Soldi spesi bene per l’Istituto di ricerca?
Da Itc a Fondazione Kessler: risultati, clientelismi, prospettive
Si sono registrati timori e preoccupazioni, nel mondo universitario trentino: “Difenderemo la nostra autonomia” è stato il succo dei non molto diplomatici commenti. A sollevare questi allarmi era stato il progetto del nuovo presidente del massimo ente di ricerca trentino, la Fondazione Bruno Kessler (FBK), Massimo Egidi: “la creazione di un polo di ricerca delle scienze umane e sociali attraverso - e in questo favoriti anche dalla recente acquisizione della delega sull’Università da parte della Provincia - un nuovo modello di interazione unitario, strutturato e continuativo tra FBK, UniTn e gli altri soggetti del sistema trentino della ricerca”. Insomma da una parte Egidi, già apprezzato rettore dell’Ateneo trentino, eppure lasciatosi male con il mondo accademico locale, e ora rettore della prestigiosa Libera Università Luiss di Roma; dall’altra il presidente della Provincia Lorenzo Dellai, che ha chiamato Egidi alla guida di Fbk, e ha impostato un non tranquillo passaggio di competenze sull’Università dallo Stato alla Pat. Due personalità forti, molto forti, e da sempre alleate; che possano debordare, e mettere le mani sulla ricerca universitaria attraverso il “modello unitario tra FBK e università”, è stata la prima preoccupante ipotesi ad essere discussa nei corridoi dell’Ateneo.
Noi qui lasciamo tra parentesi questo discorso. E invece focalizziamo la nostra attenzione su Fbk: il suo ruolo, la sua importanza, la sua evoluzione. Anche perché, dopo oltre quattro anni dal passaggio da Istituto Trentino di Cultura voluto da Kessler, alla Fondazione con il nome del proprio padre politico, e quindi dal passaggio da ente eminentemente pubblico a uno con forti connotazioni privatistiche, è giunto il momento di trarre un primo bilancio. La domanda “ma da tutti questi soldi per la ricerca, che ce ne viene?”, pur populista, è legittima, e richiede una risposta non preconfezionata.
Il passaggio da Itc a Fbk, infatti, si prefiggeva una serie di obiettivi: attrazione di capitali privati; ricadute della ricerca sulle imprese del territorio; efficienza della struttura; infine - questione che molto agitò il periodo di passaggio - una gestione del personale da istituto di ricerca invece di ente pubblico: i ricercatori che si muovono a livello internazionale hanno esigenze altre dagli impiegati provinciali. Quali di questi obiettivi sono stati raggiunti? E come?
Follow the money
Iniziamo dall’aspetto centrale: la ricerca, in particolare la ricerca scientifica. Qui, se la Fondazione si proponeva di attirare finanziamenti di privati all’ente di ricerca in quanto tale, possiamo dire che l’obiettivo si è rivelato una bubbola. “È difficile che in Italia delle aziende private finanzino la ricerca pura” ammette Giuliano Muzio, responsabile in Fbk dell’area Innovazione e Relazioni con il territorio.
“Beh, in Italia c’è stata una continua polemica, che non condivido, sui possibili condizionamenti dei privati sulla ricerca - risponde il nuovo presidente Massimo Egidi, che poi sposta il discorso - A me preme invece sottolineare come i progetti condivisi siano finanziati per oltre 4,2 milioni da fonti private, per più di un terzo locali”.
Qui il discorso dei soldi si intreccia strettamente con quello delle ricadute locali, oltre che della qualità della ricerca. “Follow the money”, segui la pista dei soldi, dicono in America, alternativi al “cherchez la femme” dei francesi. Facciamo gli americani.
Come si vede nel grafico, dei 44,3 milioni di euro del bilancio 2010 di Fbk, 30,5 vengono da mamma Provincia, e 13,4 dal cosiddetto autofinanziamento. Vale a dire progetti europei e ministeriali (9,2 milioni) oppure progetti congiunti con imprese nazionali, internazionali, locali (i restanti 4,2 milioni).
