Votati (d)a qualche santo: le statistiche sorridono?
I numeri del Trentino. Davanti all’Italia e addosso all’Europa, il diritto e il rovescio del benessere.
Il Trentino è benedetto da Dio. Dio ha creato queste montagne, così solide, e alte, e senza paura. Dio ha creato questi uomini asciutti, anch’essi solidi e senza paura, anche se un po’ meno alti. Dio ha creato i santini che tutti questi uomini, qui, tengono in tasca: per proteggere, benedire, ammantare, certificare. Gli uomini, poi, hanno creato questa foresta di case, caserme e ciminiere. Hanno messo radici sopra e sotto il terreno, bruciato l’anidride per produrne altra. Bruciato il denaro per produrne altro.
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Il Trentino si caratterizza indubbiamente per un elevato livello di benessere economico. Non solo il reddito mediano è superiore a quello nazionale, ma elevato è anche il grado di omogeneità della distribuzione dei redditi individuali e famigliari. Se consideriamo i valori assunti dal coefficiente di Gini (indicatore statistico della diseguaglianza di distribuzione) che oscillano tra 0 (perfetta eguaglianza) e 1 (massima disuguaglianza), l’intensità delle disuguaglianze assume in Trentino un valore pari a 0,28. Un confronto con gli altri Paesi europei mostra come la provincia di Trento si avvicini maggiormente alle realtà scandinave piuttosto che al resto dell’Italia.
Bassa è anche l’incidenza della povertà monetaria, così come è limitata quella di fenomeni di deprivazione materiale. I trentini, in altre parole, possono permettersi televisori, computer e forni a microonde, e non sono costretti a privarsi di una cena con gli amici o a rinunciare al riscaldamento durante l’inverno. Non sappiamo, ovviamente, se poi a cena costringano gli amici ad offrire. Prendendo come soglia di riferimento il reddito mediano nazionale (cioè quello del 50% della popolazione), la quota di soggetti poveri si ferma ad una percentuale pari al 3,5%, ponendo il Trentino in una posizione addirittura migliore di quella della Svezia. Gli indicatori, quindi, proiettano del Trentino un’immagine di sostanziale benessere e danno respiro all’agognata impronta europeistica. Se ad essere utilizzati, come indicatore del livello di benessere, sono i consumi, il numero si accresce, ma la stima, in questo caso, risulta distorta dalla propensione al risparmio dei soggetti.
Il rione è una sequenza di palazzi compatti e vetri luccicanti. Dieci anni fa, qui c’era solo la campagna. Poi il Capo ha dato il via libera alle danze: alla costruzione di un nuovo quartiere “che permetta alla città di riappropriarsi di una zona finora slegata e disunita..., un luogo dell’identità cittadina che si rinnova..., improntato alla sostenibilità ambientale”. Uno spazio di integrazione: tra l’architettura e l’ambiente circostante, tra il centro e la periferia, tra chi è nato qui e gli stranieri moltiplicatisi nel corso degli anni.
Il risultato, a dire il vero, è una mescolanza di torri e palazzi stile DDR. Tutti gli edifici sono nelle mani dei soliti proprietari, reggenti dell’oligarchia, che vendono o affittano a prezzi proibitivi. Che affittano o vendono a gente che lavora dalle 8 alle 17 per il Capo, in uffici costruiti con rigidi criteri antisismici: nessun licenziamento, nessuna progressione di carriera, qualche riparabile crollo psicologico.
Ciascun appartamento è circondato da altri appartamenti, del tutto simili, come la casella colorata di un cubo di Rubik. Io sono il solo laureato che vive nello stabile. Non che la cosa mi qualifichi: non sono più bravo, per questo, a spazzare la neve dal balcone, d’inverno, né a svincolarmi dalle polemiche durante le infinite assemblee condominiali. Ma è una nota di colore. Anche mio padre lo era (laureato); così come mio nonno: una famiglia ‘e lezùdi’, non c’è che dire. Il mio dirimpettaio, al contrario, ha una lunga discendenza operaia. Dice di suo padre che era uno “nato e morto in fabbrica”: assunto quasi da bambino, e spazzato via in pochi mesi da un tumore tetraetilico. Non certo il solo: ad essere spazzato via, e ad aver passato la vita nel capannone.
