Un ricordo buono e forte
Ricordare Serena è facile e difficile insieme. Quale Serena ricordare? Dovrei forse soffermarmi sul ruolo fondamentale che lei ha rivestito nella fondazione della CGIL Scuola nel Trentino, quando l’idea che gli insegnanti rivendicassero un proprio posto all’interno del movimento dei lavoratori incontrava scetticismo, se non aperta diffidenza, anche all’interno della stessa CGIL.
Potrei parlare dell’intensa stagione dei corsi abilitanti, con la loro straordinaria capacità di mobilitare gli insegnanti verso un obiettivo comune, oppure ancora del suo particolare interesse e competenza sulle tematiche legate alle minoranze.
In questo momento, a pochi giorni dalla sua scomparsa, desidero invece ricordare Serena per come l’ho conosciuta negli ultimi mesi della sua vita. La malattia, infatti, l’ha portata a trascorrere i lunghi mesi invernali ad Arco, dove io vivo, e questa circostanza mi ha permesso di esserle vicina in modo diverso da quello consueto e di scoprire aspetti, fino ad allora a me sconosciuti, della sua personalità. Di questo le sono molto riconoscente.
Ricordo il suo: "Oh, carissima …" che sempre mi accoglieva entrando nella sua stanza, all’ospedale. Se non c’erano altri amici e si sentiva abbastanza bene per parlare senza troppo sforzo, mi intrattenevo con lei per una visita più lunga. Allora Serena mi chiedeva del sindacato - sempre presente nei suoi pensieri -, della scuola, del ministro, del contratto, degli insegnanti. Poi, talvolta, raccontava: le storie e le persone di Rovereto, la sua città così amata, i suoi ricordi, la sua infanzia, la sua giovinezza.
Le sue erano storie appassionanti, le persone vive e presenti, tratteggiate con acuta attenzione e senso dell’umorismo, ma sempre con affetto e partecipazione. Nei suoi racconti non compariva voglia di giudicare ma desiderio di capire e far capire più a fondo le persone. Amava che le si raccontassero storie di altre vite, di altre famiglie. Sono stati momenti piacevoli, nei quali Serena si mostrava lontana dalle preoccupazioni per la sua salute, delle cui condizioni era invece ben consapevole.
Quel suo letto, il comodino, il tavolino le stavano stretti: non c’era abbastanza spazio per i molti giornali che leggeva ogni giorno, per le forbici, la colla, le cartoline, le lettere. Serena, infatti, pur dall’ospedale, si impegnava a mantenere vivo il colloquio con i suoi tantissimi amici, ai quali inviava collage, articoli ritagliati dai giornali, cartoline illustrate da lei stessa, e tante, tante lettere. Anche a me, che pure vedeva quasi tutti i giorni, non mancava di mandare, di tanto in tanto, qualche cartolina, per ringraziare di un mazzolino di fiori bianchi - i suoi preferiti - per augurare buon compleanno a mio figlio o per ricordare a mio marito che l’inno di Mameli fa cenno al sangue polacco, come quello polacco fa cenno a quello italiano…
Eppure, anche in questa situazione, lontana dalla sua casa, accanto ad altre persone che stavano male, a personale talvolta brusco, Serena sapeva cogliere e comunicare sprazzi di gioia che riuscivano ad allontanare l’angoscia.
Ho qui sulla mia scrivania le sue ultime cartoline, sorprendenti per l’ironia e l’autoironia, cartoline che sono collage realizzati da lei stessa, ritagliando dai giornali fette d’arancia solari, titoli che annunciano "Greggio alle stelle" (nel senso del petrolio) e, un po’ discosto, il biglietto inviatomi subito dopo il funerale da sua nipote Giovanna, che sul retro porta questo suo ultimo messaggio: "Se ho lasciato qualcosa spero sia un ricordo buono".
Addio, Serena. Il ricordo di te è davvero buono e forte.