Insomma, un autofinanziamento del 30%, che sale al 35 fino al 50% se consideriamo i centri - come l’Irst - specificamente vocati alla ricerca tecnologica, e quindi in cui è più agevole il ritorno economico. “Il 35% è una quota di tutto rispetto, anche a livello internazionale. Oltre ci può essere il pericolo di snaturare l’istituto, facendolo diventare una sorta di azienda commerciale”.
Se noi guardiamo i dati in divenire, vediamo che dal passaggio dall’Itc alla Fondazione, si è avuto un incremento dei costi, anche conseguente alla stabilizzazione e all’incremento del personale, ma in parallelo un incremento molto più sensibile dell’autofinanziamento, “e questo era uno degli obiettivi principali” sostiene con orgoglio Andrea Zanotti, presidente dal 2004 all’ottobre 2010, e che quindi ha gestito il passaggio. Unico dato in controtendenza: nel bilancio 2010, a fronte di un ulteriore aumento dei costi, l’autofinanziamento è leggermente calato rispetto all’anno precedente. “Il fatto è che il 2009 era un anno particolare, in cui la manovra anticrisi della Provincia aveva erogato speciali finanziamenti per l’innovazione alle imprese, che poi si sono rivolte a noi”.
I progetti
Ma in concreto, in cosa consistono questi progetti? “Sono ovviamente legati alle nostre aree di ricerca - ci dice Giuliano Muzio - Così nell’area semantica e linguaggio abbiamo vinto sei progetti europei; siamo all’eccellenza nel costruire modelli attendibili, e abbiamo avuto commesse sia per testare nel macro - gli aerei, dalla Boeing - sia nel micro - i processori, la Intel; con la camera pulita fabbrichiamo dispositivi al silicio per il Cern e l’Agenzia Spaziale Europea; nel campo dei sensori intelligenti produciamo sensori ottici per apparecchiature mediche”.
Poi, oltre a partner come la Fiat o la Nasa, c’è il versante più trentino, la mission statutaria di promuovere l’innovazione coinvolgendo l’economia locale; “Trasferire le competenze della ricerca al territorio” e di converso “recepire dalle imprese gli stimoli per sviluppare certi ambiti di ricerca” afferma Egidi. “Prendiamo la cooperativa dei piccoli frutti di Sant’Orsola; - esemplifica Andrea Zanotti - ci ha chiesto dei particolari sensori di umidità per conservare al meglio, né secchi né marci, i suoi prodotti. È chiaro che non è una ricerca ai massimi livelli mondiali, ma è ciò che serve al territorio: e compito dell’istituto è capire che l’elaborazione tecnologica deve essere anche a supporto della realtà locale”.
Da questa impostazione nascono i 35 progetti con imprese locali, da queste finanziati (o co-finanziati, in genere c’è partner mamma Provincia o i fondi europei) con un milione e mezzo di euro.
Tutto bene? “Attenzione, a volte si rischia di esagerare, di andare troppo sul commerciale - ci dice Pietro Pilolli, ricercatore prima a Fbk, poi in uno spin-off, ora all’università - Ad esempio, quando si prende un programma già in commercio e si realizza un’interfaccia specifica per l’azienda. Questa non è ricerca”
“Il rischio di fare la software house c’è” conferma Muzio.
C’è poi il tema, vetusto, degli spin-off, delle aziende generate da Fbk, che funge da casa madre, da cui si staccano dei ricercatori che impiantano un’aziendina mettendo sul mercato la loro innovazione. Dalla nascita dell’Irst, sono state 11 in totale gli spin off, “mentre negli ultimi mesi sono state ben quattro” ci dicono i due presidenti, Zanotti e Egidi.
Non sappiamo valutare questo risultato. Però in tanti testimoniano di come a Povo, attorno alle facoltà scientifiche e a Fbk, ma anche ad altre realtà - Create Net, spin- off e altre piccole aziende (“non Microsoft che sembra vivere per conto suo”) - si sia creata una sorta di comunità di ricercatori e tecnici, che si frequentano e scambiano idee ed esperienze.
