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Identità ai confini

Sudtirolo diviso fra italiani e tedeschi? La situazione è molto più complessa...

In Sudtirolo, da che mondo è mondo, cioè da quando dal chiamarsi tirolesi gli abitanti del pezzo di Tirolo annesso all’Italia hanno cominciato a chiamarsi sudtirolesi, la questione dell’identità è stata un argomento di riflessione, di discussione e di produzione letteraria. Il tema era limitato strettamente alla componente nazionale dell’identità, che ha egemonizzato, fino a nasconderlo, tutto il resto. Cioè con tutti quegli elementi, le lingue e i linguaggi che parla, le sue competenze, il modo di sentire, che compongono e cambiano continuamente una persona, e si aggiungono al bagaglio genetico e culturale delle origini, attraverso i viaggi, i trasferimenti, le conoscenze e le amicizie, i lavori e gli interessi, gli incontri, gli amori, le scoperte di luoghi e persone, le felicità e le sventure.

L’identità diventa un tema sentito quando ci si confronta con qualcun altro, volontariamente o essendone costretti. Si fanno i conti con se stessi e ci si chiede chi siamo, che cosa del passato portiamo con noi e che cosa invece vogliamo lasciare.

I tirolesi al sud del Brennero sono stati costretti a ridefinirsi “sudtirolesi” dalla separazione dalla madrepatria Austria, e dall’arrivo degli italiani; gli italiani di varie provenienze geografiche e sociali dal fatto di “immigrare” in una terra in cui la maggioranza parlava una lingua diversa, e loro parlavano dialetti diversi e mangiavano cose diverse.

La cosa è stata affrontata dai fascisti attraverso un tentativo di semplificazione, provando ad annientare (assimilare, allontanare) gli altri. Un po’ quello che si voleva fare prima della guerra da parte di entrambi i nazionalismi in discesa o in salita lungo la valle dell’Adige e che rimane storicamente una tentazione di alcuni.

Nel dopoguerra, in democrazia, si era tedeschi o italiani, e quelli che stavano in mezzo erano considerati estranei dagli uni e dagli altri, salvo nelle zone miste a sud di Bolzano. I misti sarebbero stati sempre benissimo (“i migliori abitanti del Sudtirolo”, ha detto una volta il presidente dell’associazione “Famiglie mistilingue”), se non fosse per la politica. L’identità non era in discussione, perché le esperienze drammatiche delle opzioni e della guerra vissuta dai sudtirolesi optanti e Dableiber su diversi fronti (non etnici, ma ideologici) non potevano essere tema di dibattito o di studio.

Gli italiani immigrati non si posero il problema. Pensavano a vivere e ignoravano i vicini. Verso la fine degli anni Sessanta, i movimenti giovanili fecero emergere altri bisogni, espressione di elementi repressi di identità anche all’interno dei gruppi linguistici e, in alcuni, nacque l’interesse a parlarsi e a fare qualcosa insieme al di là del muro in cui ognuno era rinchiuso e cominciava a stare stretto. Riviste bilingui come die Brücke e alcuni artisti cercarono di uscire dal proprio guscio, percepito come stretto e soffocante, come il pittore Max Valier e il poeta Norbert Kaser.

Novità in ritardo

Negli anni Settanta, quando i giovani d’Europa cercano una nuova identità attraverso la presa di coscienza ed esperienze internazionali come la nuova musica, il pacifismo e la riflessione sulla propria condizione, e prendono parte a un rinnovamento della cittadinanza, fra cui spicca la prospettiva di genere e una nuova concezione del lavoro operaio e dipendente, tutto ciò arriva in ritardo nello spazio pubblico del Sudtirolo. Lo spazio pubblico è occupato dalle “nuove opzioni”, l’obbligo di dichiarazione ufficiale e individuale di appartenenza linguistica a uno solo dei gruppi, che codifica l’interpretazione separatista della nuova autonomia e rafforza la componente etnica dell’identità.