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Se l’Italia, in generale, non brilla per elevati livelli di mobilità sociale tra le generazioni, lo stesso vale per il Trentino. Esistono, tuttavia, sensibili differenze a seconda della classe sociale di provenienza. Non è difficile immaginare in quale direzione queste differenze siano orientate. Particolarmente svantaggiati risultano infatti essere i figli che provengono da famiglie operaie, soprattutto se il loro destino viene posto in relazione con quello dei coetanei del resto del Paese. Il 72% della progenie degli operai qualificati si ritrova nelle medesime condizioni dei genitori: ovvero in fabbrica, dopo un percorso scolastico breve e professionalizzante. E scarse sono anche, contemporaneamente, le possibilità di migliorare la propria posizione sociale nel tempo: fatta eccezione per quella quota (pari al 20%) che riesce ad iniziare la propria carriera lavorativa come impiegato, per tutti gli altri l’unico ascensore sociale di un certo rilievo si dimostra essere il lavoro autonomo. Artigiani e commercianti al dettaglio, in altri termini. Molto più elevato, per contro, è il rischio di dequalificarsi nel giro di poche stagioni. Dopo 10 anni, questo si dimostra infatti essere il destino di quasi un terzo di coloro che avevano iniziato la propria carriera lavorativa come operai qualificati.
Risulta evidente, allo stesso tempo, la necessità di partecipare a meccanismi di formazione continua, anche all’interno del posto di lavoro. Riguardo a quest’ultimo aspetto, sebbene a livello locale la partecipazione alla formazione sia superiore alla media nazionale, la quota di trentini coinvolti (il 9,6% della popolazione attiva) appare ancora contenuta.
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Io lavoro in un ufficio situato nel gigantesco palazzo di vetro che si trova in fondo alla strada di casa mia. L’età media, nel mio ufficio, è di 70 anni. Negli uffici della Provincia, dentro le stanze del Capo, è di 73 anni. Nelle fabbriche, invece, è di 65 anni: perché il lavoro è più logorante; perché il cancro si porta via testa e membra di queste carcasse automatizzate.
I sopravvissuti, quando è tardi, lasciano in squadriglie i loro macchinari e i loro uffici, e si spingono fiacchi verso il bicchiere. Sovrastano il mormorio con urla fragorose e ridanciane, costretti nella consuetudine di un’allegria che non gli appartiene, suggerita e comandata dal Capo.
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L’Italia, in generale, e il Trentino, nello specifico, si caratterizzano ormai da decenni per un generale invecchiamento della popolazione. Nel 2009, il 20% circa della popolazione locale aveva più di 64 anni. In costante crescita, e destinato ad aumentare nel futuro, si mostra essere il rapporto di dipendenza degli anziani con più di 65 anni rispetto agli individui in età lavorativa. Nel 2009 tale indice ha raggiunto un valore pari al 30%, ad indicare che ogni 10 persone, 7 hanno un età compresa tra i 15 e i 64 anni, mentre ben 3 sono oltre i 65. Se poi tale valore viene rapportato solo ai soggetti effettivamente occupati, la dipendenza cresce ulteriormente. Senza entrare nel merito dei discutibili discorsi ministeriali sull’età pensionabile, si rileva quindi che il rapporto tra soggetti attivi e inattivi rischia di diventare, nel tempo, insostenibile. Come problematica può risultare, alla lunga, la differenza anagrafica che già oggi distanzia le fasce più giovani (e festanti) da quelle più anziane (e rigide).
Per la sostenibilità demografica del sistema si dimostra fondamentale, con buona pace del leghismo militante, il contributo degli immigrati. Se infatti il tasso di fecondità si è mostrato lievemente crescente negli ultimi dieci anni, è soprattutto grazie all’apporto (in termini di nascituri) delle donne immigrate. In questo lasso temporale, l’incidenza degli immigrati sul numero di residenti è aumentato di 6 punti percentuali attestandosi all’8,8%.
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Oh, certo, ci sono anche i giovani. Sono gli esattori. Sono coloro ai quali va versato l’obolo settimanale. Sono gli agenti che reclamano l’oro: non per sé, direttamente, ma per i loro padri, e i padri dei loro padri. L’oligarchia. Sono i figli indiretti dell’oligarchia, che indirettamente beneficiano della loro esazione.
