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QT n. 9, ottobre 2010 L’intervista

Questa è la ‘ndrangheta

Intervista a Francesco Forgione, autore di saggi sulla criminalità organizzata, già presidente della Commissione Antimafia

Mariano Roca
Francesco Forgione

Come possiamo spiegare il fenomeno della ‘ndrangheta, che è diventata una grande holding criminale internazionale?

“Oggi la ‘ndrangheta è sicuramente la mafia italiana più potente e pericolosa nel mondo. È una grande holding economico-finanziaria criminale che ha saputo cogliere le opportunità che la globalizzazione ha offerto a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90, superando di gran lungo la forza di Cosa Nostra siciliana, che in quegli anni, sotto la direzione dei Corleonesi, era chiusa in una logica tutta interna, nella trattativa con la politica e lo Stato dopo la fine dell’andreottismo”.

Quali sono state le opportunità che la ‘ndrangheta ha saputo cogliere?

“Il primo fu il passaggio dal mercato dell’eroina a quello della cocaina. Per almeno due decenni, il mercato dell’eroina era stato gestito dalla mafia siciliana, in un rapporto diretto con le famiglie mafiose di New York, che poi distribuivano la droga in tutto il mondo. Quando c’è stato questo passaggio dall’eroina alla cocaina, Cosa Nostra era impegnata nella trattativa con lo Stato, nello stragismo, nella guerra interna. E un nuovo soggetto, la ‘ndrangheta, si propone come il più grande interlocutore dei Cartelli internazionali. Perché avviene questo? Perché la ‘ndrangheta aveva accumulato centinaia di miliardi di lire. Prima con il controllo degli appalti pubblici, in primis l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, e il porto di Gioia Tauro, il più grande porto del Mediterraneo di containers (in un anno ne passano 6.600.000 dei quali lo Stato a campione ne controlla 1.500, quindi è un porto franco). La ‘ndrangheta offre nello scenario criminale mondiale un prodotto unico e di qualità, perché ha molti liquidi. E unico perché, essendo la ‘ndrangheta costruita su legami familiari, è una mafia che non ha pentiti; dunque una mafia molto affidabile, che è sempre stata sotto traccia: a differenza di Cosa Nostra, non ha mai ammazzato magistrati, giudici, politici o giornalisti”.

Come viene trattato il fenomeno ‘ndrangheta a livello nazionale e internazionale?

“Basta pensare che la prima relazione sulla ‘ndrangheta scritta dalla Commissione parlamentare Antimafia è stata pubblicata nel 2008, quando io ero il presidente. La Commissione esiste dal 1964 e non se n’era mai occupata. Solo dopo la nostra relazione, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha inserito la ‘ndrangheta nella black list delle organizzazioni criminali alle quali applicare le stesse leggi applicate contro Al Qaida e il terrorismo. Insomma, è un’organizzazione che ha sempre privilegiato la forza economica e la diffusione territoriale mondiale, anziché la sfida aperta allo Stato”.

I signori della cocaina

 Il traffico di stupefacenti è oggi la prima fonte di reddito della ‘ndrangheta?

“La ‘ndrangheta ha due grandi attività. Ovviamente, il controllo del territorio è fondamentale, e vuol dire controllo degli appalti pubblici, dei finanziamenti europei, del porto di Gioia Tauro... E poi, nella dimensione globale, ha in mano il traffico della cocaina. Le cifre della cocaina spiegano questa forza: un chilo di cocaina in Colombia costa 1.000 euro; quando questo chilo va nella mani del trafficante colombiano ne vale più o meno 20.000; quando arriva ai calabresi si sale a 40.000 euro; e quando questi la portano sulla piazza per venderla, un chilo produce quattro chili di cocaina tagliata, ognuno dei quali vale 50.000 euro. Cioè, dai 1.000 euro iniziali arriviamo a 200.000 euro. Io, che sono marxista, potrei dire che nessuna merce può produrre un plusvalore così grande. Questo ha reso la ‘ndrangheta una potenza internazionale, con una novità: in qualunque parte del mondo arriva, insedia proprie strutture e riproduce un modello culturale e sociale, non solo criminale. Siamo di fronte non solo ad una mafia che pratica reati transnazionali, bensì a una mafia che è diventata globale”.

