Cantieri dell’identità
Il sentimento di appartenenza a una terra denominata “Trentino” si afferma nell’800, come costruzione storica fondata sui conflitti etnico-nazionali
“Italiani noi siam non tirolesi”. Bisogna scrutarlo con intenzione, il busto di Clementino Vannetti, se si vuol leggere il verso/slogan scritto sul foglio semiarrotolato che il poeta regge con la mano sinistra. Il sonetto satirico indirizzato dal letterato roveretano al grande attore toscano Antonio Morrocchesi è del 1789. Il grazioso monumento presso il Palazzo della Cassa di Risparmio di Rovereto è promosso nel 1903 in un clima di forte mobilitazione, dopo un episodio di scontro politico-nazionale all’università di Innsbruck. I fondi vengono raccolti con una sottoscrizione che si vuole il più possibile diffusa, per rafforzare il significato militante dell’iniziativa. L’inaugurazione avviene nel maggio 1908, ad animi ulteriormente accesi: nel 1904 ci sono stati i nuovi e più gravi “fatti di Innsbruck”; nel 1907 la risposta clamorosa ad un’iniziativa di propaganda pangermanistica, con l’aggressione fisica presso Calliano al suo principale promotore, il tedesco prof. Mayer; nel febbraio 1908, pochi mesi prima, il processo detto dei 42 contro i manifestanti accusati per questa violenta reazione, presso il tribunale di Rovereto. Sono tutti assolti, dopo un processo che si trasforma in “vetrina” del movimento nazionale.
Ma torniamo al verso vannettiano sull’identità. In positivo la risposta alla domanda “cosa siete?”, “come vi definite?” è “italiani”, non “trentini”, un’espressione la cui fortuna deve ancora affermarsi (anche se proprio nei decenni a cavallo di ‘700 e ‘800 la denominazione “Trentino” comincia ad emergere, per rappresentare o la parte del Tirolo abitata da italiani o un territorio che al Tirolo è connesso solo per “accidente” storico-politico, ma che si tende a considerare “naturalmente” italiano). In negativo, è la distinzione rispetto al Tirolo e all’essere tirolesi a costituire la principale discriminante. Anche sul piano strettamente politico: per buona parte dell’800, e in particolare a partire dal nodo decisivo del 1848-1849, è intorno alla rivendicazione di autonomia rispetto al Tirolo tedesco che si va costruendo una coscienza nazionale che si esprime in esperienze di diversa matrice ideale e con diverse prospettive, ma non è patrimonio solo di ristrette elìtes, come si tende a ripetere.
La cultura della nostra regione è segnata da questo conflitto. C’è un libro utile e poco noto che conviene leggere a questo proposito, “Dar nome a un volgo. L’identità culturale del Trentino nella letteratura delle tradizioni popolari (1796-1939)” di Mauro Nequirito (1999), che esplora gli studi sulle fiabe, sul folclore, sulla poesia popolare, sul dialetto... Il lavoro di Nequirito mette in luce forzature ideologiche e ingenuità del processo di costruzione cui intellettuali grandi e piccoli forniscono il loro contributo. Rileva la difficoltà di ricondurre a un quadro unitario una realtà che continua ad essere fatta di diversi “Trentini”, lo scarto forte tra città e valli, la relativa debolezza di Trento nell’assolvere il ruolo di centro urbano per tutto il territorio.
Politicizzazione della montagna e politica dei monumenti
Facciamo scorrere rapidamente lo sguardo su altri ambiti, soffermandoci appena su qualche scena esemplare.
La prima è datata 1854. Due amici si scrivono: sono il valsuganotto Francesco Ambrosi e il roveretano Fortunato Zeni, animatori della ricerca naturalistica e del collezionismo scientifico in Trentino, nonché della costruzione di nuove istituzioni culturali all’altezza dei tempi, i musei civici di Rovereto e di Trento. Il primo ha quasi completato un censimento della flora spontanea della regione, ora al libro che sta per pubblicare a dispense deve dare un titolo. “Fa di tutto per evitare l’ingiusta parola - Tirolo - e non voler approvare, adottandola, la tirannia persuasiva delle baionette. Non ti parrebbe che la denominazione Flora del Trentino abbracci tutto quello spazio del paese ch’è nella tua flora compreso?”, gli scrive Zeni. Ambrosi cerca una formula di compromesso: “Circa il titolo sono deciso per Flora Tridentina, ma non posso fare a meno di inserire il brutto nome di Tirolo; ma nella mia introduzione farò brillare invece quello d’Italia, la quale geograficamente va con terminare col versante australe del Brenner”. Quando una complessa circonlocuzione sembra contemperare le esigenze, è l’autorità di polizia a imporre il titolo Flora del Tirolo meridionale e a far emendare la stessa prefazione.
