Si può discutere?
Tutto ha avuto inizio da un articolo comparso su questo giornale nell’ottobre scorso a firma di Luigi Casanova, che deplorava il proliferare di croci e di altri ingombranti manufatti di varia natura installati sui cocuzzoli delle nostre montagne. Qualche settimana fa, il tema veniva ripreso da un comunicato di varie associazioni ambientaliste (Mountain Wilderness, WWF, Italia Nostra, Amici della Terra, ecc.) e di questo séguito, con relative reazioni, lo stesso Casanova riferisce a pag. 30 di questo numero. Torniamo sull’argomento anche qui per altre considerazioni riguardanti la difficoltà di instaurare un qualunque dibattito pubblico su un tema controverso. I commenti al vecchio articolo di Casanova apparsi sul sito di QT, provenendo soprattutto da un’area culturale vicina al giornale, concordano per lo più con le tesi esposte nell’articolo e sono fatti con pacatezza. Franco, ad esempio, nota che “in paesi particolarmente sensibili alla libertà religiosa, come ad esempio gli USA, è illegale esporre simboli religiosi su terreni o edifici governativi. Capisco le buone intenzioni dei cattolici nel mettere una statua di una loro divinità in un punto particolarmente simbolico della montagna, ma credo che nello spirito della Costituzione sia necessario un maggiore rispetto per chi cattolico non è”. Ma anche i dissenzienti sono tranquilli: “Da ogni parola dell’articolo si evince che se il Cristo Pensante non avesse avuto successo sarebbe andato bene, ma siccome ci vanno molte persone è un’eresia. Un po’ assurdo come concetto, no?” E un altro: “Quest’opera ha fatto conoscere la montagna a tante persone, ha fatto infilare degli scarponcini a chi fino a ieri non conosceva nemmeno la parola ‘sentiero’. Forse l’autore è così geloso delle ‘sue’ montagne che non vuole condividerle con nessuno?”. Ma pure in questo clima beneducato ecco insinuarsi la provocazione, l’aggressione, il rifiuto di entrare nel merito del problema in nome dello sfogo di stizze personali: “I cristiani - scrive M.P. - sono storicamente i primi distruttori della natura”. Poi il discorso si allarga ai “cosiddetti martiri cristiani, quasi tutti inventati di sana pianta... Il monoteismo fu la disgrazia più incivile che potesse capitare all’umanità: distrusse la natura, l’uomo, la società. E ancora continua con le sue gerarchie criminali e i suoi ipocriti fedeli”. Conclusione: quanto deplorato da Casanova “può capitare solo in un paese che una congrega di buffoni ha messo nella disponibilità di preti e di ladri”. Molto peggio vanno le cose nel più folto dibattito - un centinaio d’interventi - che commenta, sul sito dell’Adige – il documento degli ambientalisti. Pro croci: “Sono anni che fate la guerra a tutto quello che abbiamo di più caro: no ai presepi, no alle croci in aula, no ai saluti di buon Natale sulle strade cittadine, no, no e no, come adolescenti viziati e incattiviti. Andate a vivere in un paese mussulmano per capire cos’è l’intolleranza sulla vostra pelle”. “Se a Casanova ed i suoi amici non piacciono le croci in montagna, basta che non le guardi”. “Tiriamo giù anche le montagne così ci piantiamo meli, costruiamo alberghi e Casanova (che è guardia forestale, n.d.r.) perde il lavoro”. Fino a quello che la butta in politica: “I cosiddetti ambientalisti sono come le angurie, verdi fuori ma rossi dentro!”. Contro: “Credete che le montagne sono cristiane, del Vaticano forse? Tenetevele sopra i vostri letti se vi piacciono tanto”. “Cari bigotti..., il vostro messia non vi aveva detto di essere umili?”. E per fortuna c’è lo spiritoso: “La croce è stata uno strumento di tortura: se Gesù fosse stato giustiziato al tempo della rivoluzione francese sulle cime delle montagne troveremmo una ghigliottina”. Domanda: come mai quasi sempre le discussioni via Internet finiscono a male parole? Propongo due ragioni. C’è senz’altro - non serve dimostrarlo - l’influenza di un clima becero di contrapposizione feroce, dove l’ascolto dell’altro non interessa e l’intento è quello di ferire più che di convincere. Ma c’è soprattutto un problema di analfabetismo informatico, di incomprensione della differenza fra il parlarsi e l’inviarsi un messaggio; in quest’ultimo caso manca il tono della voce, l’espressione del viso, che servono a modulare, ad attenuare un’espressione forte, e a correggere immediatamente con altre parole un’interpretazione sbagliata. C’è poco da fare: lo scambio di messaggi non sempre può avvenire “in tempo reale” come ci si illude: leggo e mentre preparo la risposta mi stizzisco sempre più, alzando i toni e inducendo quindi l’altro a fare lo stesso, in una spirale che manda a quel paese la ragionevolezza e la buona educazione. Voglio dirlo: è un meccanismo che ha infettato anche alcuni acculturati, raffinati redattori di QT. Li prego quindi, se si sentissero offesi da quanto ho scritto, di farlo a voce: se la lagnanza mi giungesse via mail, non garantisco che sarei immune io stesso dal perdere le staffe.