Censimento: un’opportunità di dialogo
L’esperienza di due rilevatori a confronto
Dopo tanto tempo da studente, è difficile non avere qualche preoccupazione all’idea di entrare nelle case di Trento a parlare di censimento. Anni di diatribe con i vicini per rumori più o meno insignificanti, di accuse rimbalzate tra un “gli studenti vengono a godere del nostro buon governo e a fare casino” ed un “siamo noi a tenere in piedi la vostra economia”, di strigliate subite dai vigili urbani per aver attraversato col rosso strade deserte, producono nella testa del forestiero un’immagine del trentino medio che non invoglia il contatto casalingo. L’immagine di famiglie benestanti con un retaggio di durezza montanara, timorate di Dio, della Provincia e delle regole in generale, diffidenti e pronte a redarguirti, a te che prediligi l’arte dell’arrangiarsi in preparazione ad un futuro di precarietà.
Sono bastati però pochi contatti per capire che anche con i trentini, come del resto con qualsiasi essere umano, è solo una questione di approccio. E all’ennesima accoglienza educata, disponibile e nemmeno troppo formale ti chiedi com’è possibile che, vivendo qui tutti questi anni, non fossi stato ancora in grado di entrare davvero in contatto con questa gente. Così, l’ansia per il rispetto delle regole diventa senso civico e voglia di fare la propria piccola parte senza creare intralci. E la diffidenza verso lo studente casinaro diventa solidarietà verso il rilevatore che offre un servizio. Certo, lo spauracchio della multa, che leggende metropolitane fanno credere arriverà immediata al primo minuto di ritardo nella consegna del questionario, ha il suo effetto. Ma sarebbe disonesto sostenere che è da questo che viene la grande disponibilità. Una disponibilità che si esprime nell’aiutarti a portare avanti le tue limitate mansioni, compilando i questionari il prima possibile, aiutandoti a rintracciare vicini introvabili e appartamenti vuoti e preoccupandosi di non farti perdere troppo tempo. Ma che in molti casi va anche oltre, trasformandosi in sincero interesse verso la tua persona.
“Cosa fai a Trento, studi?”, “È davvero così difficile trovare un lavoro?”. Capita spesso di fermarsi a chiacchierare per un po’ davanti a un caffè o a un crodino, cercando di schivare, perlomeno la mattina, gli insistenti inviti a un grappino. E capita di rifiutare, a malincuore, offerte di doni assolutamente spropositati: pacchi di biscotti, cioccolatini, panettoni, bottiglie di vino. In questo modo il più classico dei lavori tappabuchi diventa un piacevole viaggio proprio dietro casa tua, alla scoperta del lato migliore di Trento: quello che mostrano le persone quando sono serene tra le mura di casa e accolgono qualcuno cui riconoscono il diritto di bussare alla porta. Un viaggio a cui i molti stranieri aggiungono un tocco di colore con le loro accoglienze eccessive, le offerte di cibi etnici e gli scorci di televisioni albanesi, pakistane, moldave e tunisine ad alto volume nei loro salotti.
Qualche mese di censimento garantisce molte situazioni piacevoli e aneddoti divertenti, mentre gli incontri negativi si contano sulle dita di una mano. Per completare il ribaltamento della prospettiva, molti di questi riguardano proprio appartamenti di studenti, svogliati, poco informati e diffidenti. Chi l’avrebbe detto che tra l’anziana fragile e sola e la venticinquenne nel pieno delle sue attività sia spesso la seconda a parlarti senza aprire, guardandoti con diffidenza dallo spioncino e millantando improrogabili impegni, mentre la prima ti accoglie con l’aria di chi a chiacchierare con te ci rimarrebbe delle ore?
Raccontare i propri problemi
Non è tutto oro quel che luccica, però, e l’occasione di fare due chiacchiere con una così grande varietà di persone significa anche ascoltare parecchi sfoghi e lamentele. Preoccupazioni personali, problemi di salute, magari la semplice necessità di spezzare la solitudine, molto frequente per gli anziani e non solo. Ma anche, alla domanda “La settimana precedente al censimento ha svolto almeno un’ora di lavoro?” storie di situazioni e previsioni economiche che, pure nella florida Trento, sembrano quantomeno incerte. Tra chi un lavoro lo cerca da molto, chi dichiara, con amarezza, che ad ottobre lo aveva, ma ora non più e chissà per quanto ancora, e chi si lamenta che gli si chieda se lavora ma non se questo gli permette di mantenersi. Dato che i problemi ci sono, fa piacere che almeno ci sia qualcuno al di fuori della propria cerchia che abbia qualche minuto per parlarne. E poco importa che costui resti comunque un emissario del potere pubblico che commette un’intrusione nella propria privacy.
Così, accanto al suo innegabile ruolo di generatore di statistiche, il censimento porta con sé il valore aggiunto dell’interazione, per quanto breve, tra esseri umani che solitamente comunicano tra loro in maniera sporadica e formale. Un aspetto da tenere in conto, tra dieci anni, quando si valuterà se le informazioni su ognuno di noi che lo Stato ha a disposizione siano sufficienti per evitare di portare avanti il sedicesimo censimento. Un tema su cui riflettere magari anche un po’ prima.
Sono tante, anche a Trento, le persone che, per quanto certamente non necessitino di “assistenza” per i parametri dei tecnici del welfare, hanno raramente l’occasione di parlare di sé a qualcuno che abbia il tempo di ascoltarle. Dobbiamo aspettare il 2021 perché ne abbiano un’altra?
