La crisi ucraina
... e i grandi giochi in cui l’Europa ha tutto da perdere
Nuove ombre sembrano addensarsi all’orizzonte dell’Europa e della pace mondiale, mentre si levano dai media le solite cortine di fumo dell’ideologia e della propaganda delle opposte forze in campo. L’America di Obama è ben decisa a sfruttare sino in fondo il caso (il caos) ucraino per gettare scompiglio nel campo avverso, anche per farla pagare ai russi che si erano messi di traverso su alcuni scottanti dossier come Iran e Siria.
Ma la posta in gioco è ben più alta. Sullo sfondo c’è il problema della gestione del declino di una grande potenza, gli Stati Uniti (gestione del declino, non il declino in sé, che è cosa evidente da decenni), preoccupati di prendere tempo e rafforzare il proprio sistema di alleanze in vista del confronto decisivo con la potenza egemone di domani, la Cina. In mezzo c’è un terzo (grosso) incomodo, la Russia di Putin, ci sono scalpitanti potenze emergenti (India, Brasile), ci sono alleati sempre più infidi come il Giappone o la Corea, inesorabilmente attratti nell’orbita del Drago cinese, e altri alleati smaniosi o con velleità di conquistarsi un ruolo meno evanescente (i paesi dell’Unione Europea, soprattutto la Germania).
Il caso ucraino, dal punto di vista americano, è perfetto per raggiungere un paio di obiettivi: ridimensionare la Russia da un lato, riportare all’ordine gli europei dall’altro. Ancora una volta saremo obbligati da Obama ad applicare sanzioni alla Russia di Putin, di cui solo noi europei porteremo il peso reale, visto che Italia e Germania sono tra i primi partner commerciali di Putin, non certo gli USA. Al contempo, con le sanzioni e con la promessa di far arrivare il gas americano in Europa, si spuntano gli artigli all’Orso russo, che sulla politica del gas aveva fatto il bello e il cattivo tempo in Europa da qualche tempo, in particolare legando sempre più strettamente al proprio carro la locomotiva tedesca (primo importatore di gas russo) e altri solidi interessi industriali europei e in particolare italiani (si ricordino i grandi accordi fatti da ENI ed ENEL con le controparti russe al tempo in cui Berlusconi e Putin facevano le vacanze insieme...).
De Gaulle aveva ragione...
Gli USA hanno sempre guardato con il massimo sospetto alla Ost-Politik tedesca e agli affari di grandi gruppi italiani in Russia, per l’ottima ragione che una crescente integrazione tra Europa e Russia va a minare gli assetti geopolitici usciti dal secondo dopoguerra e rischia nel medio periodo di emancipare l’Europa dalla tutela americana. Il buon De Gaulle aveva visto giusto quando diceva che l’Europa, per diventare una vera potenza planetaria, doveva “andare dall’Atlantico agli Urali”. E la politica americana dal dopoguerra ad oggi ha sempre teso a evitare e/o procrastinare al massimo un simile scenario. La Germania della Merkel lo ha perseguito, sulla scia dei precedenti governi, con la massima tenacia e oggi di conseguenza è il paese che ha il massimo da perdere dall’evoluzione che sta assumendo il “caso ucraino”. Se le sanzioni alla Russia da teoriche diventassero effettive, sarebbe messo in pericolo tutto il trend “orientale “ della politica industriale-finanziaria tedesca, che ha puntato le sue carte migliori proprio sullo sviluppo del commercio con la Russia di Putin: prodotti ad alta tecnologia tedesca contro materie prime (gas in primis) russo. Ma l’Italia non è messa meglio: a parte il gas, dall’epoca di Togliattigrad a oggi la Russia è sempre stato un buon mercato di sbocco per le nostre esportazioni, dai prodotti del tipico lusso “made in italy” alla meccanica strumentale in cui siamo secondi solo ai tedeschi.
Insomma, l’America di Obama ha visto nel caso ucraino l’occasione d’oro per scardinare d’un colpo le ambizioni russe a ritornare la potenza di un tempo (si ricordi il tono sprezzante di Obama nel definire la Russia “una potenza regionale”) e per distruggere ogni velleità di politica estera indipendente degli europei, Germania in testa. L’offerta all’Europa di poter sostituire il gas russo con lo “shale gas” americano e soprattutto le pressioni crescenti per fare accettare agli europei un nuovo grande trattato di scambio nord-atlantico - logico complemento degli accordi militari consolidatisi nel tempo nella cornice NATO - completano il quadro delle mosse strategiche americane.
A questa sfida americana, l’Europa arriva ancora una volta in ordine sparso e senza un’idea precisa della posta in gioco, per cui gli USA stanno avendo gioco relativamente facile a metterci in riga.
In una prima fase gli USA hanno varato sanzioni leggere, quasi simboliche, ma è facile prevedere che l’acuirsi della crisi nell’Ucraina orientale offrirà loro il destro per costringere l’Europa a varare sanzioni via via più dure e soprattutto in grado di incidere pesantemente sul commercio estero Russia-UE.
