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Lucida, razionale, magica amica...

Nives Ferigotti

Se bastasse una piccola raccolta di lettere e cartoline, moltissime le cartoline illustrate, dagli angoli più remoti d’Italia, e una cinquantina di poesie di autori diversi, oltre a un lungo racconto, bellissimo, sui due anni d’infanzia e di guerra passati ai Zaffoni, pubblicato nel 1996 con il titolo "Perchè vi amo"; se bastasse la scrittura per ricostruire una vita intensa, ma anche stranamente appartata, come fu quella di Serena Tiella, potremmo illuderci di riaverla qui fra noi, come se questa crudele primavera non ce l’avesse rapita.

Ma ciò che resta non è che una minima parte dei suoi molti scritti pubblicati qua e là, mandati in fotocopia agli amici, spesso senza data e senza indicazione della testata. Resta il rimpianto di non averla aiutata a collezionare il tutto, quando lei non era più in grado di farlo: gli articoli sindacali, le riflessioni politiche, i suoi preziosi commenti alle poesie che andava raccogliendo e diffondendo, le sue lucide osservazioni scientifiche, etnografiche, filosofiche. Ma anche le sue sciarade, le sue "carte" astrologiche, l’enigma dei suoi percorsi immaginativi con i quali Serena tentava di affacciarsi sul mistero dell’universo.

Serena Tiella era una geografa totale, nel senso più letterale e insieme più lato del termine: esplorava, scriveva e insegnava (per anni in un istituto tecnico superiore di Rovereto), con scienza e coscienza. Scriveva di terra e di gente, di agricoltura e di etnie, di radici culturali e di comunicazione, argomentando con grande certezza e passione le sue ricerche sulle minoranze etniche compresse dalle culture egemoni statuali. Non solo italiane. Particolarmente di questo si era occupata a Roma, per una decina d’anni, incaricata dal Sindacato Nazionale Scuola.

Trovo appunto fra le mie carte un suo corposo saggio degli anni ’90, forse mai pubblicato, ma che pare scritto oggi: "Identità etnica e difesa dei particolarismi". Incomincia così: "Un fantasma si aggira sull’Europa Etnica, come su ogni area popolata da cosidetti gruppi minoritari: quello dell’omologazione. Un processo che sembra universale e inesorabile e che annulla, assorbe, fagocita ogni diversità. Come accade in campo agricolo, e contrariamente a quanto natura detterebbe, oggi pochi ‘semi’ hanno enorme successo... La diversità - colturale e culturale - è invece garanzia, investimento, inestimabile ricchezza. Più sono i ‘semi’, più forti e diversificati saranno i legami dell’uomo al proprio territorio; più motivata, in fondo, la nostra presenza sul pianeta Terra".

E ancora, con la sua grande concretezza: "Connotativi, per fare qualche esempio, sono la lingua dei fiamminghi, le danze marchigiane, il kilt scozzese, alcune leggende bulgare, la ritualità funebre sarda, le vicende storiche occitane, il cattolicesimo irlandese, l’artigianato lappone."

Per la resistente cultura occitana Serena aveva una sorta di passione, tanto che ha voluto che alcune musiche occitane accompagnassero il suo mesto, ma libero e laico, rito d’addio al mondo. Canti occitani, e poi la "Marsigliese", la Ninna Nanna di Brahms, la canzone "Arcobaleno" e altre musiche che le piacevano, certamente insolite in un cimitero...

Questa libertà e varietà di pensiero e di gusto connotavano fortemente la sua personalità, così unica ed originale.

