Cattolici a disagio? Serrare i ranghi!
Disattenzione e chiusura: come la Chiesa trentina affronta le sfide di oggi
La molla per venire allo scoperto è stata sicuramente l’indignazione rispetto al comportamento che la Chiesa gerarchica (Vaticano e Conferenza Episcopale Italiana) hanno tenuto nei mesi scorsi con il governo Berlusconi, tollerato se non appoggiato come presunto difensore dei cosiddetti “valori non negoziabili”. Così a fine dicembre, in anticipo su altre analoghe iniziative e prima dello scoppio dello scandalo Ruby, sulla rivista Il Margine usciva un articolo di Piergiorgio Cattani, nostro redattore, sotto forma di lettera aperta ai vescovi italiani.
Una denuncia vibrante in cui tra l’altro si legge: “In questi anni ci siamo abituati a tutto. O meglio: i vertici della Chiesa italiana ci hanno abituato a tutto. Quasi come se la morale cattolica si applicasse per i nemici e si interpretasse per gli amici...” In gennaio sul settimanale diocesano Vita trentina appariva un durissimo editoriale del direttore Marco Zeni dall’eloquente titolo “Papi si scusi, papi si dimetta”. Ma i vescovi, compreso Bressan, nicchiano, abbozzano, aspettano. E alla fine dimenticano.
Così è avvenuto a livello italiano: velate critiche a Berlusconi poi, passata la buriana, tutto ritorna come prima. Si elaborano documenti pieni di aperture e buone intenzioni poi, al momento dei fatti, si agisce secondo abitudini molto tradizionali, secondo la logica concordataria del do ut des, che oggi significa appoggio politico del governo in carica in cambio del varo di leggi secondo la morale vaticana (e magari utili anche per le casse pontificie).
Così accade per vicende più locali e circoscritte, ma ugualmente significative. Dal rapporto con le altre religioni alle dinamiche interne alle parrocchie, negli ultimi mesi nella Diocesi di Trento si è registrato il ripetersi dello stesso schema: analisi coraggiose e proposte di dialogo da parte dei parroci ben presto finite nel dimenticatoio; gesti innovativi di singoli, “troncati e sopiti” dai livelli superiori. Queste vicende segnalano un clima di disagio, ma anche la ricerca di vie nuove, spesso ostacolate dallo stesso clero da cui erano state promosse.
Ma il disagio dei cattolici ha radici più profonde: al di là di quanto si possa pensare, la Chiesa è dominata dalla confusione e dal tentativo di fare i conti con i tempi cambiati, cercando di mantenere quella posizione egemone in realtà perduta da anni.
Che fare? O si cambia o si muore. Queste frasi, tipiche di un partito di sinistra in crisi, valgono oggi per la Chiesa, soprattutto italiana. Difficile capire in quale direzione andare. Tornare indietro, ripetere schemi da anni settanta oppure affrontare il futuro con franchezza e fantasia? Vediamo di capire meglio ciò che si muove qui in Trentino attraverso alcuni esempi concreti.
I cristiani e la città
All’inizio di ottobre 2010 il decanato di Trento aveva pubblicato un documento (materialmente scritto da Don Rattin e da alcuni fedeli laici) indirizzato alla città con lo scopo di “ricerca di confronto e dialogo per condividere insieme un percorso comune”. Il testo, anche se in certi tratti troppo sociologico, conteneva passaggi coraggiosi e una disamina sincera della situazione presente: “La vita di Chiesa in città in questi anni non è più un elemento caratterizzante della vita di molte famiglie. Le proposte religiose sono sempre più appannaggio di fedeli adulti e anziani... I preti sono sempre più in difficoltà... I laici impegnati sono sempre più in affanno”. Il documento terminava auspicando la necessità “di confronto, di critica costruttiva, di stimoli per rinnovare con coscienza i nostri modelli di azione che, come Chiesa nella città, sentiamo di dover ripensare”.
Insomma occorre inventarsi qualcosa prima che sia troppo tardi. Iniziative dettate dalle migliori intenzioni ma stantie e superate. Per questo senza conseguenze concrete.