Qual è il rapporto con i narcotrafficanti?

“Hanno rapporti diretti con i produttori di coca. Gli ‘ndranghetisti vivono oggi in Colombia, in Venezuela e in Bolivia. La presenza dell’organizzazionein Sudamerica comincia ad essere una radicata, il che è una garanzia nel rapporto con i narcotrafficanti. Ora che molte rotte della droga si sono spostate sul Messico, i calabresi sono stati i primi a costruire un sistema di relazioni con “Los Zetas”, il grande Cartello messicano”.

Quanta parte di questi introiti viene riciclata nell’economia legale?

“In Italia il fatturato annuale delle tre mafie si aggira tra i 120 e i 150 mila milioni di euro. Solamente il 40% di questo fatturato serve a riprodurre le attività criminali classiche: lo stipendio degli affiliati, il traffico delle armi, l’acquisto di nuova droga, ecc. Il 60% va a lavarsi nell’economia legale. Il problema che oggi abbiamo, e che vale per l’Italia e per il mondo, è quello di definire il confine tra l’economia legale e quella illegale. Quando una grande quantità di soldi annualmente si disperde nell’economia legale, con società di prestanomi, società finanziare pulite e attività immobiliari, si perde il confine tra legale e illegale. Purtroppo il processo di globalizzazione ha abbattuto ogni forma di controllo sulle transazioni finanziarie. Oggi è molto facile muovere milioni di euro via Internet in tempo reale, facendo sessanta o settanta operazioni in un solo giorno per disperdere i soldi. E non c’è la volontà dei governi e degli Stati di aggredire questa dimensione”.

A livello giudiziario, in Italia, quest’anno c’è stata l’inchiesta su Fastweb e Telecom Italia Sparkle. È stata una delle operazioni più grandi di riciclaggio di soldi della ‘ndrangheta.

“Questa è la dimostrazione che, sopratutto in un momento di crisi economica e finanziaria, molti settori dell’economia sono a rischio, perché le mafie sono tra i pochi soggetti che hanno una disponibilità di soldi liquidi. Quindi possono intervenire coi loro denari nella crisi di settori industriali, imprenditoriali, finanziari e anche in settori economici strategici come le telecomunicazioni. Le mafie sono soggetti imprenditoriali dinamici che intercettano le novità dell’economia e inseriscono la loro forza”.

Quali sono gli strumenti dello Stato per lottare contro questo fenomeno?

“Credo che uno degli strumenti che più deve funzionare, con un vincolo rigoroso, sia la denuncia delle operazioni sospette. Abbiamo bisogno di un vincolo, anche con una pena, per i funzionari che non denunciano le operazioni sospette. Il secondo tema è la tracciabilità dei capitali; è necessario che sopra i 3.000 euro - o anche sopra i 5.000 - tutti i movimenti di capitali siano tracciabili. Occorre seguire i capitali ovunque si muovano. Terzo, servono norme molto rigide per la lotta alla corruzione. Quando una grande quantità di soldi si ripulisce nell’economia legale, si determina una zona grigia di rapporti tra la mafia, la politica, l’economia e la corruzione. Non possono essere i narcotrafficanti colombiani o i pastori calabresi a ripulire quei soldi. C’è bisogno di notai, direttori di banca, funzionari della pubblica amministrazione, strutture finanziarie, società assicurative. Questa borghesia mafiosa deve essere colpita. La tracciabilità dei capitali è un modo per rendere più difficile a questa borghesia di portare avanti il suo lavoro. E poi abbiamo bisogno di norme rigorose sul sequestro e la confisca dei patrimoni, non solo per i mafiosi ma anche per i corrotti. Ovviamente queste norme funzionano se hanno una dimensione sovranazionale. Se le mafie si internazionalizzano, noi dobbiamo internazionalizzare l’antimafia”.

A livello delle istituzioni, quali dovrebbero essere le condizioni per portare avanti la lotta contro le mafie?

