La crisi della Chiesa trentina
Preti ormai over 70 e over 80; fedeli formalmente ossequienti ma che improntano la vita secondo proprie scelte; uno strisciante allontanamento dalla Chiesa. Che invece sembra in tutt’altre cose occupata. Alcune comunità ecclesiali trentine si interrogano; altre aspettano la crociata; altre si rassegnano...
Il mondo cattolico trentino sta vivendo, ormai da alcuni anni, una fase di attesa, di sospensione, di incertezza. Da tempo si aspetta, come nel “Deserto dei Tartari”, la battaglia decisiva che non arriva mai. Intorno alla fortezza Bastiani c’è il deserto, con i Tartari solo sempre all’orizzonte. La Chiesa trentina attende il momento in cui la generazione di sacerdoti che oggi reggono le sorti della diocesi sarà scomparsa per raggiunti limiti d’età: i preti caleranno drasticamente, interi paesi si troveranno senza parroco, un intero modo di fare pastorale svanirà e i fedeli laici si troveranno soli e responsabilizzati. Una novità per certi versi imprevedibile.
Già oggi la situazione della periferia è drammatica: solo la dedizione e la fede spingono preti ultrasettantenni (alcuni over ottanta) a reggere il peso di più parrocchie. Alcuni non ce la fanno più, si sentono letteralmente abbandonati. La curia è lontana e sembra avere altri interessi, sembra essere troppo impegnata, non comprendere appieno la gravità del momento.
Nel Vangelo di Matteo si narra l’episodio in cui Gesù “vedendo le folle ne sentì compassione perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” (Mt 9,36). Il vescovo Bressan, tra un viaggio in Sri Lanka e una trasferta a Roma, tra una visita pastorale programmata al minuto come un palinsesto televisivo e l’inaugurazione di qualche nuova opera di interesse sociale, è preciso nell’elaborazione di documenti, lettere, omelie, è affabile e capace di stare con la gente in numerosi quanto fuggevoli incontri, ma resta sempre e comunque un elemento estraneo alla diocesi di Trento, vissuta quasi come una tappa provvisoria per ulteriori incarichi. In questi anni ha inciso scarsamente sul variegato e per certi versi ancora vivo tessuto ecclesiale trentino, nel frattempo andato avanti per inerzia.
L’impegno dei laici continua, alcune parrocchie sono in fervente attività, sono vive alcune associazioni culturali, l’impegno e la solidarietà verso gli immigrati e le nuove povertà restano punti fondamentali, lo scambio con i missionari trentini è fecondo, la realtà dei movimenti ecclesiali non è di certo marginale.
Se i fedeli più impegnati continuano nonostante tutto nella loro attiva partecipazione alla vita della Chiesa, la massa dei semplici cristiani, che frequentano le funzioni religiose o che professano una vaga appartenenza al cattolicesimo, vive nella confusione, nell’apatia o nel desiderio di mantenere lo status quo, a fronte di cambiamenti culturali (nel campo familiare, sociale, scientifico, politico) di cui non si è ancora elaborata una griglia interpretativa. Formalmente sono ossequienti alle gerarchie, ma nella vita privata ciascuno si sente libero di compiere le proprie scelte: in verità l’incidenza della Chiesa, molto visibile sui mezzi di informazione e presente nella sfera politica, è molto bassa, se non nulla nei comportamenti, nei concreti interessi, nel cuore dell’esistenza di ciascuno.
Questa realtà è dimostrata non solo da alcuni fatti evidenti come il numero degli aborti praticati, l’aumento dei matrimoni civili o la scarsità di vocazioni sacerdotali, ma anche da segnali più limitati ma significativi. Alcuni mesi fa sorse la polemica sull’apertura domenicale dei negozi: al di là di appelli generici il vescovo non si sognò neppure di suggerire ai commercianti cattolici di chiudere la domenica, perché nessuno lo avrebbe ascoltato, ma invitò politici e sindacalisti a limitare la liberalizzazione degli orari. Recentemente la commissione diocesana “Giustizia e pace” ha proposto per i mercoledì di Quaresima un digiuno dell’automobile per aumentare la coscienza ecologica dei cittadini: l’iniziativa ha ottenuto qualche titolo di giornale, ma scarsissimi esiti concreti. Un ulteriore segno della crisi? L’allarme per il calo delle offerte destinate ai missionari trentini.