In un’altra paginetta fotocopiata da lei inviatami, senza altra indicazione se non "scheda 12", trovo una nota che le dedica Vincenzo Passerini (da lei definito scherzosamente, per l’occasione, "un mio inaspettato ammiratore"): "Serena Tiella, esperta di minoranze, roveretana verace, progressista e un po’ asburgica (razza strana questa, e rara, ma formidabile: cosa non si è perso, ignorandola, certo autonomismo casereccio e certo sinistrismo senza radici e memoria!) ma col respiro ideale e intellettuale universale, ha pubblicato il saggio, semplice ma informato, ad uso dei transalpini ‘Quelques remarches concernant la proposition d’une eurorégion alpine italo-autrichienne’, nel volume ‘Langues régionales et rélations transfrontalières en Europe’, édition L’Harmattan, 1995, che riprende in gran parte le relazioni tenute all’omonimo convegno svoltosi in Alsazia nel giugno ‘94."

Un po’ asburgica, è vero: con quel tanto di persistente rispetto per le radici storiche della nostra terra. Con quel tanto di rimpianto che le fa dire in una pagina del suo lungo racconto "Perchè vi amo": "...sotto l’Austria, quando i trentini erano una minoranza linguistica e non sapevano quanto fosse vantaggioso. Non parlo della miseria, che non badava troppo alle lingue, parlo degli stimoli che derivavano dal doversi affermare, l’esigenza d’essere migliori perché solo così si è credibili, il vantaggio dell’essere ‘contro’, di far persino un po’ di paura, di tirar fuori tutto il meglio di sé senza rifiutare la cultura della maggioranza, anzi, appropriandosene. La stangata che ha preso il Trentino è anche questa: una minoranza che diventa maggioranza solo linguistica, perché per altri versi rimane diversa e distante: ma ormai è dentro in mezzo agli altri, simile o assimilata, fin troppo assorbita, al punto che, passata una generazione, non è stata nemmeno capace di gestirsi l’autonomia." Forse per addolcire l’amaro di queste sue riflessioni Serena usava stappare ogni anno per il compleanno di Cecco Beppe, mi pare il 16 agosto, una bottiglia di spumante in compagnia di pochi intimi.

E poi la poesia. La poesia l’ha accompagnata come un contrappunto di tutta la vita. Lei non scriveva poesie, ma ne leggeva moltissime e diffondeva tra amici quelle che più le piacevano. Anche pochi versi, in chiusura di una lettera, o a commento di un fatto, di un pensiero. Per il laborioso collocamento di una lapide-ricordo dedicata a suo padre, il valente architetto e raffinato pittore Giovanni Tiella, mi scrisse una volta: "Io se avessi fatto la cosa per conto mio, avrei messo i versi del Pascoli ‘ O padre... gli astri, Vega, Aquila, Arturo,/ splendano sopra il camposanto oscuro". Ma di poesia dolente o gioiosa è intriso il suo volumetto autobiografico "Perché vi amo", che è un viaggio della memoria attraverso la civiltà contadina, "verso un’età adulta anticipata dalla guerra e segnata per sempre da un senso agreste, terragno, della vita". Sono parole scritte dall’amico Diego Leoni.

Alla fine del suo viaggio terreno Serena Tiella ha inviato a tutti i suoi moltissimi amici un libriccino di poesie scritte dal suo amico prete, Sandro Lagomarsini, "anima di molte battaglie, tutte regolarmente perdute, in difesa della comunità montana" In copertina un tenero acquerello di Giovanni Tiella. In chiusura una pagina struggente tratta da "Perché vi amo", in ricordo di un altro orto, ai Zaffoni, che ebbe breve vita per siccità: "Nell’orticello vidi morire le mie speranze e le mie fatiche. Fui anch’io parte dell’umanità dolente e sconfitta, ero un piccolo pezzo di una tragedia universale. Ancora oggi una fontana asciutta mi getta l’angoscia nel cuore".

E con questo pensiero d’acqua, che finalmente pervade anche la alta sfera della politica mondiale, ci congediamo da Serena, rassicurandola, come sembra chiedere l’ultima sua frase scritta con mano incerta: "Se ho lasciato qualcosa spero sia un ricordo buono."

Sì, splendido e irripetibile, come quello lasciato dal nostro compagno di strada e di idee Alex Langer: anche tu lucida, razionale, eppur presaga e magica, amica.