“Una delle condizioni fondamentali è l’autonomia e l’indipendenza del Pubblico Ministero, che coordina la Polizia Giudiziaria e quindi coordina le indagini. Se dipendesse dal Ministero della Giustizia o da quello dell’Interno, l’azione di legalità si fermerebbe a livello del potere politico, economico e finanziario. Teniamo presente che le mafie sono mafie e non normali organizzazioni criminali proprio perché vivono di un sistema di relazioni col potere politico, economico e finanziario. Per questa ragione dobbiamo garantire l’indipendenza della Magistratura. Se vogliamo combattere le mafie nella loro vera dimensione, dobbiamo far capire ai governi e al mondo economico che quando arrivano i soldi della mafia per un grande investimento immobiliare, turistico o per una grande azienda, poi arrivano anche i mafiosi. E quando arrivano i mafiosi, cambia la natura dell’economia e del rapporto tra il mondo imprenditoriale e la politica. Si inquina tutto il sistema”.

Scudo fiscale: un regalo alle mafie

Cosa pensa del recente “scudo fiscale”?

“Nella forma in cui è stato applicato in l’Italia, credo che sia stato il più grande regalo che si poteva fare alla mafia e al sistema della corruzione che è contiguo alla mafia. È stata un’opportunità per ripulirsi. Anche Obama l’ha voluto, però la prima cosa che ha fatto è stata quella di aprire un contenzioso con l’Unione delle Banche Svizzere per avere l’elenco dei cittadini americani che avevano soldi nelle banche svizzere, perché il rientro dei capitali non cancellasse il reato penale. Cos’ha fatto invece Berlusconi? Ha cancellato con una piccola multa il reato penale di esportazione illecita dei capitali, che è un primo passo per applicare poi la regola del riciclaggio. E ha garantito l’anonimato al rientro di quei soldi, il che è gravissimo, perché quei soldi sono prodotti dall’evasione fiscale o da attività criminali mafiose, e quando rientrano in Italia lo Stato così non può sapere quali settori inquinano. L’esempio di Fastweb è drammatico”.

Qual è oggi il rapporto tra mafia e politica? Il voto degli italiani all’estero, in Sudamerica e non solo, ha suscitato molte perplessità...

“Nell’ultimo mio libro ho raccontato - lo attestano le intercettazioni telefoniche - come il senatore Marcello Dell’Utri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per associazione mafiosa già in secondo grado di giudizio, aveva rapporti con i rappresentanti della ‘ndrangheta in Venezuela per decidere la lista dei candidati nella circoscrizione del Sudamerica. Le intercettazioni hanno dimostrato come la ‘ndrangheta con i suoi uomini controllava il meccanismo del voto per posta e lo faceva per conto del Popolo della Libertà. Non a caso l’uomo chiave che organizzava questo sistema era Dell’Utri, braccio destro di Berlusconi. Questo pone un problema di trasparenza della politica e della democrazia in Italia”.

Qual è la situazione dell’Argentina nel contesto dell’espansione di queste mafie transnazionali?

“L’Argentina è al centro di una delle rotte della droga che dal Sudamerica arriva in Europa, sia per quanto riguarda la cocaina della Colombia che del Perù. Ma oggi credo che l’Argentina corra un nuovo pericolo: sta diventando un mercato per il consumo della pasta di coca (il cosiddetto “paco”) e della cocaina. Pur non essendo un paese produttore, corre un rischio: quando si diventa un grande mercato per il consumo, i soldi del riciclaggio di questo mercato della cocaina - i narcodollari - rimangono sul territorio, possono condizionare lo sviluppo di alcuni settori dell’economia e cominciare ad inquinare seriamente anche le istituzioni politiche”.

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Commenti (1)

Mariano

Voglio ringraziare Ettore dell'opportunità di collaborare con Questotrentino. E' sempre un piacere.
Spero l'intervista sia interessante e permetta capire un po' meglio il fenomeno 'ndrangheta.
Un cordiale saluto da Buenos Aires, Argentina

MARIANO ROCA - ANZELINI
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