Ci troviamo di fronte all’adempimento di una previsione che alla fine degli anni cinquanta fece don Lorenzo Milani: “Per un prete, quale tragedia più grossa di questa potrà mai venire? Essere liberi, avere in mano sacramenti, Camera, Senato, stampa, radio, campanili, pulpiti, scuola, e con tutta questa dovizia di mezzi divini e umani raccogliere il bel frutto di …aver la chiesa vuota. Vedersela vuotare ogni giorno di più”.
Ancora non siamo arrivati a questo, ma esiste uno strisciante allontanamento sostanziale, anche se non formale dalla Chiesa, che spesso sembra preoccupata per altre faccende.
A fronte di questa situazione nelle ultime settimane si è registrato un movimento tellurico intorno a due casi nazionali: il mancato funerale a Piergiorgio Welby e soprattutto la polemica sui “Dico”. Ma forse l’acceso dibattito sui diritti alle coppie di fatto non fa altro che sviare sui veri problemi. Un amico di una valle trentina mi scriveva: “La struttura pastorale è sull’orlo del collasso. Potremmo trascinarci ancora per qualche anno, ma visti dalla periferia i segnali del crollo sono assolutamente evidenti. I ‘Dico’ sono visti come minaccia solo da chi non ha nessuna idea della Chiesa reale”.
Eppure sono questi i temi che scaldano i cuori dei cattolici trentini rivelando differenze crescenti che non riguardano solamente la concreta questione dei “Dico”, ma segnalano una diversa impostazione sul ruolo e sulla natura della Chiesa.
Il primo ad uscire allo scoperto è stato il cappuccino padre Giorgio Butterini, ormai capofila storico dei dissidenti alla linea ufficiale (è stato bacchettato più volte dal vescovo per certe libertà liturgiche) che con la sua comunità cristiana “di base” di San Francesco Saverio ha elaborato un documento pro “Dico” che riportiamo (La fede attraverso l’amore (e la laicità).
Da noi intervistato, padre Butterini ci ha detto: “È’ difficile negare che la Chiesa trentina sia in crisi, ma mi pare di doverne ascrivere la colpa un po’ a tutti, e non solo al vescovo. Tutti abbiamo le nostre colpe. Ed è una colpa di responsabilità e di maturità. Anzitutto non affrontiamo i problemi veri. Ci conviene non vederli e non affrontarli per quello che sono. E mi pare di poter dire che è un problema di ’confronto’ con la Parola. Non la possiamo lasciare a pochi specialisti, dobbiamo assumercela, ascoltarla”.
Entrando nello specifico del documento, Butterini riprende le parole da lui inviate al settimanale diocesano Vita trentina. La sua iniziativa “non è un atto di disubbidienza, ma vuol essere un segno di responsabilità ecclesiale. Oggi troppi si allontanano dalla Chiesa perché non sono d’accordo e dissentono. Noi riteniamo invece sia doveroso far sentire il nostro dissentire, ma poi dobbiamo ubbidire, sentirci un’unica Chiesa. Per questo il documento nasce dalla lettura del vangelo della domenica e dalla nostra fede per quando debole essa sia. E per questo chiediamo di rendere pubblico nella comunità cristiana questo nostro modo di credere e di sentire”.
Ma la comunità cristiana è divisa: se un sacerdote molto seguito dalla gente come don Marcello Farina vede positivamente l’iniziativa e se molti privatamente la sostengono, settori più conservatori con crescente influenza nel mondo cattolico trentino attaccano i cosiddetti “cattolici adulti” ridefiniti da loro “protestanti repressi”. Marco Luscia è uno degli fondatori dell’associazione “Libertà e persona” (tra i partecipanti Francesco Agnoli, Mario Malossini, Pino Morandini, Walter Viola, Rodolfo Borga, Carlo Andreotti: insomma mezzo establishment del centrodestra trentino) che ha portato a Trento Giuliano Ferrara, Vittorio Messori, Claudio Risé.
