Un Ministero in liquidazione
Il ministro Clini fa approvare la Convenzione delle Alpi, il suo governo “tecnico” di fatto sopprime il Ministero dell’Ambiente.
Finalmente l’intero pacchetto della Convenzione delle Alpi è arrivato al traguardo definitivo, approvato da ambedue le Camere in tutti i suoi protocolli, contemporaneamente all’assunzione da parte dell’Italia della presidenza del Segretariato della Convenzione alpina.
Ma quanta insofferenza dei nostri parlamentari, quanta debolezza di analisi, quanta sudditanza ai poteri della lobby del cemento abbiamo dovuto registrare negli estenuanti dibattiti tenuti nella Commissione e nelle due Camere.
Legambiente ha salutato il provvedimento senza giri di parole: “Finalmente sarà possibile un coordinamento dello sviluppo dei sistemi di trasporto transfrontalieri nell’arco alpino a tutto vantaggio dell’ambiente”. Sullo stesso tono, evidenziando però anche margini di ambiguità nella stesura del documento, anche le osservazioni del WWF, di Mountain Wilderness e di CIPRA Italia (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi)
Va dato atto al Ministro dell’ambiente Corrado Clini di aver fortemente cercato questo successo, che certamente mette in luce il profilo internazionale di un’Italia ormai relegata, in altri settori, a cenerentola europea, come ad esempio in materia di recepimento di normative ambientali.
Ma le pressioni avanzate dalla Lega e dal PDL, tese a mortificare il dettato del protocollo sui trasporti, sono state incredibili. Questo protocollo è l’unico, nell’intera Convenzione, che prevede normative tassative: la scelta strategica dei paesi alpini di favorire il trasporto transfrontaliero nelle Alpi di merci e persone su ferrovia, efficaci penalizzazioni economiche del trasporto su gomma (come avviene da tempo in Svizzera, dal 2017 sarà obbligatorio l’attraversamento del paese su rotaia per tutto il traffico commerciale), limiti alla costruzione di nuova viabilità pesante anche all’interno degli Stati nell’arco alpino. Fra le altre cose, il protocollo auspica il monitoraggio continuo dell’interazione trasporti-ambiente. L’iter dell’approvazione ha inserito un passaggio che evita “la cristallizzazione dello status quo dell’area di interesse” e quindi apre in modo esplicito alla possibilità di costruire nuove autostrade. Come conseguenza, nel caso del nostro Paese, rimangono aperte le opzioni della Valdastico, della Alemagna, come di altre superstrade che interessano l’area pedemontana sia del Friuli sia del Piemonte in direzione Liguria.
Va dato atto al PD di aver voluto con forza l’approvazione del protocollo e di aver subito il pesante ricatto imposto con la forza dei numeri dai parlamentari della Lega (che comunque ha votato contro), del PDL e delle forze del centro.
Ancora una volta il ministro Clini è stato coerente: “la politica italiana sarà rivolta al potenziamento delle infrastrutture ferroviarie, arrivando ad un accordo con la Francia per stralciare dal patto di stabilità europeo (in questo caso “stralciare” significa permettere il finanziamento ndr) queste opere strategiche per le comunicazioni fra Sud e Nord dell’Europa” (che non significa solo TAV, ma primariamente recepire la politica svizzera in tema di trasporti ferroviari).
Il governo “tecnico”
Ma il governo non è, purtroppo, fatto solo da Clini. E il disegno da lui appoggiato entra in collisione violenta con le politiche infrastrutturali decise e sostenute dal governo tecnico e con l’atteggiamento tenuto, sempre dal governo, nei confronti del Ministero dell’Ambiente. Nel silenzio più assoluto di tutta la stampa nazionale è in atto la demolizione definitiva della struttura ministeriale e con essa il riconoscimento del valore di beni comuni come il paesaggio e il territorio ancora non infrastutturato. Insomma, come peraltro efficacemente illustrato da Salvatore Settis su Repubblica, in obbedienza alla ideologia di Confindustria secondo cui la tutela del paesaggio è un freno all’edilizia e alle infrastrutture, l’attuale governo tecnico si pone in continuità rispetto a quello di Berlusconi. Le ultime decisioni governative passano ai Comuni la responsabilità di autorizzazioni strategiche, l’istituzione di pletoriche conferenze dei servizi (primo ad attivarle il Trentino) e una infinità di norme silenzio-assenso che coinvolgono persino le aree tutelate.
Il principio del silenzio-assenso era nato per tutelare i cittadini dall’inerzia delle pubbliche amministrazioni: oggi invece permetterà di costruire in aree vincolate, riducendo la forza della legislazione nazionale ad un livello inferiore di quello dei piani regolatori comunali e dimezzando i tempi consentiti per la risposta: da 90 a 45 giorni. Tutto questo in un contesto in cui oggi, a causa della drastica riduzione del personale, le Sovraintendenze non riescono neppure a svolgere l’ordinaria amministrazione. La nostra Costituzione parla della tutela del paesaggio come un bene “inderogabile di solidarietà politica economica e sociale”, indirizzato allo sviluppo della personalità umana, collegato alla libertà di pensiero, all’arte, alla scienza, alla tutela della salute. Dovrebbe essere il bene comune a limitare i diritti di carattere privatistico e la libertà d’impresa, ma questo governo - ideologico, quindi politico - decide l’opposto. E così agisce contro la Costituzione.