Passano tutto il giorno per la strada, estate o inverno. Aspettano la rivoluzione, e ne propagandano una forma istituzionale. “In ogni periodo prima di torbidi e poi di transizione, vengono fuori in numero immenso e soprattutto con una immensa capacità di ricatto e di terrorismo, queste ‘mezze calzette’, che evidentemente pullulano allo stato potenziale (e in tale stato chissà poi cosa fanno) in ogni società. E vengono fuori non solo senza alcun fine logico, ma senza avere neanche l’ombra di una idea: esse semplicemente esprimono con tutte le forze l’inquietudine e l’impazienza, anzi l’insofferenza, generali “. Si contrappongono, con scudi e vessilli, al Capo; e, contrapponendovisi con questa leggiadria, lo legittimano: ne legittimano il potere ed il ruolo.
Il loro ballo si chiama “insurrezione”; ma è un ballo organizzato, nei dettagli, e finanziato dai loro padri - dagli oligarchi dei palazzi. Ospitato nei loro saloni dorati. Danzato su una musica decisa dal Capo.
Passano tutto il giorno per strada e, alla sera, si spostano, come ombre, di casa in casa per raccogliere l’oblazione coatta, appena prima di raggiungere il bar.
Il bar: dove si raccolgono e convogliano, dopo la fabbrica, l’ufficio o la giornata passata a centellinare il sussidio, anche i vecchi lavoratori, rassegnati all’abitudine e ai fiumi di alcol bruciati nella gola. Si ritrovano a contare i vuoti e i caduti.
“Abita ancora a Trento Nord F.M.?”
«No, non...»
“Si è trasferito?”
«No, si è ammazzato.»
Si ritrovano a contare e ricontare. Rapinati dei loro averi da una banda di ragazzini, aspiranti esattori; rapinati della propria storia da scuole come gabbie; rapinati della propria vita dalla fabbrica; rapinati del loro avvenire dal Capo. Annegati nel torrente etilico, fracassati sul suo greto; o appesi ad una corda. Poveri perché ricchi di una ricchezza non loro.
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Halloween è da poco passata e molti trentini hanno aperto le porte delle proprie case a ragazzi mascherati per donare caramelle e dolciumi. Quello che probabilmente il cittadino comune non sapeva era il potenziale rischio al quale stava andando incontro. La nostra provincia si caratterizza infatti per un’elevata incidenza di minori arrestati o denunciati sul totale dei crimini commessi nella provincia. Il Trentino, come riporta l’indagine annuale condotta dal Sole 24 ore sulla qualità della vita, si posiziona in fondo alla classifica, all’84° posto su 107. Bisogna fare molta attenzione, però, quando si utilizzano certi indicatori. In modo particolare, è necessario considerare sia il numero basso di crimini commessi in Trentino, sia la maggiore efficienza da parte della giustizia nel perseguire un crimine rispetto a quanto accade in altre realtà italiane che quindi, per inversione, si collocano in una posizione migliore. A nostro modesto avviso, quindi, con 16,5 minori arrestati e denunciati ogni 1.000 reati commessi, crediamo non sia ancora giunto il momento di barricarsi in casa.
Altro dato interessante, quello del consumo di alcolici, in una terra dove la gradazione è una tradizione (e spesso un legante sociale). A questo proposito, è necessario porre una distinzione tra bevitori abituali e occasionali. Come rileva l’ISTAT, se il Trentino, con il fondamentale apporto dei vicini alto-atesini, fa registrare un’invidiabile seconda posizione, a livello nazionale, per il numero di coloro che annualmente fanno uso di alcolici (indipendentemente dalla frequenza), diversa è la situazione se si prende in considerazione la quota di consumatori quotidiani. In questo caso, sorprendentemente (verrebbe da pensare), la provincia occupa una delle ultime posizioni in Italia. Non sappiamo se questo dipenda dal fatto che i trentini bevano solamente 6 giorni su 7, o a giorni alterni, per non dare nell’occhio.
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Trento è benedetta da Dio: è una perla intrappolata nel cuore delle Alpi. Irraggiungibile: senza strade ad alta velocità, senza treni ad alta velocità, senza velocissimi aerei. Niente.
E nemmeno c’è il lungomare.
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Trento ed il Trentino sono benedetti da Dio e dalle statistiche. Ma, lo sappiamo, non di soli numeri, o sola religione, è fatta la giornata.