Una sorta di piccola Silicon Valley? Con un’applicazione sulla collina di Trento della teoria della macchina del caffè (le idee nascono dove si incontrano in maniera informale le persone che lavorano in ambiti contigui, e lì si scambiano idee ed esperienze)? Magari. Comunque forse questa può essere l’eredità più proficua seminata in questi anni.
Anche se le idee su come implementarla sono molto diverse: “Penso occorra andare oltre la teoria della macchina del caffè; per fare progetti in comune ci deve essere qualcuno che a questa variegata realtà dia un minimo di regia. E potrebbe essere Fbk” sostiene il presidente Zanotti. Di parere opposto il ricercatore Pilolli, che con il suo transitare da Fbk a spin-off a università impersona la flessibilità di queste appartenenze: “Le relazioni tra il personale delle varie realtà, ci sono, e a livello informale, al bar o presso la macchina del caffè, funzionano; sono però rese difficoltose dalle formalità sovrastanti: ogni idea, ogni progetto che non nasce nelle modalità prestabilite, deve passare attraverso una serie di vagli spesso asfissiante”.
Il pericolo del carrozzone
E qui veniamo al nodo fin dall’inizio più controverso: la gestione del personale. Stabilizzazione del precariato, modalità di assunzione più flessibili, rinnovamento generazionale, promozione del merito: questi gli obiettivi della Fondazione. Riassumibili in un concetto, forse brutale: un ente di ricerca non può essere un carrozzone. “La nuova forma istituzionale è un’operazione moderna: dà molte più possibilità - riassume Egidi - Certo, poi dipende da chi ci lavora”.
“Assieme a Tiziano Treu (già ministro del lavoro, n.d.r.) abbiamo realizzato un nuovo contratto di lavoro, che prima, per la ricerca privata, non esisteva; ad esempio i ricercatori della Fiat sono inquadrati come metalmeccanici. Il risultato è stato decisamente innovativo” sostiene Zanotti. Bene. Ma con quali esiti? “La stabilizzazione c’è stata, - conviene Claudia Loro, della segreteria della Cgil - C’è anche stato un cambio generazionale, difficile per le persone, ma positivo per la struttura, che si è svecchiata” ci dice Brian Martin, che allora era in Fbk (oggi a Manifattura Domani, il nuovo polo tecnologico a Rovereto).
I punti veri sono altri. Primo, la meritocrazia, cioè “promuovere la capacità, oltre l’anzianità”, come si proponeva Zanotti. “Da anni abbiamo chiesto un sistema di valutazione che premi la competenza invece della fedeltà. È stata istituita una commissione per valutare le carriere, con docenti anche esterni, ma non la riteniamo trasparente” afferma Loro. “Le progressioni in carriera sono dovute a rapporti informali, alla discrezionalità, al caso. Ci si aspetterebbe invece una valutazione del merito” concorda Pilolli.
C’è poi un secondo aspetto che viene contestato, e pesantemente. Lo squilibrio tra ricercatori e personale amministrativo: 310 i primi, 138 i secondi. Con il passaggio a Fondazione è stato assunto nuovo personale, “ma la grande maggioranza sono ricercatori, che sono aumentati del 28%, mentre gli amministrativi sono cresciuti solo del 4%” ci dicono sia Zanotti che Egidi.
Resta il fatto che anche con questi nuovi apporti, gli amministrativi sono il 30% della forza lavoro. Un rapporto corretto dovrebbe essere attorno al 10%, il 30% è una percentuale da carrozzone. “Tenuto presente anche che alcune posizioni sono presidiate da uomini di Dellai (vedi “Un portaborse a capo della ricerca trentina?” su QT del 1 ottobre 2005) sorge la domanda: Fbk deve creare innovazione sul territorio, o creare posti e voti?” ci dicono alcuni ricercatori.
La domanda è probabilmente un po’ esasperata. Ma il pericolo che può correre una realtà così importante come Fbk, ci sembra proprio quello.