Nella repubblica delle baiane
Dopo un anno a Salvador de Bahia. Continua il viaggio attraverso le contraddizioni che rendono vitale questa città.
Salvador de Bahia, nonostante sia considerata una delle mete più interessanti degli itinerari turistici brasiliani, lascia deluso il turista classico, quello del viaggio all inclusive. Perchè non è una città per turisti, soprattutto se pigri o poco curiosi. E poi per amarla non bastano due settimane o un mese. È troppo semplice e al tempo stesso complicata, Salvador.
Troppa la miseria e troppa la bellezza. Troppo vicine l’una all’altra. Sempre pronte ad accarezzare o a mordere. È la città delle coppie: gioia e dolore, festa e tragedia, bianco e nero, anima e corpo, sacro e profano, innocenza e malizia. Bellezza e miseria.
Al Pelorinho, il quartiere coloniale e principale meta turistica, il gringo (come qui chiamano indistintamente tutti gli stranieri) può già farsi un’idea di cosa sia questa città delle coppie. Il quartiere è stato sistemato anni fa nelle sue vie principali, e solo in quelle, dal politico AntÔnio Carlos Magalhães, che una importante guida turistica italiana ha definito l’Andreotti brasiliano. Un’altra guida lo ha chiamato il Berlusconi brasiliano.
In realtà, se proprio vogliamo dare una definizione di A.C.M., come lo chiamano tutti, potremmo dire che è stato un John Kennedy tropicale e conservatore, rispettato perchè temuto, con molti lati oscuri e la cui dinastia ancora fornisce politici. Magalhães, padre-padrone della città negli anni Settanta e Ottanta, ha capito che il Pelorinho poteva essere il richiamo turistico della città, ma la sua intuizione si è fermata per strada. Come le tante persone che notte e giorno si aggirano vagabonde.
Bellezze e miseria
Il Pelò, come è amichevolmente chiamato dai baiani, esplode di energia il martedì sera con la “Terça da Bençao”. E puntuale ogni martedì il cantautore Geronimo suona e canta con il suo gruppo per centinaia di persone (turisti ma anche tantissimi giovani baiani) assiepate sulla lunga scalinata del Carmo. Finito il concerto, è il momento degli ensaios, le prove, in realtà veri e propri concerti dei gruppi di samba e axè che sfileranno al Carnevale, degli Olodum e dei gruppi itineranti di percussionisti che sfilano per le stradine scoscese e acciottolate.
E oltre che nella musica è facile imbattersi in tutta una serie di interesanti manifestazioni culturali. Insomma il Pelorinho esplode di energia pura e accontenta tutti con musica e colori, elaborate acconciature rasta e tamburi, astuto folklore e autentica coscienza negra.
Ma è negli altri giorni che il turista si accorge di ciò che non si aspetta e che invece il baiano conosce bene. Cioè che se non ci sono feste o manifestazioni, girare dopo le otto di sera al Pelò è un’impresa simile a un percorso di guerra. Con le poche vie sistemate da A.C.M., che diventano pericolose, come i vicoletti scrostati e odorosi di piscio in cui vive un’umanità forse pittoresca, ma sicuramente disperata. Posteggiatori abusivi che vendono marijuana, donne e coca, ragazzini storditi da crack e colla, prostitute e paraprostiute, e i famosi cacciagringas (prestanti ragazzi di colore specializzati nel sedurre le pallide e adoranti europee e statunitensi).
Iemanjà, anima e corpo
Ma chi vive a Salvador, e anche il turista coraggioso (perché qui un po’ di coraggio ci vuole) scopre che la vera Salvador è fuori dal Pelorinho. Ed è qui che i contrasti diventano ancora più forti. Come quello di sacro e profano.
È normale vedere affiancato, nello stesso edificio, un salone di bellezza, con un battaglione di ragazze intente a limare le unghie e lisciare capelli e a lato una chiesa appartenente a uno delle centinaia di confessioni religiose presenti in Brasile.
