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Fuori dalla Fortezza europea

Appunti di un viaggio in Bosnia

Sarajevo

Due colonne ed un cognome già sentito, Ibrahimovic, figlio di Ibrahim. Non è la Gazzetta dello Sport, ma la stele del memoriale di Potocari, l’imponente cimitero che ospita circa metà delle 8372 vittime del peggiore massacro dopo la Seconda guerra mondiale, quello di Srebrenica nel luglio del 1995. Il famoso calciatore milionario Zlatan (nato il 3 ottobre 1981) se invece che a Malmö (Svezia) fosse stato nell’angusta valle ai confini con la Serbia, al tempo forse avrebbe potuto salvarsi. La follia omicida delle truppe serbo-bosniache di Ratko Mladic risparmiò infatti in quell’estate i musulmano-bosniaci al di sotto dei 15 anni, quelli che si pensava non fossero in grado di tenere in mano un fucile.

A 15 anni dai fatti le donne di Srebrenica faticano a perdonare l’assenza delle istituzioni internazionali, tanto da cacciare i rappresentanti dei caschi blu Onu venuti a commemorare quell’episodio sanguinoso. Difficile poter dare una lettura di quanto accaduto fra 1992 e 1995 nei Balcani, più facile interrogarsi sul ruolo dell’Europa e della comunità internazionale. Qualche idea se la sono potuti creare alcuni ragazzi dell’associazione Mondo Giovani (www.assmondogiovani.it) di Levico, durante un viaggio in Bosnia all’interno di un progetto finanziato dal Tavolo del Piano giovani Zona laghi Valsugana.

Vicino al ponte latino di Sarajevo c’è una targa commemorativa che ricorda l’uccisione dell’arciduca Francesco Ferdinando il 28 giugno 1914, con l’inizio del primo conflitto mondiale. Paradossalmente cent’anni fa era più facile spostarsi all’interno dell’impero. Lo fecero anche, nel 1882, dei contadini trentini da Roncegno, Aldeno e Nave San Rocco, che dopo devastanti alluvioni in Trentino andarono a stabilirsi in Bosnia, quella che sul piano dell’agricoltura doveva essere una terra promessa. Una colonia di 150 persone di origine valsuganotta vive ancora a Stivor, presso Prnjavor, nel nord della Bosnia, a poca distanza dalla Croazia.

Sarajevo: un tunnel che penetra sotto l’aeroporto

Quella zona, non a caso, viene anche detta “piccola Europa”, dal momento che ci convivono ben 22 nazionalità diverse dell’ex impero austroungarico. Irene Andreatta vive a Roncegno e ogni tanto torna a Stivor, dove è nata, per far visita alla mamma. “Quando le chiedevano se voleva andare in Europa lei rispondeva: ‘Perché, se l’Europa ce l’ho in casa?’”. Irene ha conosciuto “Fortress Europe”, la fortezza europea, nei primi anni Novanta. Durante la guerra balcanica tornò a casa sua, a Roncegno, cercando lavoro. Valsuganotta nel sangue, nel dialetto, nei ricordi, ma per la legge extracomunitaria. “Sono nata in Jugoslavia, quindi per cercare lavoro dovette muoversi un deputato, perché mi venisse riconosciuto il permesso”. Straniera a casa propria.

Dai giovani agli adulti la lamentela che più ci sentiamo rivolgere dai bosniaci è questa: “Noi non possiamo muoverci”. La Bosnia è ancora al di fuori dell’accordo di Schengen, quindi per poter uscire dai confini serve una lunga trafila di visti. Per noi italiani basta la carta d’identità. Alla frontiera croato-bosniaca i controlli sono più certosini, si stanno preparando all’allargamento dei confini della Fortezza, visto che nel 2012 la Croazia dovrebbe entrare nell’Unione.

L’Europa dimenticò, mostrando in seguito evidenti sensi di colpa, questo triangolo di terra nei Balcani nel 1995 e rischia di lasciarlo un po’ da parte anche oggi.

Paura economica o demografica? In Bosnia vivono 4,5 milioni di persone e se si è deciso di allargare l’Unione alla Polonia (38 milioni), non saranno di certo i bosniaci a turbare gli equilibri.

Forse, ahimè, si tratta di una questione religiosa. Al centro di villaggi in mezzo al verde, dove l’agricoltura è soprattutto di sussistenza, infatti svetta talvolta un minareto.