La questione emoziona molto le nuove generazioni e le aree mistilingui, che dopo le scuole separate non solo nella lingua ma anche nei contenuti, si trovano cancellati dall’esistenza ufficiale. Fra chi non ci sta o non ci può stare ci sono, fra gli altri, gli scrittori Gianni Bodini, italiano accasato in Val Martello che propone nei suoi scritti un’identità sudtirolese, plurale e che gode delle differenze, e Josef Zoderer, che con “Die Walsche” (“L’italiana”), racconta una storia di coppia in cui l’essere di lingua diversa si interseca con la diversità di essere donna e uomo. Del 1981 è il numero 11 di ARUNDA, una rivista letteraria e d’arte, dedicata a “Das Kreuz mit der Identität” (“La croce con l’identità”), in cui i vari autori e le varie autrici ignorano sostanzialmente l’aspetto consueto della questione, per portare problematiche e prospettive identitarie non etniche (salvo Karl Trojer, che fa un elogio della pluriculturalità dell’Alto Adige, un fatto raro in un tempo in cui la parola “convivenza” era vista dal partito etnico al pari di un attentato all’integrità del gruppo).

Nei due decenni seguenti alla chiusura del pacchetto (1992), dapprima la forte simpatia fra la Svp e la Lega Nord secessionista sembra trovare una sponda “italiana” alla tentazione di chiudere l’esperienza di convivenza, tramite l’obiettivo dell’Euregio tirolese, che nei suoi progetti esclude il Trentino. Nel frattempo la società si evolve e complica, con l’acquisizione di consapevolezza di sé dei ladini come gruppo e l’arrivo di una consistente immigrazione di altre lingue e culture. Il concetto di “sudtirolesità” non è più automaticamente tedesco, ma si può coniugare come tedesco, italiano, ladino. Tanto è vero che un giurista austriaco, di area di estrema destra nazionalista suggerì di abbandonare il termine “sudtirolese” per usare solo quello di “tirolese”, in modo da rendere impossibile agli italiani l’identificazione nella stessa terra.

Sudtirolesi, non tirolesi

Gli studi di Pallaver e Nick (Università di Innsbruck) hanno più volte dimostrato come l’autopercezione identitaria di sudtirolesi italiani, tedeschi e ladini sia distante non solo o non tanto fra di loro, ma anzitutto nei confronti dei tirolesi austriaci. Le persone di lingua tedesca si identificano nella provincia, nel comune o frazione in cui vivono o sono nati, raramente nello stato. Gli italiani prima si identificano nella città o comune in cui vivono, poi nell’Italia e solo dopo nella provincia: “Sono un sudtirolese di lingua italiana, di origine e accento sardo e mi sento anche un po’ tedesco, visto che parlo bene questa lingua” - diceva un mio conoscente.

La kermesse del giubileo hoferiano, riccamente sovvenzionata dalle autorità, non è riuscita a smuovere la situazione, anzi semmai ha aumentato la distanza fra sudtirolesi e tirolesi. Mentre Klotz & C. lavorano per l’indipendenza, i tirolesi sono molto scettici anche sul doppio passaporto. Nel frattempo il parlamentare Zeller, espressione di posizioni piuttosto nazionaliste all’interno della Svp, ha proposto pochi giorni fa “un coinvolgimento degli italiani” per conseguire insieme l’obiettivo (nientedimeno che) di uno stato indipendente. Che però a stare agli studi non sembra desiderato da nessuno dei tre gruppi linguistici conviventi, che ormai apprezzano i vantaggi della convivenza.

Al 150° dell’unità d’Italia, sono pochi i sudtirolesi di lingua tedesca che si interessano. Di fronte all’anniversario ci si poteva aspettare che qualche organizzazione di storici facesse un convegno mettendo a confronto le unificazioni di Italia e Germania, o il ruolo dei nazionalismi che portarono alla nascita di stati di diritto con i micro nazionalismi che rischiano di precipitare l’Europa in un nuovo Medioevo, di dogane, privilegi e cittadini di seconda classe. Ma da ogni parte c’è silenzio, come se la convivenza facesse sparire le identità e le culture. Per ciò che riguarda poi le cose belle dell’Italia, l’arte, la letteratura, la poesia, l’impegno civile dei repubblicani di Mazzini e di Giustizia e Libertà, lotte per la libertà, la liberazione dai privilegi e dalle discriminazioni nel momento dell’unificazione e la lotta contro il fascismo, in buona parte sono ignote e indifferenti anche agli italiani del Sudtirolo.