Si sono invece indette assemblee parrocchiali. Occorre sottolineare come le occasioni in cui i fedeli possano dire la loro apertamente sono molto ridotte, e quando questo accade è sempre un evento. Così è avvenuto nella parrocchia di Sant’Antonio di Trento, una realtà molto viva con la presenza di un giovane prete a supporto del parroco, dove pullulano iniziative anche controcorrente. Nel corso dell’assemblea parrocchiale il professor Silvano Bert, altro nostro collaboratore, aveva coordinato un gruppo che proponeva alcune piccole innovazioni liturgiche che lo stesso Bert aveva sintetizzato, in un articolo uscito sul Trentino il 26 ottobre, in questo modo: “Che a messa possano parlare anche i laici. Che ognuno possa dire (e ascoltare) una preghiera spontanea, dare un avviso, raccontare un’esperienza, esprimere anche una critica all’omelia del sacerdote”. Proposta giudicata eversiva, rivoluzionaria. E per questo cassata.
Ma Bert compie ugualmente due blitz, salendo all’ambone e recitando due intenzioni di preghiera né politically né tanto meno clerically correct: una per i Sinti che chiedono al Comune di Trento energia e acqua, e in un’altra occasione (a celebrare era il giovane cappellano) addirittura per la moschea. Bert aveva anche detto: “Noi che siamo qui, in chiesa, perché abbiamo cara la nostra fede cristiana, dovremmo capire meglio di tutti che ad altri è cara la loro fede. La Chiesa cattolica ha fatto fatica a riconoscere il valore della libertà religiosa. La Costituzione italiana ci è arrivata prima”. Gelo in chiesa: i fedeli confusi, il parroco infuriato. E Bert torna in quella situazione di “sorvegliato speciale” che da sempre ha caratterizzato la sua appartenenza critica al mondo cattolico: successivamente, infatti, sempre il parroco di Sant’Antonio gli vieta di leggere in chiesa la risposta dell’imam Breigheche alla sua iniziativa e persino il vescovo, nel corso di un incontro sulle persecuzioni religiose contro i cristiani, gli impedisce di porre il problema del luogo di culto per gli islamici in città.
Arrivano gli islamici
Per capire quanto sia un nervo scoperto il rapporto con i musulmani occorre citare un altro episodio. Il 23 gennaio scorso nella basilica dei Santi Martiri a Sanzeno, si era tenuto un incontro interreligioso di preghiera organizzato da padre Fabio Scarsato, innovativo e colto frate francescano che guida la parrocchia e anche il santuario di San Romedio. Scarsato ha avuto l’idea di far pregare in chiesa un rappresentante della comunità evangelica, un buddhista e un musulmano, a cui addirittura è stato permesso di inginocchiarsi in direzione della Mecca.
Immediato scandalo. Il vescovo interveniva in punta di diritto canonico: “Le chiese consacrate sono riservate esclusivamente al culto cristiano”. Secca la replica di padre Scarsato: “Il rappresentante buddhista e quello islamico non hanno pregato sull’altare...nulla è stato toccato nella basilica. Inoltre questa iniziativa, che si è richiamata all’incontro interreligioso di Assisi voluto da Giovanni Paolo II, era stata segnalata al decano e al vicario. Comunque non c’è stata alcuna confusione, nessun sincretismo religioso”. Inevitabile la coda di polemiche all’insegna dello slogan “nei paesi mussulmani non si possono costruire chiese, serve reciprocità!” Tuonava la Lega: “Un cristiano non può entrare in moschea a pregare secondo la propria religione”.
Ci si dimentica della preghiera che Benedetto XVI aveva recitato nella moschea Blu di Istanbul nel novembre 2006, ci si dimentica che proprio a Cles ogni anno alla fine del Ramadan i musulmani invitano in moschea i cristiani. Così è avvenuto dopo l’episodio di Sanzeno. Zakaria El Koura, giovane presidente della comunità islamica delle valli del Noce, ha organizzato un incontro di preghiere in moschea con padre Scarsato. Il quale ricorda con una certa dose di ironia l’intervento del vescovo: “Mi ero preoccupato più di organizzare l’incontro che di consultare il diritto canonico”.
Certamente la “questione islamica” resta una patata bollente per la Chiesa cattolica, che ufficialmente segue la linea del dialogo, ma che in realtà vive un misto di sentimenti di competizione, di invidia e di diffidenza verso i musulmani. Spesso si esalta il presunto fervore religioso dei fedeli di Allah (visione contraddetta dalle statistiche e comunque dovuta a un senso di identità tradizionale piuttosto che di una convinta adesione di fede). A volte si ha paura delle conversioni all’islam di molti italiani anche se, in misura minore, questo fenomeno avviene al contrario. Ma forse ciò che la Chiesa teme di più è di perdere la completa egemonia almeno nello spazio religioso italiano: nel momento in cui si presentasse un altro attore in gioco, questa posizione monopolista verrebbe meno.
