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QT n. 10, novembre 2010 Cover story

Benvenuti a Canova

Nuovo quartiere, indecoroso, previsto a Trento Nord. Eppure si potrebbe realizzare un intervento positivo. Solo che…

“Ma gli spazi sociali?? Si vuole realizzare un nuovo quartiere, senza servizi. Quando già il quartiere esistente ne è privo - interroga, allarmato ed indignato Moreno Marighetti dell’associazione “Il Gruppo” - Canova, Roncafort, Spini, quando verranno dotati di servizi? È da anni che ci prendono in giro dicendoci che a Roncafort ci fanno la piazza. E ancora non c’è...”.

Più pacato, il presidente della circoscrizione Corrado Paolazzi approda però alla stessa conclusione: “Avremo nuove cubature, in un quartiere che non ha niente, e a cui era stato detto che proprio con questa lottizzazione sarebbero stati dati i servizi. E invece... È chiaro che se al posto dei servizi continuano ad arrivare nuovi condomini, nuovi abitanti, nuovi problemi, io non voglio essere allarmista, ma la situazione inizia a farsi difficile”.

Stiamo parlando dei quartieri a Nord di Trento, in particolare Canova. Campagna e vicino un edificato informe, stradine (“Quando passa l’autobus, se incrocia una macchina non ci stanno”), una antica piazzetta oggi luogo sperduto, le quattro corsie della strada del Brennero a sbarrare i contatti con Gardolo (e i suoi servizi), la ferrovia a sbarrare quelli con Roncafort, compagna di sventura (“Almeno facessero un sottopasso pedonale per andare a Roncafort! Ci hanno detto che non ci sono i soldi...”). Lungo l’esile marciapiede che costeggia la statale, una signora velata, di evidenti origini maghrebine, spinge una carrozzina tenendo per mano una bambina, mentre le macchine le sfrecciano a fianco: rappresentazione emblematica di una nuova realtà, confinata là dove il tessuto urbano semplicemente non c’è.

Roncafort: la sede del “Gruppo“

“Nei sobborghi di Trento è in atto un processo che li sta gradualmente trasformando da paesini sostanzialmente autonomi a quasi-periferie” sostiene uno studio svolto dagli studenti del corso di laurea in Sociologia e Ricerca Sociale; che per di più individua come sobborgo più problematico proprio Roncafort-Canova: già oggi, prima della prossima ondata di altri 1500 nuovi ospiti. Insomma: bisognerebbe stare attenti, molto attenti. Vediamo invece, in questo quadro, cosa sta succedendo.

Un coacervo di condomini...

Condomini a Canova

Canova, dicevamo, si sviluppa, a ovest della Statale del Brennero, oltre il grande svincolo di Trento Nord fino allo svincolo di Gardolo, delimitata a est dalla ferrovia. A ridosso della statale l’edilizia si è scatenata: complice l’urbanistica del capoluogo, che notoriamente nei nuovi quartieri riesce a dare il peggio di sé, è cresciuto un coacervo di condomini malamente servito da un esile reticolo di stradine di campagna; questo solo su metà dell’area, mentre l’altra metà, a ridosso della ferrovia, è ancora tutta campagna. È su quest’area che il Piano regolatore del ‘94 mette gli occhi, e la classifica come C4, edilizia pubblica. Ottimo proponimento, finalmente una previsione di largo respiro per le case Itea, ossia i ceti svantaggiati. Largo respiro? Troppo largo: il Prg infatti vi prevede 400.000 metri cubi, una colata di cemento, un’invasione di nuovi cittadini, per di più socialmente svantaggiati, immigrati ecc. I residenti non ne sono felici.

Ecco allora che nel 2001 il catalano Joan Busquets, estensore del nuovo Prg cambia le carte in tavola: dimezzati i metri cubi, da 400.000 a 200.000, e passaggio da C4 a C3, da sola edilizia pubblica a edilizia anche privata purché ci sia la perequazione, cioè la cessione da parte dei privati di una porzione cospicua, oltre il 60% delle aree, all’ente pubblico, perché vi inserisca i servizi e il verde.

Tutto bene quindi? Teoricamente sì. Il Comune si trova, gratis, senza dover passare attraverso la trafila e i costi degli espropri, ben 10 ettari di terreno, sufficienti per i servizi non solo dei nuovi edifici e dei nuovi abitanti, ma anche per quelli accatastati a ridosso della statale. Insomma, un’occasione per riqualificare il quartiere.

Questa però è la teoria. Quando passiamo alla pratica, alla lottizzazione progettata da Busquets, le cose cambiano molto. Lo si vede dando uno sguardo alla piantina predisposta dall’architetto catalano, che potete vedere nelle pagine seguenti.

