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QT n. 2, febbraio 2012 Servizi

Porfido: immobili di fronte alla crisi

Scarsa innovazione, poca attenzione all’ambiente e continui conflitti di interesse. Non è così che si combatte la crisi.

Sandro Gottardi

Ci siamo lasciati, due anni fa (Porfido fra crisi e furberie), con il settore del porfido che iniziava a sentire i primi effetti della crisi economica: difficoltà di mercato, ricorso alla cassa integrazione straordinaria, licenziamenti e qualche piccola azienda in sofferenza.

Piazzali di cava a Fornace.

Una crisi che, come scrivevamo, era certamente accentuata da uno sviluppo del settore caotico e quasi acefalo, determinato più dagli interessi individuali che da logiche industriali e in buona parte indotta dall’assenza di una visione d’insieme, sia a livello di produzione, sia di commercializzazion; un aspetto, quest’ultimo, considerato assolutamente secondario per prodotti che avevano sempre trovato facile sbocco, soprattutto sui mercati del nord Europa.

Sullo sfondo, il mai risolto conflitto di interessi tra amministratori locali, quasi sempre concessionari di lotti di cava pubblici, controllori e controllati allo stesso tempo.

In questi ultimi due anni la situazione è rimasta sostanzialmente immutata, anche se oggi la posta in gioco è la sopravvivenza stessa del comparto, un pezzo importante dell’economia provinciale (secondo la CGIL i lavoratori dipendenti nelle cave sono meno di 800, praticamente dimezzati in poco più di un decennio).

La nuova legge che regolamenta le attività estrattive, la L.P. n° 7 del 2006, tra le altre cose, ha istituito il “Distretto del Porfido e della Pietra Trentina”, una SpA pubblica con il compito di trasformare il settore e costruire un sistema coordinato e dinamico, in particolare per quanto riguarda l’innovazione e la promozione dei prodotti. Ma questo ente, per ammissione dei suoi stessi dirigenti, non ha suscitato grande entusiasmo tra i cavatori, che si sono dimostrati poco disponibili ad accoglierne le indicazioni e i programmi.

In un recente convegno sul futuro dell’industria del porfido, tenutosi ad Albiano lo scorso 17 dicembre, l’analisi della situazione fatta da Diego Laner, amministratore del Distretto del Porfido, è stata quasi impietosa, tanto da suscitare qualche malumore tra gli imprenditori presenti.

Nessun interesse per quanto riguarda l’aggregazione dei lotti di cava, che pure potrebbe rappresentare un primo elemento di compattezza e di razionalizzazione sia a livello di costi che di coltivazione ottimale dei giacimenti.

Scarso controllo sulla filiera del prodotto: da un lato a causa del massiccio ricorso - in particolare negli ultimi anni - al lavoro autonomo o pseudo-autonomo in subappalto; dall’altro a causa dell’escavazione e commercializzazione, da parte di imprenditori locali, di porfido estero, con un’inevitabile perdita di controllo sulla qualità e una oggettiva difficoltà nel fornire quel “pacchetto” completo e certificato, dall’estrazione alla posa, che, si dice, avrebbe buoni spazi di mercato.

Infine, poca attenzione al futuro, con le aziende che affrontano le difficoltà attraverso la riduzione dei prezzi, il taglio del personale o il ricorso alla cassa integrazione, piuttosto che moltiplicando gli investimenti e puntando sull’innovazione dei prodotti e del processo produttivo.

Discarica fra Lases e Fornace.

L’imprenditoria del porfido, nel suo complesso, è stata sempre assai refrattaria alle novità che, infatti, hanno preso piede solo nel momento e nella misura in cui sono state imposte con degli obblighi precisi. Basti pensare alla coltivazione dei lotti “a gradoni” piuttosto che con fronte cava unico, che ha permesso di ridurre notevolmente la frantumazione delle rocce; oppure all’adozione delle trance oleodinamiche dopo il sequestro, da parte della Magistratura nell’inverno 1993, delle vecchie e pericolose cubettatrici a caduta; oppure all’introduzione, più recente, dei “banconi” per la cernita del materiale, in grado di ridurre i rischi e l’affaticamento per gli addetti, ma che non bastano nemmeno per la metà di essi.