Tuttavia non si può pensare che la Chiesa debba “prestare” i suoi edifici sacri per i fedeli di un’altra religione. Il problema è che non vengono prestati neanche ai cristiani stessi. E così ritorniamo nella parrocchia di Sant’Antonio. Nelle ultime settimane l’attivissimo (e poco ortodosso) gruppo che anima da trent’anni il bollettino parrocchiale aveva organizzato alcune serate di approfondimento sulla figura di Gesù. La ventilata ipotesi, poi non concretizzata, della partecipazione di Vito Mancuso, noto professore di teologia e commentatore per Repubblica, aveva fatto gridare allo scandalo, perché si invitava nelle sale dell’oratorio un “teologo eretico”. Questa volta il parroco, abbastanza disinteressato a questo tipo di iniziative, aveva lasciato fare. Il successo di pubblico di questi incontri (più di 200 persone a serata) aveva spinto gli organizzatori a chiedere al parroco il permesso di utilizzare la chiesa, molto più capiente delle sale dell’oratorio, per la serata con padre Butterini, frate cappuccino “borderline” rispetto all’ufficialità ecclesiale. Il diniego è stato senza appello. Probabilmente dettato anch’esso dal diritto canonico, che ammette l’utilizzo dell’edificio consacrato solo per liturgie e musica sacra. La fama di Butterini forse era un motivo in più per questa scelta.
Serrare i ranghi?
Come testimoniano le statistiche pubblicate nella tabella, mentre un generico sentimento religioso permane e in certi casi aumenta, il numero dei fedeli cattolici praticanti (come quello delle vocazioni religiose) diminuisce costantemente. Soprattutto nelle giovani generazioni cresce la sfiducia, l’indifferenza se non l’aperto fastidio verso la Chiesa, intesa nella sua accezione istituzionale. Di qui nasce la crisi odierna. Che, come ricaduta esterna, si ritrova in due principali ambiti: il rapporto con una società dove prevale il pluralismo etico e la questione del dialogo interreligioso. Abbiamo visto come su ambedue i versanti la Chiesa fatichi a trovare una posizione adeguata ai tempi: alla fine dominano atteggiamenti di chiusura e tentativi di ritorno alla tradizione. Se lo scopo è rinserrare i ranghi, rimpinguare i seminari, riempire le chiese, a volte la via fondamentalista (quella del rigore interno e del nemico esterno) produce maggiori risultati. Ma se l’obiettivo è una più profonda adesione al messaggio evangelico occorre invece scommettere sulla libertà dell’uomo anche a costo di perdere privilegi. La via mediana, fatta di buone intenzioni e compromessi con il potere, non conduce invece a nulla.
Religione e numeri
Come sottolinea l’indagine svolta dall’istituto IARD, il mutamento del rapporto dei giovani con la religione tende ad essere influenzato in maniera significativa dal contesto familiare, secondo un processo di trasmissione della fede che vede le strutture religiose tradizionali giocare un ruolo secondario, capace solo di governare un orientamento già radicato. Le difficoltà maggiori si riscontrano nella crescente incapacità dei giovani a riconoscersi parte di una specifica Chiesa.
Come mostra la figura sottostante, confrontando i dati del 2004 con quelli del 2010, è possibile osservare una netta contrazione del numero di giovani d’età compresa tra i 18 e i 29 anni che professano un’appartenenza alla religione cristiano cattolica (i quali passano dal rappresentare il 66,9% degli intervistati all’essere di poco superiori al 50%) e un parallelo aumento di soggetti che si dichiarano credenti senza alcuna appartenenza (sommando il dato di coloro che affermano di credere ad entità superiori a quello dei cristiani che non appartengono ad alcuna chiesa, il valore passa dal 12,2% al 24,9% del campione). Stabile invece la quota che comprende agnostici e non credenti (dal 18,5% al 20,5%).
Fede professata al momento dell’intervista.
Entrando più in profondità, si scopre come in molti casi il definirsi “cattolico” non si relazioni tanto al fatto di seguire i precetti della Chiesa, ma piuttosto si dimostri un mezzo per assicurarsi un’identità riconoscibile da opporre a chi è “altro”. Dai dati pubblicati dallo IARD, si vede come la coerenza di questi cristiano-cattolici estranei ad una effettiva partecipazione alla religione lasci alquanto a desiderare: intransigenti più dei praticanti verso le relazioni omosessuali, lascivi quasi quanto i non credenti per quanto riguarda la visione di materiale pornografico, le relazioni con persone coniugate o extra-matrimoniali, l’eutanasia (ma solo se di un parente) e la convivenza.
Cristiano Buizza