Condomini a Canova

Le criticità sono molteplici. Anzitutto non è previsto alcun inserimento nella viabilità esterna. Già oggi a Canova si entra e si esce attraverso due accessi inadeguati, a nord all’incrocio all’altezza del supermercato Poli, a sud attraverso una stradina sotto le arcate del sovrappasso: pensare di farvi transitare altre mille macchine (tante ne porteranno i nuovi abitanti) è demenziale. Significa, come al solito nella pianificazione trentina, non pensare a quello che si fa.

Ma c’è di peggio: il disegnino di Busquets non progetta alcun nuovo quartiere, non ricostruisce il tessuto urbano, accatasta solo nuovi condomini. Non prevede alcun luogo di aggregazione, nemmeno una piazza! Su questo, ed è comprensibile, tutti gli interlocutori del posto da noi intervistati sono feroci: ma a Busquets la laurea chi gliel’ha data?

In realtà l’architetto vuole volare alto. Altissimo. Uno dei dati caratterizzanti il suo Prg (oltre all’ormai famigerato interramento della ferrovia, su cui si sono spesi torrenti di inchiostro ma che non si realizzerà mai) sono i “corridoi verdi”. Degli interstizi alberati, a parco, che percorrendo la città da est a ovest formerebbero un reticolo verde connesso con la vegetazione delle pendici dei monti circostanti. Idea suggestiva ma, appunto come l’interramento, fuori dal mondo: i corridoi verdi non c’erano, già ostruiti da edifici, ai tempi della progettazione di Busquets, oggi sono fantascienza. Sono rimasti solo sulla carta della lottizzazione di Canova. Dove il supposto nuovo quartiere risulta invece - guardare il disegno per crederci - uno strampalato alternarsi di strisce: una serie di condomini (verde scuro nel disegno), una striscia di campagna (verde chiaro), un altro po’ di condomini, altra campagna. Ma che senso ha?

Il progetto Busquets di Canova 2: a ridosso dell’informe agglomerato dell’attuale Canova, si notino: le aree private edificabili (in verde scuro con edifici), le sparute aree per servizi pubblici (in verde con chiazze scure), le aree pubbliche da lasciare, non si capisce perchè, a campagna (in verdolino).

Un significato ci sarebbe: basta pensar male, come autorevolmente suggerisce Giulio Andreotti. I terreni, guarda un po’, non appena varata la variante di Busquets sono stati tutti acquistati dai soliti immobiliaristi ammanicati. Le strisce di campagna, nel progettino bucolico del catalano, sono i terreni che l’ente pubblico riceverà come perequazione dai privati. Se non costruirà servizi, rimarranno campagna. Ma che senso hanno dei meleti in mezzo ai condomini? Nessuno. Tanto vale costruire anche lì, si finirà col dire quando sarà il momento, anche su quei pezzetti di campagna, a quel punto insulsi. Con il che il gioco è fatto: si ritorna ai 400.000 metri cubi originari, però non dell’Itea - no, giammai! - ma della solita cricca di costruttori. Il quartiere, già disastrato, va a picco.

“Il rischio è che Canova diventi il Bronx” affermano allarmati quelli del Gruppo (unica ma indomita associazione culturale di Roncafort, editrice del bel bimestrale “A Nord di Trento”). Sì, perché in tutta questa partita urbanistica non sono tanto in gioco le poltroncine di questo o quel consigliere, o i soldoni di questo o quello speculatore, quanto le condizioni di vita di migliaia di persone. Non dimentichiamolo. “Eh, sì, sono di Roncabronx” sogghigna amara una ragazza. Vediamo allora come il tema viene affrontato nelle stanze delle istituzioni, a iniziare dalla Commissione urbanistica comunale.

Il piano Busquets va cambiato: ma come?

Canova, la chiesetta

Il confronto - o forse, lo scontro - ruota attorno a due obiettivi: ridisegnare il progetto-schifezza di Busquets; programmare i servizi pubblici.

Fino ad alcune settimane or sono la maggioranza della commissione era arroccata attorno a un intransigente “il piano Busquets non si tocca”. Abbinato alla tendenza a lasciare nell’indefinito (“mancano i soldi”) la programmazione dei servizi, avrebbe sancito l’esito più disastroso: la serie di condomini alternata a striscette di campagna in una zona lasciata a se stessa: in pratica la pianificazione del degrado urbano.

Poi dal sobborgo hanno cominciato ad alzarsi le proteste, e alcuni commissari (Paolo Serra e Nicola Salvati del Pd, e Gabriella Mafioletti dell’opposizione) se ne sono fatti carico. Anche perché Busquets oggi è demitizzato, il grande nome venuto da Barcellona a risolvere i problemi di Trento ha infilato una serie di fesserie per fortuna non realizzate (oltre ai fantasmatici corridoi verdi e interramento della ferrovia, anche la sostituzione degli svincoli di Trento Nord con due rotatorie, per fare spazio a una serie di grattacieli e assicurare l’intasamento stradale perpetuo), sicché prendere per oro colato ogni sua proposta è semplicemente insensato.

