I ragazzi di Cascina Caccia
In giro per l’Italia a lavorare nei poderi confiscati alle mafie
A Trento sono in tutto 15 gli immobili sequestrati alla criminalità organizzata, tutti a Trento nord: appartamenti, uffici, garage. È là che, nonostante l’Autonomia, nonostante il nostro esiguo territorio, un fazzoletto tranquillo di terra tra le montagne, faceva affari il mostro; e grazie al fatto che qui forze dell’ordine e magistratura funzionano, i criminali sono stati acciuffati e assicurati alla giustizia e i loro beni confiscati. Se riusciremo a guardarlo in faccia ed affrontarlo, il mostro chiamato malavita organizzata, sarà anche grazie a Chiara, Natasha, Giulia, Claudio, Enrico, Annalisa, Maria, Matteo, Linda e Sarah, che un giorno sono saliti sul “Treno della Memoria” insieme ad altri 390 ragazzi. Ma che cosa c’entrano le mafie con loro, undici dei ragazzi trentini del “Treno della Memoria 2010?
C’entrano. La mafia la n’drangheta e la camorra hanno lambito anche il Trentino: qualche arresto, speriamo isolato e senza strascichi o addentellati, e siamo subito saltati sulle sedie. Ma loro, i ragazzi di Cascina Caccia, da quel giorno, da quel “Treno della Memoria” che parlava di morti ammazzati, di pizzo, di giovani vite rubate, hanno imparato che per dissodare il terreno dalle erbacce bisogna arare e riseminare. Hanno imparato che le mafie non hanno patrie, non sono stanziali, vanno dove ci sono gli affari e che, come ha più volte ripetuto Roberto Saviano, bisogna essere curiosi, attenti e saperle riconoscere, capirne i linguaggi, fiutarne la presenza, perché nessuno può chiamarsi fuori, la libertà continua ad essere partecipazione. Così sono rimasti su quel binario, hanno percorso molta strada e sono arrivati a San Sebastiano da Po - provincia di Torino - in un’assolata mattina di luglio del 2010. Hanno seguito le educatrici di Libera, l’associazione che fa capo a Don Ciotti, che in Trentino Alto Adige sta costruendo una sua sezione, attualmente una trentina di attivisti, di cui i “cascini”, come li chiamano “i grandi”, rappresentano il fiore all’occhiello, se consideriamo che all’interno del gruppo si va dai 17 ai 24 e qualcuno è ancora al liceo.
A San Sebastiano da Po c’è un podere che fu di proprietà della famiglia Belfiore, i mandanti dell’omicidio di Bruno Caccia, l’unico magistrato morto ammazzato dalla mafia al nord Italia. È una masseria che è stata confiscata ai mafiosi e dove ora si coltiva il miele, si lavora l’orto e il noccioleto che permetterà di fare il torrone. C’è una piscina per le papere e si sta ristrutturando un’ala della masseria riservata ai cavalli, per la pet therapy.
A Cascina Caccia si cucina, si fanno le pulizie a turno, si mangia, si dorme in camerata su letti a castello e ci si sveglia all’alba. Nel pomeriggio si seguono esercizi di formazione, con approfondimenti sul tema, con Sara e le altre educatrici che vivono stabilmente in quel luogo sequestrato alla cosca, dove oggi si produce biologico certificato, si confezionano leccornie e sopratutto ogni giorno che passa si forgiano coscienze civili, che invece non crescono sugli alberi.
Nel pomeriggio ci sono i laboratori teatrali, con una regista che insegna ai gruppi a ideare e mettere in scena uno spettacolo. Periodicamente arrivano anche celebrità - comici, attori - per passare una giornata, spesso anche una nottata, con i volontari, non necessariamente gruppi di Libera, ma anche scout e associazioni varie.
I Cascini hanno già fatto tre uscite con il loro spettacolo, due a Povo e una a Rovereto; il loro sogno però è restituire alla cittadinanza la loro esperienza in modo più capillare e portare lo spettacolo nelle scuole. “Parlare ai ragazzi delle superiori è difficile, - raccontano Chiara e Natasha - mentre catturare l’attenzione attraverso la recitazione di un copione è molto più efficace. Il teatro è come la vita, racconta delle storie ed ognuno ha una propria percezione di ciò che si rappresenta, una suggestione che arriva all’anima. Con il teatro non è difficile raccontare e raccontarsi e un’esperienza così intensa come la nostra ha bisogno di formule espressive, non di parole”.
Ogni due settimane si incontrano nella sede dell’associazione Kaleidoscopio per fare formazione, non necessariamente guidata dalle “grandi “di Libera, come Chiara Simoncelli: a volte si organizzano in proprio, proponendo dei temi, o dei fatti di cronaca da approfondire.
“Ma trovarsi chiedendo sempre permesso non è facile, - Natasha un po’ rossa in viso sembra quasi avere timore a dire che... - sarebbe bello se quei beni confiscati a Trento potessero essere assegnati a Libera del Trentino Alto Adige, che ora non ha una sede, dove poter mettere una scrivania, un computer, dove poter costruire un’organizzazione anche minimale. Noi siamo ragazzi, a noi va bene tutto, ma per gli attivisti più grandi che avrebbero bisogno di radicarsi sul territorio, ci vorrebbe una sede”.
Loro collaborano con Kaleidoscopio, il Forum Trentino per la Pace, questo è vero, ma alla fine, per l’esigenza più che legittima di rispettare i tempi di tutti, si riesce a fare ben poco.
Ultima iniziativa è stata la partecipazione alla manifestazione nazionale di Libera a Potenza il 19 marzo, oltre 80 mila persone, con ospiti di grande caratura istituzionale, come Antonio Ingroia e Giancarlo Caselli: dal Trentino c’era gente di Trento, Rovereto, Mezzolombardo.
“È stato un momento di grande emozione collettiva - raccontano - In quella sede abbiamo capito che oggi è più difficile: le vecchie ‘famiglie mafiose’ non esistono più e i colletti bianchi sono ovunque, non ce l’hanno scritto in fronte, te li ritrovi alla Bocconi, nelle aziende, nelle società partecipate, nei consigli comunali, provinciali, regionali. Controllano gli appalti, il ciclo dei rifiuti, stanno entrando nel business dell’energia. I proventi derivanti dal traffico di stupefacenti sono talmente alti da permettere loro qualsiasi tipo di investimento, affari da milioni e milioni di euro, inavvicinabili per chiunque”.
La prossima trasferta?
“Vorremmo continuare il nostro cammino a caccia di legalità. Questa volta vorremmo andare al sud, respirare quell’aria, parlare con la gente. Vorremmo avere contatti anche con i nostri coetanei del meridione, cercare di costruire una rete, toccare con mano quanto è stato fatto ed integrare il nostro lavoro con il loro, capire se siamo efficaci, se riusciamo a bucare il muro dell’indifferenza”.
Il nostro incontro con le ragazze di Cascina Caccia corre via tra un progetto e un altro e la visione del cd dello spettacolo; non è stato facile per loro raccontarsi, superare imbarazzi, timidezze e ritrosie. Avevano mille paure, di oscurare il lavoro delle “grandi”, di apparire inadeguate e, quel che è peggio, in cerca di visibilità.
“Non crediamo di fare nulla di speciale, viviamo il nostro tempo cercando di capirlo, di interpretarlo, di uscire dall’ambiguità cercando gli strumenti per lavorare insieme, accogliere altri amici, condividere nuove esperienze, un passo dopo l’altro, guardando avanti”.