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QT n. 3, marzo 2010 Monitor: Arte

Dalla scena al dipinto

Quando la pittura andava a teatro

Il quadro “L’orchestra dell’Opéra”, realizzato da Degas nel 1870, scelto come immagine simbolo della mostra “Dalla scena al dipinto” (Mart, fino al 23 maggio), è un pezzo di indiscutibile richiamo, ma è anche un’opera cruciale nella storia che qui si vuole raccontare: il segno di una svolta radicale nel rapporto tra i pittori e il teatro, in un’epoca, l’Ottocento, in cui il melodramma era divenuto il più popolare genere di comunicazione. C’era però un’altra forma espressiva che si avvicinava a questa popolarità, ed era la pittura di storia.

La mostra ci racconta, partendo dalla seconda metà del Settecento, la potente influenza della produzione teatrale sulla pittura di storia - quando addirittura non ne divenne oggetto privilegiato - e quanto il teatro continuò a suggestionare i pittori anche dopo il tramonto di quel genere pittorico.

“Il giuramento degli Orazi”, dipinto da David a ridosso della Rivoluzione francese, nel 1784, che apre il percorso della mostra, dice molto di ciò che l’estetica neoclassica in pieno sviluppo intendeva come compito dell’artista: scegliere un episodio di storia antica come modello di comportamento civile (“exemplum virtutis”) valido per il presente. In sintonia col teatro di Corneille, e adottando un linguaggio che si libera dagli eccessi ornamentali del Barocco, David - di cui si disse che era come uno spartano in pittura - mette in scena il contrasto (e la supremazia) tra l’impegno civile e gli affetti familiari (il gruppo degli uomini sceglie di sacrificarsi per la repubblica, malgrado il dolore delle donne nell’altra parte di una scena che appare come sdoppiata). È una pittura politicamente “impegnata” nel contenuto, pienamente accademica e “teatrale” nel linguaggio, rappresentata in mostra da una serie anche troppo numerosa di opere (non sempre altrettanto impegnate, né così efficaci nel linguaggio, ma cariche di intenti didascalici), provenienti soprattutto dai musei francesi (la mostra, ideata da Guy Cogeval, è coprodotta con musei di Marsiglia e Toronto ed ha il sostegno del Musée d’Orsay di Parigi).

Diverso è ciò che accade, nella stessa epoca, in ambito inglese, dove il teatro di Shakespeare ispira profondamente una generazione di pittori. Tra di loro spicca Heinrich Füssli, il quale non si accontenta di trasporre una scena teatrale in pittura (talvolta fa anche questo, ma il suo “Lear caccia Cordelia”, a dispetto delle dimensioni, non pare il maggiore dei suoi quadri qui esposti, ancora subordinato come è all’azione teatrale) e sviluppa invece un più raffinato linguaggio visionario, liberamente immaginifico, un “classicismo allucinato” come si disse, che ci immette ormai in un clima pre-romantico. Anche la componente fantastico-fiabesca trova nel shakesperiano “Sogno di una notte di mezza estate” un potente stimolo, e il tema della compresenza di uomini e animali e di esseri di diversa dimensione verrà ripreso ad esempio nell’opera molto più tarda di Landseer (“Titania e Bottom”, 1848) che pare anticipare i sapori dell’Alice di Carroll.

Il passaggio alla piena sensibilità romantica è segnalato dal fatto che, senza rinunciare ad attingere alla storia, ed anzi privilegiando l’epoca medievale, sia il teatro che i pittori accentuano gli aspetti di dramma intimo, sentimentale dei fatti narrati. Lo vediamo ad esempio nel francese Delaroche (“I figli di Edoardo”, 1831, che all’epoca fece scalpore) ma ancor più nell’intera opera dell’italiano Francesco Hayez, il cui legame col melodramma (verdiano e non solo) è forse l’esempio più estremo di rapporto organico tra arte e teatro, a suo tempo severamente criticato da Argan e da Eco che lo indicò come “un modo di far rivivere emozioni estetiche provate a teatro”. A questo proposito, nel dipinto “Il tenore Giovanni David”, del 1830, si può osservare l’evidente intento di Hayez di celebrare la scena teatrale e i suoi interpreti in quanto tali, e non solo di assumerne i temi, la ricerca di effetti, le cadenze.

Degas, come abbiamo anticipato - e con lui l’occhio caricaturale di Daumier - rappresenta la svolta: al centro del suo interesse non è più ciò che avviene sulla scena, ma quello che accade dietro, davanti, intorno. Basta coi modelli di virtù o malvagità desunti dalla letteratura o dal teatro, adesso irrompe nel quadro la vita contemporanea, l’istante qualunque.

Poi ci sarà la ripresa d’interesse dei simbolisti, di Moreau: ma il rapporto col teatro sarà ormai tutta un’altra storia.

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