Quindi il piano Busquets si può toccare. Si deve. Quanto a fondo? In che direzione?

Canova, la porzione di terreno lungo la ferrovia

Bisogna partire da un dato di fatto: i 200.000 metri cubi assegnati da Busquets ai privati e accaparrati dagli immobiliaristi, sono intoccabili. Ma nelle quantità, non nelle disposizioni. Anzi: da un ridisegno del comparto, che porti a un quartiere vero, vivibile, con gli opportuni servizi, ne hanno da guadagnare innanzitutto i proprietari. Almeno per la parte di aspettative conclamate e lecite (realizzare abitazioni appetibili, da vendere a prezzi adeguati), non per quelle, se ci sono, sottaciute e invereconde (lasciare a sterpaglie e campagna i terreni ceduti al pubblico, per poi metterci le mani sopra).

Di più. “Se progettiamo ora i servizi, sono gli stessi privati a guadagnarci - afferma il presidente della circoscrizione Paolazzi - Ad esempio, se in un’area mettiamo una scuola, e attorno edifici dei privati, questi possono prevedere a piano terra locali per bar e negozi, e a quelli superiori appartamenti per famiglie; se invece il pubblico non gli dice niente, e questi si aspettano al di là della strada del verde indefinito, anche gli edifici saranno giocoforza anonimi, e il loro valore inferiore. E lo stesso discorso vale dove possiamo prevedere una piazza, o uno studentato universitario”.

Le proposte infatti non mancano: “Una piazza innanzitutto - richiedono tutti - con le sedi per le associazioni e una sala polifunzionale”. Poi le scuole: una materna, se arriveranno 1500 persone, tra cui diverse coppie giovani, e la nuova scuola media di Trento Nord. “Al limite una moschea, noi non siamo contrari” afferma Paolazzi. Poi l’idea di uno studentato universitario, “beninteso da realizzare sulle aree dei privati: loro costruirebbero secondo le esigenze dell’Opera Universitaria. I soldi ci sono. Si può realizzare una fermata della Trento Malè che porta in cinque minuti in centro e poi in altrettanti a Mesiano; e sui terreni pubblici realizzare spazi verdi e servizi sportivi, aperti anche al quartiere. Si tratterebbe di studenti anche stranieri, in ogni caso abituati alla multiculturalità, che si potrebbero relazionare con la multietnicità degli altri giovani del quartiere; sarebbe automatico realizzare locali per incontri...” afferma Paolo Serra.

Insomma, le idee ci sono, concrete, realizzabili con risorse contenute.

Vedremo in Comune se si saprà - per una volta! - coniugare nuova edificazione e risanamento, urbano e sociale, di un quartiere. Questa vicenda era iniziata nella solita, pessima maniera: gli interessi degli immobiliaristi gli unici a tener banco, per il resto assenza di programmazione, continue promesse, cialtroneria.

Ora c’è la concreta possibilità di procedere altrimenti. Non sarà per niente facile; le inerzie riescono ad essere formidabili, soprattutto quando possono alla fin fine favorire il giro degli ammanicati. Seguiremo la vicenda. Perché, non ci stanchiamo di ripeterlo, è in gioco la qualità della vita di migliaia di persone.

Così, mentre lo studio di Sociologia asetticamente annota “a Roncafort, i legami comunitari sembrano essere definitivamente dissolti”, è con un filo di mestizia che al Gruppo ci ripetono: “pensate, stiamo attendendo da anni una piazza...”.

Le star dell’urbanistica? Pessime

Nell’articolo diamo un giudizio severo dell’operato trentino di Joan Busquets, acclamatissimo invece per la sua pianificazione a Barcellona. Purtroppo questa è una costante delle star dell’urbanistica: vengono celebrate a livello nazionale, dove scrivono libri e tengono corsi universitari e conferenze vibranti contro speculazione e degrado urbano, poi approdano in provincia e con la speculazione locale convivono ottimamente. Ricordiamo Marcello Vittorini, guru dell’urbanistica di sinistra: incantava il consiglio comunale parlando di “Trento capitale”, ammaliava con la sua squisita cortesia i singoli consiglieri, lusingati della familiarità concessa da un luminare, e nell’89 licenziava un Prg che apriva porte e finestre agli speculatori, a cominciare da Pietro Tosolini, personaggio notissimo in tutta la regione per la disinvoltura dei suoi affarismi immobiliari.