A Iguatemì, il quartiere commerciale, una delle chiese più discusse e potenti del Brasile, l’ evangelica “Nosso Senhor do Reino de Deus” è stata costruita, mastodontica, nel bel mezzo di una tangenziale, con a fianco la brulicante stazione degli autobus.
Un altro esempio di sacro e profano lo troviamo a Rio Vermelho, il quartiere più festaiolo, bohemio come lo chiamano qui, della città. Nei pressi della bella spiaggetta sorge una costruzione dedicata a Iemanjà, la principale divinità del candomblè (il culto sincretico che mischia cattolicesimo e culti animisti africani). Questo edificio, a forma di piccola e coloratissima chiesa, è per metà luogo di culto di Iemanjà, raffigurata come prosperosa sirena, e per metà mercato del pesce. Insomma qui si viene a omaggiare Iemanjà e a comprare il pesce.
A Salvador, città delle coppie, anima e corpo non si possono scindere. Iemanjà stessa ne è un esempio. Questa dea viene tradizionalmente accostata alla Madonna, ma è al tempo stesso indizio della profonda differenza esistente tra la cultura europea e quella centro-africana. Mentre nella figura della Madonna viene posto in evidenza il lato virginale e incorporeo, in Iemanjà emerge il lato di femmina fertile. Iemanjà è una sirena dalle forme voluttuose, pronta ad accogliere chi entra nel suo mare.
In un’altra piazzetta di Rio Vermelho c’è una statua di Iemanjà con un seno enorme, a cui fa da contrappeso, e che impedisce letteralmente alla statua di cadere, un sedere altrettanto formoso.
E tantissime altre riproduzioni di questa divinità ne esaltano le rotondità femminee. Eppure questa sua femminilità esondante nulla toglie a ciò che di più profondo rappresenta e rimane la figura più amata dalle donne del candomblè.
Brasile e Europa
Questa esigenza di unire “anima e carne” oltre che nella fiducia profonda in Dio o nelle divinità del candomblè si manifesta nella gioia, quasi estatica, che esplode durante le numerosissime feste e danze, sacre e profane.
Nella nostra vecchia Europa anima e corpo sono stati divisi dalla cultura e dalla società tanti secoli fa e ancora oggi si fatica a ricomporli. In Brasile, e soprattutto nel Nordest, che è il luogo in cui l’influenza delle culture di origine centro-africana è più forte, questa inscindibilità è tutt’ora preponderante. Nonostante le iniezioni sempre più invasive a base di ketchup e shopping center che provengono dagli Stati Uniti, a Salvador anima e corpo hanno ancora un bisogno reciproco.
In ognuna delle manifestazioni che si legano al corpo e al movimento, che sia giocare, lavorare, danzare, baciarsi, fare l’amore, c’è la ricerca di un qualcosa di quasi sempre genuino, in cui sono assenti inutili cerebralismi.
Nei volti di chi danza il samba, con i suoi movimenti sinuosi e sensuali, c’è una ricerca della felicità personale, senza ambizioni di salvezza forse, ma che parte dal corpo e arriva chissà dove.
Tutto questo mentre nella vecchia e stanca Europa ancora esiste e resiste il balletto classico, che fin dagli esordi bloccò il movimento del bacino, considerato peccaminoso. E viene da pensare che non sia un caso che da qualche anno sempre più europei siano interessati ai ritmi e alle danze dei balli latini.
Eppure nella città delle coppie, sembra un paradosso ma non lo è, c’è un protagonista assoluto. Il motore, ciò che fa funzionare la città: la donna. A fronte di uomini spesso assenti o eterni ragazzi la donna baiana attraversa la vita con l’eleganza tutta africana del suo andare, a testa alta. Nonostante abbia molto da fare perché, “oltre che prendersi cura dei bimbi e fargli le carezze, deve lavorare”, come canta Chico Cesar in Mama Africa, splendido inno alla forza dell donna di Bahia.
Attenzione maschi: qui siamo nelle repubblica delle baiane.