosanto, quello della trasparenza. Speriamo che la si applichi. Voto: 6,5.

Io ci vedo una sudditanza ai poteri forti. Tema del quale il Pd non sembra autorizzato a parlare.

“Al di là dell’operato dei singoli, il Trentino lo conosco, sono conosciuta, forse non dai centri di potere. Per questo ritengo di essere la più libera, anche perché ho lavorato fuori dalle cose locali, ho lavorato a Bruxelles. Il che è l’elemento fondamentale”.

Il punto è: lei prende le distanze da questi fenomeni?

“Quando dico che bisogna dare risposte, che occorre trasparenza, sia a livello amministrativo che di partito, lo dico in maniera determinata”.

Avere maturato un’esperienza all’estero è positivo. Ma non compensa l’ignoranza sui poteri forti trentini. Voto: 5,5.

Non basta per chiedere l’incarico da segretario. Elisa Filippi su cosa si è spesa in questi anni?

“Da quando avevo 14 anni c’è stato il mio impegno politico, a iniziare da Rifondazione. Ho 32 anni, chiedo di essere valutata in base all’energia e alla positività che voglio mettere al servizio della politica, non sulle cose fatte; se fosse una gara tra curricula dovremmo scegliere gli ottantenni”.

Puro distillato di renzismo. Con il volontarismo, l’energia e la positività non si fa nulla, né a 32 né a 80 anni. Altrimenti cadiamo nell’ottimismo di Berlusconi. Voto: 4.

Il PD ha registrato una bruciante sconfitta alle primarie. Per colpa di limiti politici e culturali?

“C’è stata l’incapacità di assumere decisioni condivise, l’assenza di un dibattito sullo sviluppo del Trentino. Qui concordo con quanto lei diceva prima”.

Idem come per gli altri candidati. Voto: 7.

Vediamo altri esempi: alle aziende in crisi si è risposto con il lease back (la Pat compera il capannone dell’azienda in crisi e poi glielo affitta: l’azienda ha una boccata di ossigeno ma si vede peggiorare il conto economico, gravato dall’affitto, ndr). Con risultati molto magri, se non sbaglio.

“Alla luce dei dati attuali penso ci sia da interrogarsi seriamente sulla sua efficacia. Rivedere le pratiche e gli strumenti vuol dire questo; sul reddito di garanzia abbiamo fatto cose egregie e innovative, su altre come il lease back dobbiamo chiederci se è su quella via che dobbiamo continuare”.

Buone intenzioni. Speriamo. Voto: 6,5.

Responsabile della politica del lease back è stato l’assessore Olivi, del Pd. Il partito si è mai posto il problema, ha la capacità, ha l’interesse, per valutare quello che l’amministratore fa?

“Il tema del lavoro è centrale, ma bisogna essere seri. Non mi basta dire che abbiamo fatto bene, dev’essere fatta una discussione aperta, su cui chi ha la responsabilità di governo deve confrontarsi con le categorie. Io iscritta dal Pd apprendo dai giornali delle crisi e delle relative negoziazioni, ma non ho capito quale e se c’è una linea del Pd su questo. E questo è un altro esempio di quella opacità di cui parlavo”.

Idem come prima. Belle parole. Voto: 6,5.

Eppure, quando il capogruppo Luca Zeni ha posto dei dubbi sulla politica dei lease back, si è trovato, nel Pd, sotto fuoco concentrico.

“Mi scusi, ma stiamo parlando di quel Luca Zeni che viene dalla Margherita? Che era delfino di Dellai?”

Ma dove siamo? È questa la fine dei personalismi, la nascita di un Partito coeso, l’inizio di un dibattito sui programmi? Non ci siamo. Voto: 4.

Conclusioni

Dato che il numero delle domande era diverso abbiamo fatto una media dei voti. Scalfi arriva primo con la media del 6.25; seconda Robol con 5.93; terza Filippi con 5.56. Scarti minimi. Solo il consigliere comunale di Trento arriva alla sufficienza. Risicata. QT non è tenero con i politici, ma stavolta abbiamo voluto credere alle buone intenzioni. Nonostante questo, riteniamo che i tre candidati faticheranno ad essere all’altezza dei compiti difficili che li attendono. Più facile che finiscano con il contare, ancora una volta, le cordate e che le cose concrete finiscano nel dimenticatoio.