Le guerre balcaniche hanno posto fine ad una virtuosa convivenza di tre gruppi (croati, musulmano-bosniaci, serbi) che all’interno della Jugoslavia si mescolavano. Il centro di Sarajevo ne è un esempio: cuore musulmano, con bazar che tanto ricorda quello di Istanbul, quindi zona austroungarica (palazzoni in stile viennese con chiese gotiche), infine periferie più moderne, ma da Paese sovietico.

Dopo la questione dei permessi di viaggio, la seconda preoccupazione è quella dello sviluppo politico-economico in un Paese nel quale vi sono tre presidenti ed un governo poco incisivo. Con all’orizzonte (forse nel 2011?) un censimento etnico e l’utilizzo della proporzionale per la spartizione dei posti di lavoro pubblici.

Sarajevo: un panorama, dove spiccano le dimensioni del cimitero

Ma se in Alto Adige vi sono tre lingue tra loro differenti, come italiano, tedesco e ladino, in Bosnia non si può dire lo stesso. Le tre lingue non sono tanto diverse. Divisioni artificiose, quindi. Poi immaginatevi un Alto Adige/Südtirol con un governo non modulato tra i gruppi etnici, ma con tre differenti repubbliche e tre differenti presidenti. Sarebbe il caos.

Eppure l’Europa chiede alla Bosnia-Erzegovina di diventare uno stato unitario, di superare le divisioni che anche gli accordi internazionali (Dayton, 21 novembre 1995) hanno aiutato a fomentare. Poi ci pensa il Fondo monetario internazionale, con il suo programma di tagli e privatizzazioni, a complicare la situazione. La disoccupazione, soprattutto quella giovanile, in Bosnia-Erzegovina è altissima, supera il 50%. Difficile pensare ad uno sviluppo favorito dalla svalutazione della moneta (come fa ad esempio la Cina), visto che la valuta bosniaca è il marco convertibile, che ricalca il vecchio marco tedesco. Un euro è stabilmente pari a 1,95883 marchi.

Un paese difficile per la povertà delle infrastrutture, che rende gli spostamenti complicati.

Incontri

il cimitero di Potocari, dove sono sepolti i morti di Srebrenica

Durante la settimana organizzata da Viaggiare i Balcani (www.viaggiareibalcani.it) ci sono state diverse esperienze positive e incontri interessanti.

Il generale Jovan Divjak, considerato un criminale di guerra dai serbi perché, pur essendo di origine serba, provò a difendere Sarajevo durante l’assedio tra il 1992 ed il 1995, oggi è un simpatico pensionato con un grande senso dell’umorismo, che dedica il suo tempo all’associazione “Education builds Bosnia-Herzegovina” (www.ogbh.ba.com), ente che supporta con borse di studio il cammino formativo di tanti giovani bosniaci, grazie alle donazioni internazionali.

A Tuzla invece ci fa da interprete Milly Serifovic, 23 anni, con tanti amici italiani ed una stagione lavorata a Cervia. Orfano dei genitori, può frequentare l’Isef a Tuzla e seguire la sua passione per la bicicletta grazie all’aiuto di Tuzlanska Amica (www.yabih.org) e nello specifico del progetto di adozione sostenuto da enti pubblici emiliani Adottando (www.adottando.org). Milly, come altri giovani, non vede la Bosnia divisa in tre recinti e quest’anno ha ricordato i 15 anni dall’eccidio di Srebrenica con una lunga staffetta in bicicletta.

A Prijedor veniamo ospitati all’interno del centro giovanile. Mario Dosen, uno dei responsabili dell’associazione umanitaria “Cuore puro”, parla di un progetto coraggioso ed intergenerazionale: trovare disponibilità e fondi per creare una mensa per poveri e anziani. Le pensioni infatti vanno tra i 100 e i 200 euro al mese, perciò molti non hanno la possibilità di passare una vecchiaia serena.

Infine a Prijedor, Stivor e Martinbrod è attiva un’interessante esperienza di “albergo diffuso”. Viene proposta dall’Associazione Promotur. A Prijedor, ad esempio, vi sono 15 famiglie che offrono la loro disponibilità per dare alloggio o ristorazione a prezzi molto contenuti per i “turisti responsabili”. Una buona occasione di integrazione al reddito, nata all’interno del Progetto Prijedor (www.progettoprijedor.org).

Un’altra notizia dell’ultim’ora potrebbe però riaccendere la speranza. Questo mese i ministri degli interni dell’Unione Europea si incontreranno per discutere sulla rimozione dell’obbligo di visto per i cittadini diBosnia ed Albania. Nel dicembre 2009 l’obbligo fu rimosso per Serbia, Montenegro e Macedonia.