I dati per i quali non è stata specificata la fonte sono tratti dal “Rapporto sulla situazione economica e sociale del Trentino 2009” a cura dell’Osservatorio permanente per l’economia, il lavoro e per la valutazione della domanda sociale.
Distribuzione dei redditi equivalenti
Coefficiente di Gini. Anno 2006. Area geografica
- Trentino 0,28
- Italia 0,35
- Germania 0,27
- Danimarca 0,24
- Svezia 0,24
- Finlandia 0,26
- Francia 0,27
- Irlanda 0,32
Tabella tratta dal “Rapporto sulla situazione economica e sociale del Trentino 2009”.
Il coefficiente di Gini, introdotto dallo statistico Italiano Corrado Gini, è una misura della diseguaglianza di una distribuzione. È spesso usato per misurare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito o anche della ricchezza.
Tavola di mobilità intergenerazionale alla prima occupazione in Trentino
Origine sociale | Prima occupazione | |||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|---|
1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | Totale | |
1 | 16,7 | 43,5 | 4,8 | 0,0 | 32,7 | 2,4 | 0,0 | 100 |
2 | 7,5 | 45,5 | 3,0 | 0,6 | 40,0 | 2,6 | 0,6 | 100 |
3 | 5,0 | 26,0 | 17,7 | 0,8 | 47,3 | 2,3 | 1,0 | 100 |
4 | 1,1 | 16,1 | 2,3 | 18,1 | 57,0 | 0,9 | 4,6 | 100 |
5 | 2,3 | 19,5 | 2,0 | 0,8 | 72,1 | 1,5 | 1,7 | 100 |
6 | 1,5 | 19,4 | 3,9 | 0,6 | 68,8 | 3,8 | 2,0 | 100 |
7 | 1,5 | 9,0 | 2,2 | 5,2 | 70,1 | 1,5 | 10,4 | 100 |
Legenda: 1 imprenditori, liberi professionisti e dirigenti; 2 impiegati direttivi, di concetto ed esecutivi ad alto livello di qualificazione; 3 artigiani e commercianti; 4 coltivatori diretti; 5 lavoratori manuali e non manuali specializzati; 6 lavoratori manuali e non manuali a basso livello di qualificazione; 7 operai dell’agricoltura.
Nota: la classe d’origine corrisponde alla classe occupazionale del padre (o della madre) quando l’intervistato aveva 14 anni.
Fonte: tabella tratta dal Rapporto sulla situazione economica e sociale del Trentino 2009.
La tabella di mobilità precedente deve essere letta per riga. Essa indica, in termini percentuali, la posizione sociale alla prima occupazione del soggetto in base alla classe sociale di origine. Pertanto, la prima riga (quella che presenta l’etichetta “1”) mostra la condizione sociale dei figli degli imprenditori, dei dirigenti e dei liberi professionisti al loro primo impiego. I dati mostrano come il 16,7% sia rimasto nella medesima condizione dei genitori, il 43,5% sia diventato un impiegato direttivo, di concetto o esecutivo di alto livello di qualificazione, il 4,8% un artigiano o commerciante, il 32,7% un lavoratore manuale o non manuale specializzato e il 2,4% un lavoratore manuale o non manuale a basso livello di qualificazione.
N.B. A volte il totale si presenta arrotondato a 100, probabilmente a causa del software utilizzato. Noi abbiamo lasciato i valori originali presenti nel rapporto.
Minori arrestati e denunciati/1000 punibili - 2008
Posizione | Provincia | |
---|---|---|
80 | Asti | 15,6 |
81 | Lucca | 15,8 |
82 | Verbania | 15,9 |
83 | Ravenna | 16,2 |
84 | Trento | 16,5 |
85 | Udine | 16,6 |
86 | Crotone | 16,6 |
87 | Pescara | 16,7 |
88 | Forlì | 16,9 |
89 | Terni | 17,0 |
90 | Rimini | 17,4 |
La classifica è tratta dal dossier sulla Qualità della vita 2009 de Il sole 24 ore.
In questo caso, il risultato è calcolato semplicemente rapportando il numero di minori arrestati e denunciati al numero di reati commessi. Il Trentino si caratterizza per 16,5 minori arrestati o denunciati ogni 1.000 reati commessi. Rimini, che si posiziona al 90° posto, per 17,4 minori arrestati o denunciati ogni 1.000 reati.