Andiamo ora a vedere cosa accade nelle stanze del Ministero. Dal 2010 è un Ministero in via di liquidazione, già con i primi provvedimenti di contrazione della spesa pubblica. Le riduzioni lineari proposte dal governo Monti hanno portato il bilancio del Ministero, per il 2014, a 450 milioni di euro (quando nel 2008, con Prodi, era di 1 miliardo e 649 milioni): un taglio con cui il Ministero si troverà azzerata ogni capacità operativa, avrà solo i soldi per pagare il personale. Saranno quindi resi impossibili gli interventi di emergenza in caso di inquinamento marino così come l’azione delle Capitanerie di porto (permettendo alle aziende una tranquilla ricerca abusiva dell’oro nero nei nostri fondali); improbabili i controlli nelle aree industriali da bonificare; ingestibili le aree protette, che invece al giorno d’oggi funzionano ancora da concreta azione di contrasto alla speculazione, all’abusivismo edilizio, al dissesto del territorio, all’inquinamento degli ecosistemi, alla perdita di biodiversità.
La scelta della cementificazione del territorio, nella ideologia sviluppista classica, che lega interessi di banche a quelli delle grandi imprese edili, ci viene illustrata dal viceministro Caccia (Grand’ufficiale, magistrato della Corte dei Conti, poi banchiere). La sua politica incentiva le grandi infrastrutture, specialmente quelle stradali, prevedendo ulteriore indebitamento delle famiglie italiane per le prossime generazioni. Il suo capo è, non a caso, il ministro Corrado Passera, banchiere a tutto tondo.
Per tali infrastrutture vengono investiti, entro il 2015, 100 miliardi di euro “senza creare debito” (dicono loro). Per fare porti e così permettere alle navi provenienti da Suez di scaricare in Italia, invece di farle proseguire per Rotterdam o Algeri. Caccia ci promette traffico stimato nel trasporto di ulteriori 7 milioni di container, un aumento del 70% sull’attuale traffico, formando treni giornalieri lunghi 230 chilometri... Una scelta politica sconfessata perfino dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco che ammonisce che per “rilanciare l’economia vi è un’unica cosa, un ampio progetto di manutenzione immobiliare e cura del territorio contro il dissesto idrogeologico”.
Il sistema Caccia ricorda i finanziamenti dell’alta velocità tramite le magie del project financing, ideato da Ercole Incalza, oggi stretto collaboratore di Caccia (magia portata in Trentino da Dellai con l’idea del Nuovo Ospedale). L’alta velocità Torino - Milano - Roma ha causato allo Stato un debito di 90 miliardi di euro. Ed oggi ci viene proposto il terzo valico, le nuove autostrade Voghera- Genova, Orte-Mestre e guarda caso l’Alemagna. Sono tratte che in realtà hanno ben poca razionalità economica (e tra esse la Valdastico, anzi soprattutto la Valdastico) e di cui, per ottenere il via libera, si è sovrastimato il traffico, e di conseguenza si prevede il rientro economico obbligando i comuni e le Regioni a disincentivare il traffico sulle statali attraverso l’imposizione di assurdi divieti di velocità e di passaggio ai mezzi di trasporto merci. Se poi ancora non ci sarà abbastanza traffico per garantire profitti ai privati, pagherà lo Stato.
Una cultura del liberismo più sfrenato
Sull’intero sistema progettato si registra il silenzio assoluto di tutte le forze politiche. Solo i comitati locali, ed i gruppi a sostegno di Grillo, fortunatamente ben strutturati, riescono a costruire controinformazione. Oppure, come accade con lo sfascio dei parchi nazionali, ci si deve appoggiare all’azione sindacale dei dipendenti (non certo sostenuti dai sindacati confederali) e delle associazioni ambientalistiche (manifestazione del 25 ottobre a Roma). Sono questi comitati, queste associazioni, che ancora oggi costruiscono mobilitazione sociale contro la presunta tecnicità del governo Monti, smascherando ipocrisie e una linea politica chiaramente orientata al sostegno di politiche che leggono ancora il territorio come un bene che deve solo produrre reddito e PIL, la cultura del liberismo più sfrenato.
Se questi sono i segnali che si registrano non si può leggere l’approvazione della Convenzione alpina in positivo: nella classe politica del nostro paese è assente la coerenza. Mentre si approvano leggi di alto contenuto ambientalista, nei fatti si continuano a promuovere e sostenere le linee di uno sviluppo vecchio, basato come sempre sul cemento, nuove strade ad alta velocità, distruzione di coste e di paesaggi liberi da infrastrutture. Nessuno parla di ferrovie, nessuno incentiva le aree protette ed i nuovi lavori che invece nei paesi del Nord mantengono in positivo i livelli del PIL.