Da noi intervistato, Luscia dice: “Purtroppo esistono sacerdoti che si ergono a paladini della laicità e non perdono occasione per irridere l’autorità ecclesiastica. Essi paiono più preoccupati di raccogliere il consenso che non di unire e spiegare le ragioni della Chiesa. Molti di loro probabilmente hanno un’idea di Chiesa intesa come una realtà di popolo animata dallo spirito che prescinde dalla dimensione istituzionale, con ciò rivelando una pericolosa deriva protestante… Durante le mie conferenze ho incontrato sacerdoti e suore, nonché fedeli che mi ringraziavano per aver semplicemente riproposto la più tradizionale delle dottrine cattoliche”.
Se per padre Butterini la Chiesa “più che una democrazia, è una comunità” nella quale i fedeli sono chiamati ad esprimere autonomamente le proprie posizioni anche in contrasto con la gerarchia, per Luscia “le opinioni difformi dovrebbero esprimersi nel momento della elaborazione delle decisioni poi però dovrebbero rientrare per il rispetto che è dovuto all’autorità”.
Questa l’argomentata e moderata risposta di Luscia, che però, sul sito dell’associazione, utilizza parole di fuoco: “La posizione assunta rispetto alla vicenda dei ‘Dico’ da alcuni sacerdoti trentini rivela una volta di più l’anomalia della nostra regione per quanto riguarda i pronunciamenti della Chiesa italiana… E’ triste constatare come alcuni preti, animati dalla presunzione di essere dei profeti, in realtà finiscano con l’avvallare una concezione della vita e dei rapporti fortemente individualistica, tutto fuorché solidale. In essi non vedo la forza della profezia; il profeta infatti non cavalca mai l’opinione dominante. Sparare sulla Chiesa e il suo magistero non esprime alcun coraggio, piuttosto rivela un conformismo nostalgico di un presunto ‘spirito conciliare’, che esiste soltanto nella testa di questi ‘pseudo profeti’. Forse, in questo momento di confusione, la Chiesa trentina avrebbe bisogno di un chiaro pronunciamento del suo Vescovo”.
Dunque monsignor Bressan appare silente anche a destra. Per questo “Libertà e persona” ha redatto un contro-appello tutto incentrato sulla famiglia e sul rispetto del diritto naturale. Ecco alcune adesioni con relativi pensieri di accompagnamento. Reny scrive : “Aderisco alla raccolta di firme per contrastare la presa di posizione dei sacerdoti trentini sui Dico, posizione molto sconcertante e a dir poco incredibile”. Lugort si lamenta “perché il vescovo Bressan non dice niente sulle esternazioni politiche dei sacerdoti della sua diocesi”, non essendoci solo Don Farina ma “un’altra decina minimo con le stesse idee”. Un inquietante sconosciuto che si firma Leggenda Nera commenta: “Il problema è quello che hai indicato tu: ‘pastori’ di questa fatta sono molti in diocesi, per motivi che sarebbe lungo, ma non inutile approfondire. E sono pure in posti che contano. Magari potrebbero contare un po’ meno, sarebbe già qualcosa. Sperem...”.
Queste probabilmente sono posizioni estremiste e ancora isolate nel mondo cattolico trentino. Ma un dato è certo: la Chiesa, i giovani praticanti, i nuovi sacerdoti e le persone più impegnate anche qui in Trentino vanno a destra. Nella Facoltà di Lettere e filosofia, nelle elezioni studentesche del novembre scorso, la lista di sinistra è stata per la prima volta battuta dalla “List one” a forte presenza ciellina. E si potrebbero fare altri esempi, come la mancata ordinazione sacerdotale di Cristian Leonardelli, che nella parrocchia di Gardolo si occupava anche di prostitute e di gay, bloccato nel maggio 2005 nel suo percorso verso l’altare per non chiariti dissidi. Su L’Adige dell’8 maggio 2006 Leonardelli, trasferitosi nella diocesi di Livorno, dichiarava: “Nessuno mi ha detto: non siamo contenti di te. Monsignor Bressan mi ha solo parlato di una diocesi divisa, di un clero diviso”. Una diagnosi del presente.
E infatti un abisso divide la chiesa del Suffragio, dove si incontra Comunione e Liberazione, e la vicina chiesa di S. Trinità dove invece si riunisce la comunità di padre Butterini.