All’arrivo del questionario del censimento più di qualcuno si sarà chiesto la finalità di quel lungo modello pieno zeppo di domande, crocette da segnare, rinvii numerati: un’altra faccenda burocratica da sistemare che spesso viene vissuta come una perdita di tempo. Se già per gli italiani la compilazione non è sempre immediata, il mio primo pensiero è andato ai tanti stranieri residenti nella zona che mi era stata affidata. Immaginare di andare da sola a casa di persone sconosciute e con cui, a causa della lingua, è difficile comunicare, mi spaventava e intimoriva. Ma una mia collega, a cui nello scorso censimento era stata affidata una zona di Trento simile alla mia, mi aveva subito rassicurato: “Vedrai, gli stranieri spesso sono molto più gentili degli italiani. Ti troverai bene”.
Oggi, a censimento concluso, è possibile fare un bilancio dell’esperienza che, seppur faticosa, mi ha permesso di conoscere una parte di Trento con cui prima non ero mai entrata in contatto. Quasi a sorpresa gli stranieri sono stati fra i primi a consegnare il questionario e ad informarsi presso il Centro di Raccolta o in comune se ci fosse la possibilità che qualcuno potesse aiutarli nella compilazione. In molti casi, quando si passa nell’abitazione per il ritiro del modulo, molti arrivano persino a scusarsi per non essere riusciti a far da soli, per avermi scomodato e fatto perdere tempo.
La busta inviata dall’Istat nella maggior parte dei casi è conservata con cura e per ritrovarla bastano pochi minuti: nessuno ha sottovalutato l’importanza del censimento (non come altri che hanno gettato la busta pensando che fosse solo pubblicità), tanto che il modulo è stato riposto nel cassetto in cui sono conservati i documenti di famiglia.
Iniziata insieme la compilazione, emergono storie e ricordi di persone fiere delle proprie origini ma che al tempo stesso sorridono orgogliose quando mi segnalano che l’ultimo figlio è nato a Trento. In particolare sono i figli degli stranieri, le famose “seconde generazioni”, che diventano un legame tra la cultura dei propri genitori e le tradizioni e abitudini italiane. Come nel caso di quei ragazzi che, benché nati all’estero, sono qui da così tanto tempo da conoscere il dialetto trentino e che in casa con i fratelli parlano in italiano.
Quando si chiede di ricordare mese e anno del matrimonio spesso sono titubanti, ma quando devono indicare mese e anno in cui sono arrivati in Italia la maggior parte risponde immediatamente ricordando persino il giorno esatto. L’abbandono del Paese di origine per molti stranieri è ancora vissuto come l’inizio di una nuova vita, anche se per altrettanti corrisponde al non poter esercitare la professione per cui hanno studiato. Non è difficile incontrare laureati in economia o ingegneria in Pakistan, India, Marocco che sono riusciti a trovare solo un posto come sorveglianti, camionisti o muratori, ma che comunque dicono di essere fortunati perché a dispetto di tanti altri hanno un lavoro. Il servizio che il rilevatore offre alla famiglia è davvero insignificante rispetto a ciò che si riceve in cambio: non mi riferisco solo alla cortesia con cui sono sempre stata accettata, ma alle tante attenzioni che ho ricevuto. Con la preoccupazione che fossi stanca, che non avessi ancora mangiato o solo perché le mamme mi dicevano di avere una figlia della mia stessa età, in più di un’occasione mi è stato offerto di rimanere a pranzo, di bere un caffè o un tè. In un momento come questo in cui la crisi economica sta pesando fortemente sui bilanci delle famiglie, il lavoro di rivelatrice mi ha dimostrato come il senso della condivisione e della gratitudine sia comunque ancora presente nella gente. Ma soprattutto come la cortesia e la disponibilità spingano le persone a compiere dei piccoli gesti di aiuto anche in completa gratuità: nel momento in cui ho chiesto informazioni ai passanti per trovare le abitazioni più isolate, oltre a ricevere indicazioni, in molti casi sono stata persino accompagnata. Signore a passeggio con il cane o con la borsa della spesa in mano che sceglievano di deviare dal loro percorso per assicurarsi che trovassi davvero la casa che stavo cercando e che durante il tragitto mi chiedevano se avessi bisogno di altre informazioni.
È proprio grazie ad esperienze come questa che ci si rende conto di come la nostra società non si sia completamente piegata all’indifferenza e al cinismo. Al tempo stesso, però, si ha quasi l’impressione che questo altruismo sia sostenuto anche dalla voglia di essere considerati e apprezzati, visto che il senso di solitudine personale emerge in modo evidente in tantissime delle persone incontrate. Non mi riferisco solo agli stranieri, che in alcuni casi riescono ad instaurare rapporti solo con i propri connazionali, ma anche ai trentini che dimostrano una grande voglia di parlare e farsi conoscere. Soprattutto per gli anziani ogni domanda del questionario è un pretesto per raccontare e ricordare il proprio passato: un piccolo momento di sfogo a cui le persone si concedono perché il rilevatore che hanno davanti è un estraneo e sanno che non verranno giudicate.
Davanti a questo tipo di realtà ci si chiede che rilievo possono avere le quattro domande “sensibili” poste da Istat al termine del questionario sulla difficoltà nel vedere, sentire, camminare e ricordare rispetto all’importanza di capire anche quale sia l’animo delle persone. Per quanto questo dato ai fini dell’elaborazione statistica possa essere considerato troppo soggettivo, permetterebbe di capire che il Trentino del 2012 non è solo quello rappresentato dalle agenzie del turismo, ma che è anche formato da persone che chiedono di essere riconosciute ed ascoltate.