L’Ost-Politik non s’ha da fare
Cosa farà l’Europa a quel punto? Già la minaccia dei movimenti anti-europeisti mette una seria ipoteca sulla continuità dell’euro come moneta comune e rischia di incrinare l’unità europea; l’Inghilterra continua a fare la sua politica estera, guarda caso sempre collimante con gli interessi americani, nell’attesa di un referendum che potrebbe anche portarla fuori dall’Unione. Facile prevedere che sarà difficile alla Germania - oggi messa sotto accusa dai paesi meridionali dell’Unione - costruire un fronte capace di resistere alle pressioni USA per spezzare i legami con la Russia e mettere una pietra tombale su ogni velleità di Ost-Politik. Eppure la Ost-Politik tedesca in questo senso è e rimane l’unica chance che ha non solo la Germania, ma l’Europa nel suo complesso, per portare avanti quella politica estera indipendente che è una prerogativa irrinunciabile di ogni stato sovrano e il requisito necessario al decollo dell’Europa come potenza “alla pari” con le altre potenze planetarie. Questa è la posta in gioco, e non c’è dubbio che gli USA, profittando alla grande della crisi ucraina, siano in obiettivo vantaggio nella realizzazione dei propri piani economici e geo-politici a scapito dell’Europa.
Vista dal punto di vista della Russia di Putin, la questione ucraina è soltanto l’ultimo e il più irritante episodio del dopo guerra fredda. Profittando della debolezza della Russia di Eltsin, gli americani avevano via via sottratto all’influenza russa i paesi baltici, e poi la Polonia, e l’Ungheria e la Romania, facendoli entrare nel loro sistema di alleanze. Il tentativo di portare ora anche l’Ucraina nell’Europa, e domani magari nella NATO, è paragonabile solo a quanto fece Krusciov negli anni ‘60, quando tentò di installare i suoi missili a Cuba. Ossia l’America attraverso l’UE e appoggiandosi senza scrupoli a una dirigenza ucraina compromessa con il peggio del fascismo locale sta cercando di entrare nel “cortile di casa” della Russia di Putin sfilando un altro pezzo importante dal sistema di alleanze e di potere post-sovietico, cosa che logicamente non poteva restare priva di conseguenze.
Obiettivo USA: il ritorno all’ordine
Gli USA non si illudono certamente (e neppure lo vogliono) di poter sostenere l’Ucraina fino in fondo in una guerra ipotetica contro la Russia, e sanno bene che le truppe di Putin potrebbero entrare in Ucraina orientale come e quando vogliono e, se del caso, annettersela come hanno fatto con la Crimea. Ma della sorte di crimei o ucraini agli USA non importa se non strumentalmente, ai soli fini di realizzare i propri obiettivi geo-strategici. Come abbiamo visto, gridando all’aggressione russa e sbandierando una pretesa violazione del diritto internazionale ai danni dell’Ucraina, gli USA si propongono essenzialmente di ridimensionare la partnership economico-commerciale tra Russia e Europa e di ristabilire pienamente le gerarchie all’interno della alleanza atlantica. Una Russia poi indebolita dalle sanzioni, nei calcoli degli USA, potrà essere molto più malleabile sugli altri dossier, Iran in primo luogo. Magari, tacitamente, negli USA si spera in un rimescolamento dei poteri al Cremlino che porti alla ribalta una fazione più incline al dialogo e ad un accomodamento con gli USA, eventualità da cui probabilmente noi europei non trarremmo grandi vantaggi.
Il punto interrogativo che rimane è il seguente: la Russia di Putin come reagirà? Stringerà ancor più i suoi legami euro-asiatici, ossia con Cina e India, magari portando avanti i progetti di sabotaggio del predominio del dollaro? Si è spesso parlato in effetti a livello di BRICS della possibilità di sostituire progressivamente il dollaro come moneta principale delle transazioni commerciali internazionali, eventualità che gli USA vedono come il fumo negli occhi. Anche l’idea di costruire una rete internet autonoma, come ha già fatto da tempo la Cina e si accinge a fare l’Iran, rientra nel novero delle strategie di rappresaglia che la Russia di Putin potrebbe mettere in atto senza necessariamente arrivare a scenari di guerra. È un fatto che dopo la conclusione della crisi siriana e gli accordi di Ginevra con l’Iran, la Russia sembrava tornata sulla cresta dell’onda, mentre l’America pareva umiliata e sulla difensiva. Come si vede, la crisi ucraina ha prestato a Obama l’occasione migliore per ribaltare la situazione e mettere Putin sulla difensiva (e l’Europa alle corde). Occasione che non si è lasciato scappare, mentre noi europei ancor sparsi e divisi purtroppo rischiamo una volta in più di stare a guardare i grandi giochi che si fanno sopra le nostre teste.