La linea ufficiale resta a metà, come testimonia un editoriale che il direttore di Vita Trentina don Ivan Maffeis aveva pubblicato nei giorni più caldi della polemica sui “Dico”: in esso pur mantenendo una posizione critica rispetto al provvedimento, i toni da crociata erano accuratamente evitati, concentrandosi anche sui problemi sociali ed economici che minano seriamente l’istituzione familiare. Ma i moderati sono schiacciati dai diversi estremismi che in questa fase sembrano prevalere inesorabilmente.
Per questo molti optano per un maggior impegno nella cultura aspettando tempi migliori per una militanza più attiva. E’ il caso dell’Associazione Oscar Romero che anima la rivista Il Margine: da sempre su posizioni cattolico democratiche, comunque moderate, in questi ultimi tempi ha preferito concentrarsi su grandi figure di teologi e pensatori quali Dietrich Bonhoeffer o Sergio Quinzio (cristiani comunque “marginali” nel senso della loro inattualità rispetto all’odierna impostazione ecclesiastica concentrata nel combattere lo spettro del relativismo).
E’ chiaro che il volto intransigente e identitario della Chiesa in ambito morale, fa a pugni con una tendenza al compromesso con il potere economico e politico, come purtroppo è avvenuto qui da noi con l’affare Tarolli (i milioni di euro promessi dal deputato alla diocesi per un progetto fumoso, poi stoppati dall’indignazione generale, vedi Chi dice le bugie?): questo atteggiamento risulta poco comprensibile ai fedeli e finisce per danneggiare la stessa credibilità della Chiesa. Inoltre la grande esposizione mediatica del livello centrale, impersonato, per chiarire, nel Papa e nel cardinal Ruini, finisce per mortificare la realtà ecclesiale vicina al territorio che diventa un semplice canale di trasmissione per messaggi elaborati altrove.
La lunghissima stagione ruiniana della Chiesa italiana ha imposto un centralismo esasperato: dalla CEI parte ogni direttiva, ogni campagna culturale, ogni azione pastorale; al convegno di Verona non c’è stato spazio per il dibattito, tutto è ruotato intorno agli interventi di Benedetto XVI e di Ruini. Discorsi in cui si è parlato pochissimo della situazione concreta dei cattolici italiani: i veri punti fondamentali riguardano sempre la battaglia contro i nemici esterni, il relativismo, il laicismo, e il modo in cui i cattolici devono “farsi sentire” nella sfera politica, sociale, culturale.
Totalmente impegnata su questi fronti (vedi referendum sulla fecondazione assistita o polemiche sui “Dico”), la Chiesa italiana trascura la pastorale minuta, l’educazione alla fede, l’accompagnamento dei fedeli, un senso di appartenenza ecclesiale fondato non sui temi del momento, ma sulla solidità del messaggio evangelico. Sappiamo tutto di eutanasia, diritto naturale del matrimonio, embrioni, laicità, omosessualità, ragione e verità, ma i fondamenti della fede sono dimenticati, trascurati, emarginati. Chi mai parla di Resurrezione?
In periferia la discussione riguarda solo la condivisione o meno della linea ufficiale, mentre la vita di ogni giorno continua con sempre maggiore fatica. Il mondo cattolico trentino appare ancora forte e la presenza, almeno formale della Chiesa è assicurata ad ogni manifestazione o iniziativa importante; ma al suo interno non si respira un senso di comunità, grande è la distanza tra il clero e i fedeli, minimo è anche il dialogo tra i sacerdoti, flebile la capacità di ascolto. Ma per tutto questo il tempo non si riesce a trovarlo e soprattutto non si trovano soluzioni e idee nuove per affrontare la frana incombente: la scomparsa delle vocazioni e quindi degli stessi sacerdoti.
La parola d’ordine della “presenza visibile” nella società fa dimenticare che la fede o l’appartenenza, se diventano mero fatto pubblico e non radicato convincimento personale, possono velocemente scomparire come un miraggio.
La parola d’ordine della “presenza visibile” nella società fa dimenticare che la fede o l’appartenenza, se diventano mero fatto pubblico e non radicato convincimento personale, possono velocemente scomparire come un miraggio.