Aste: l’accordo tradito

Un secondo aspetto sul quale la Legge del 2006 avrebbe dovuto segnare una discontinuità col passato, riguarda le aste per le concessioni sui lotti comunali (sulla questione l’U.E. ha aperto, a suo tempo, ben due procedure di infrazione contro la Provincia per violazione delle norme sulla libera concorrenza). La legge non pone però alcun termine perentorio e affida ai singoli Consigli comunali la definizione di una proroga per le concessioni attuali. Sebbene l’indicazione della Provincia fosse per un limite massimo di 18 anni, le delibere adottate in un primo tempo dalle amministrazioni locali, fissavano proroghe variabili dai 12 anni di Lona-Lases ai 26 di Albiano.

Dopo una lunga contrapposizione che ha visto scendere in campo anche il Presidente della Provincia Dellai e dopo le minacce di revoca dei contributi provinciali, è stato finalmente celebrato, con toni quasi trionfalistici, un accordo che avrebbe dovuto chiudere definitivamente la questione.

L’intesa si è però rivelata assai fragile, visto che negli ultimi giorni del 2011 diverse aziende hanno scelto di ricorrere, riaprendo nuovamente la partita. È sintomatico che tra queste, ad Albiano, una abbia tra i titolari un consigliere comunale di maggioranza e un’altra faccia capo all’ex consigliere provinciale Tiziano Odorizzi (Margherita), che ha contribuito fattivamente alla stesura della nuova legge e che dovrebbe quindi conoscerla e forse condividerla, visto e considerato che l’ha votata.

Definire queste situazioni come conflitti di interessi è quasi un eufemismo e forse non rende bene l’idea di cosa stia accadendo veramente. I Consigli comunali chiamati a decidere sull’art. 33 sembrano assomigliare più a dei comitati d’affari che ad organi rappresentativi degli interessi delle comunità locali; basti ricordare che ad Albiano è stato modificato il Regolamento in modo tale da poter deliberare, con soli 6 consiglieri.

Lases: la frana dello Slavinac..

Occorre comunque dire che la proroga di 18 anni, indicata dalla Provincia, sembra incomprensibilmente lunga e certamente non serve per ammortizzare gli investimenti, dal momento che, a detta di molti ed autorevoli soggetti, istituzionali e non, nel porfido non si è investito e non si investe - salvo rare eccezioni - se non a seguito di lauti, quanto talvolta ingiustificati incentivi, come ad esempio quelli distribuiti, pochi anni fa, attraverso i Patti territoriali.

C’è da chiedersi in che misura la libertà di scelta dell’impresa, che opera secondo il principio della massimizzazione dei propri benefici, sia accettabile non solo sul piano etico, ma anche giuridico, in una situazione come quella che è stata descritta, soprattutto considerando che i concessionari stanno gestendo una risorsa collettiva,

In questo quadro, dove sempre più gli interessi della singola azienda divergono da quelli complessivi del settore e soprattutto da quelli della collettività, sarebbe forse opportuno imporre una riorganizzazione complessiva in grado dare una prospettiva anche per il futuro, senza affidarsi, ancora una volta, alla buona volontà o alla ragionevolezza.

Guardando alla storia del settore e per le ragioni sopra esposte, questo ruolo di regia dev’essere assunto direttamente dalla Provincia, in particolare se pensiamo alla necessità di garantire i livelli occupazionali, e all’enorme problema dei ripristini ambientali, rispetto ai quali, forse, sarebbe opportuno avere qualche garanzia più concreta dei fragili impegni che le aziende sottoscrivono col rilascio della concessione.

È già accaduto in più occasioni e non solo nel porfido, che si scarichi sull’ente pubblico il costo per le inadempienze e le irresponsabilità di privati; lo testimoniano bene la frana dello Slavinac a Lases o la situazione del lago di Valle (vedi QT n°12-2007) solo per fare due esempi tra i tanti.

È indicativo e preoccupante, in proposito, che ci sia chi si interroga, anche a livello istituzionale, sull’opportunità di caricare sui nuovi concessionari che subentreranno nel settore gli oneri per il ripristino ambientale. Il rischio è che anche la crisi diventi un ulteriore pretesto per aggirare i già pochi e incerti vincoli ed essere un alibi per prolungare lo status quo, in attesa delle aste e di un riassetto complessivo che assomigliano sempre più a dei miraggi. Ma tra due decenni, a chi potranno interessare un settore ormai finito e degli enormi buchi nelle montagne?