A Rovereto invece fu la volta di Pierluigi Cervellati, numero uno dell’urbanistica “rossa”: il Prg conseguente, denominato Bruschetti-Cervellati (il primo nome è quello dell’assessora diessina all’urbanistica) con incredibili concessioni agli speculatori lagarini (vedi le villette in località Consolata) per anni è risultato nelle competizioni elettorali l’atout in mano a destre e liste civiche per ridicolizzare la pretesa limpidezza amministrativa della sinistra. Infine a Trento ha fatto una fugace apparizione anche il celebrato Vittorio Gregotti: per un progetto nelle aree inquinate ex-Sloi e Carbochimica in cui, in controtendenza rispetto alle aspettative e al piano del commercio che prevedeva quartieri “dolci” attorno a strade commerciali pedonabili, disegnava torri e ipermercati sotterranei.

È un destino delle nostre città?

Forse la colpa non è solo degli urbanisti double-face. Perché, quando a Rovereto, per rimediare alle disgrazie di Cervellati, approdò Stefano Boeri (oggi, per inciso, candidato alle primarie a sindaco di Milano per il PD) che non stette al gioco degli immobiliaristi, fu messo in un angolo.

E la stessa cosa accadde a Trento, quando per rimediare agli sbreghi di Vittorini fu chiamato dal Politecnico di Milano Alberto Mioni, che con i trentini Renato Bocchi e Sergio Zanon formò la squadra dei “tre saggi”: saggi, onesti, ma non furbi, in breve invisi agli speculatori e quindi ai politici (sindaco pro forma Pacher, sindaco effettivo Dellai, assessore Andreatta) e in breve allontanati. E soppiantati da Busquets. E così il cerchio si chiude.

Case Itea: perché no?

In Trentino si è ormai consolidata una discutibile prassi: l’Itea una parte delle nuove abitazioni non le costruisce, le compera. Pagandole ovviamente di più. In cambio non c’è bisogno di individuare aree per l’edilizia popolare, evitando così di scontentare diversa gente. E gli immobiliaristi piazzano al pubblico gli appartamenti che non riescono a vendere; e Pantalone paga.

A Canova, come abbiamo spiegato, doveva sorgere un quartiere Itea. Poi Busquets ha cambiato tutto e sorgerà edilizia privata. A questo punto si è fatta avanti l’Itea, che ha sempre fame di appartamenti e aree non ne ha mai abbastanza, sondando il terreno per acquistare dai privati. Ma la circoscrizione ha detto no.

“Trento Nord ha già dato. Abbiamo una concentrazione di immigrati più alta che nel resto della città (12% contro 8%) - ci ha detto il presidente Paolazzi - E a parte gli immigrati, gli inquilini Itea sono, per definizione, socialmente deboli. Se noi ne concentriamo troppi, creiamo situazioni difficili”.

Noi non siamo d’accordo, anzitutto sugli immigrati. E non facciamo un discorso buonista, facciamo parlare i fatti. Agli appartamenti Itea si accede attraverso graduatorie; che sono due, una per i cittadini comunitari, una per gli extracomunitari, e questa ha diritto a solo il 10% dei posti. Quindi agli immigrati andrà solo il 10% degli appartamenti; a questi, per avere il totale degli inquilini di diversa cultura, ci saranno da aggiungere i rumeni, che sono comunitari. Ma la percentuale totale, con buona pace dei razzisti nostrani, non è di sicuro elevata.

E invece, cosa succederà negli appartamenti gestiti dai privati? Lì non ci sarà nessun tetto: ed è facile prevedere che, in una zona non certo à la page, gli appartamenti affittati a extracomunitari saranno numerosi, se non la maggioranza. Né ci sarà alcun limite al numero di inquilini per appartamento.

“Aggiungerei un altro aspetto - ci dice la presidente dell’Itea Aida Ruffini - Nelle nostre case ci sono regolamenti, che facciamo rispettare attraverso ispezioni anche rigorose. Per gli ospiti stranieri è un primo contatto con la nostra cultura e le limitazioni che, spesso diverse da quelle del paese d’origine, essa pone.” Il che accade con maggiori difficoltà nei condomini privati.

“Non basta. Nei casi più delicati, come il maxicondominio di viale Trento a Rovereto - aggiunge Ruffini - ci premuriamo di far intervenire delle associazioni di volontariato, per agevolare l’integrazione, favorire la convivenza, far nascere un senso di piccola comunità”.

Forse la situazione non è proprio così rosea. Comunque in un quartiere popolare, il timore dei barbari nell’edilizia pubblica è in massima parte infondato. Anzi, più problematiche possono essere le situazioni in cui privati senza scrupoli ammassano frotte di inquilini in poche stanze.

In conclusione: contrastare le case Itea non è molto sensato.