Non solo i fiori e le piante sono coinvolti nella contesa identitaria, tutto il territorio ne è investito e in particolare i luoghi cui viene attribuita rilevanza simbolica. Conquista delle vette, imprese alpinistiche, costruzione dei rifugi: la storia della Società degli Alpinisti Tridentini (nata con altro nome nel 1872) si intreccia con quella della “politicizzazione della montagna”, per citare il titolo di un saggio di Michael Wedekind. In parallelo si sviluppa la politica dei monumenti: a quello di Bolzano dedicato al Minnesänger Walther von der Vogelweide (1889) si affianca e si contrappone quello di Trento a Dante, inaugurato nel 1896.
Meno nota forse, e comunque particolarmente complicata, è la battaglia culturale che si svolge sul terreno delle origini. In quale passato si radica, la diversità linguistica e nazionale? Quali popolazioni abitarono originariamente la regione, che caratteri linguistici e razziali avevano? Quale eredità deriva da quell’impronta remota? Cultori di storia antica, archeologi, antropologi misurano i loro strumenti, affinano i metodi delle loro discipline anche per rispondere a interrogativi di questa natura. Sarebbe insensato ridurre a questo esperienze scientifiche di grande spessore: pensiamo ad esempio alle ricerche giovanili di un archeologo come Paolo Orsi.
In alcuni casi, però, l’ossessione identitaria sembra trascinare nel grottesco, perlomeno ai nostri occhi. Renato Mazzolini ha ripercorso, in un saggio di magistrale misura, uno di questi casi. Studiosi di diversa nazionalità, il medico meranese Tappeiner, gli antropologi trentini Canestrini e Moschen, disputano sulla forma dei crani tirolesi e dei crani trentini. Tappeiner, che ha potuto esaminarne alcune migliaia, giunge alla conclusione che “le teste e i crani tedesco-tirolesi mostrano di meno il tipo germanico, mentre più si va nel Tirolo italiano, più le teste e i crani appaiono germanici”. I presupposti di queste affermazioni sono troppo nebulosi e lambiccati per provare a riassumerli qui: tanto il medico meranese che i suoi critici si appoggiano a ipotesi sul popolamento del territorio incertissime perfino ai loro occhi, nonché a schematizzazioni rudimentali, del tipo: dolicocefalia equivale a elemento germanico, brachicefalia a elemento romano.
Canestrini, studioso di riconosciuta levatura, e il suo discepolo Moschen complicano il quadro, ma non sfuggono al terreno insidioso del confronto, fornendo un esempio patente “di come la scienza sia anche il frutto di una costruzione politico-sociale” [La ricerca di una controversa identità: crani tirolesi, crani trentini (1880-1900), in Giovanni Canestrini zoologist and darwinist, Venezia 2001].
L’identità inafferrabile
All’innocuo accanimento sui crani dei defunti alla ricerca dei tratti identitari succede, qualche decennio dopo, la sistematica catalogazione dei sentimenti nazionali dei vivi. L’essere considerato austriacante o filoitaliano, antinazionale o irredentista diventa oggetto d’imputazione, comportamento da discriminare e punire. Da parte austriaca con gli internamenti dei filoitaliani a Katzenau o altrove, con le migliaia di processi della giustizia militare, con le discriminazioni nell’esercito... Da parte italiana, con il grande numero di internamenti di civili delle zone “liberate” sospettati di essere austriacanti, con il trattamento talvolta punitivo dei prigionieri ex-austriaci “irredenti”. Tra le carte delle burocrazie poliziesche e militari, dall’una e dall’altra parte, si accumulano in proposito delazioni, raccomandazioni, suppliche.
Un ulteriore paradosso è il tentativo di cristallizzare così, in classificazioni rigide, processi soggettivi che gli eventi tendono a rendere molto mobili. Il lettore di diari di soldati e prigionieri sa come sia frequente il caso di autori che proclamano nelle prime pagine devozione per l’Impero e il suo sovrano, che maledicono magari nel 1915 l’Italia infame e “traditora”, che scoprono dentro le ingiustizie e le assurdità della vita militare di guerra una coscienza nazionale, o vengono trasformati dall’esperienza della prigionia in Russia e dalle conversazioni con i compagni di sventura. In direzione inversa, gli effetti sui “sentimenti nazionali” delle delusioni dell’immediato dopoguerra, delle modalità della ricostruzione del Trentino e del processo di integrazione nello stato italiano, del duro impatto con gli arbitri e le inefficienze della nuova burocrazia si avvertono anche solo scorrendo le pagine dei giornali o delle relazioni ufficiali, ma andrebbero approfonditi ulteriormente.
In definitiva non è di un’identità “naturale” e sempre uguale a se stessa che dobbiamo ragionare, ma di orientamenti ideali e di sentimenti che si formano dentro i conflitti della storia.
Più trentini o italiani?
Martedì 11 gennaio, per le vie del centro di Trento, abbiamo fatto un breve giro di interviste sul tema dell’identità: “Ti senti più trentino o italiano?” : ne è uscito un video di 8 minuti:
Sempre sul tema, Alessandra Zendron sviluppa l’argomento relativamente all’Alto Adige.