Capolavori della modernità
Da Winterthur a Rovereto
La nuova mostra “soft” del Mart, quella per intenderci che annualmente attira il maggior numero di visitatori, è incentrata su 240 capolavori del Kunstmuseum di Winterthur, acquistati dalla Società di Belle Arti della città svizzera fin dalla fine dell’Ottocento.
Non si tratta della solita selezione di grandi nomi senza sostanza, ma di un’operazione che di per sé potrebbe essere un’opera di qualche artista concettuale: un museo nel museo. Le sale espositive del Kunstmuseum sono infatti in ristrutturazione: da qui l’occasione pressoché unica di poter attingere a tutti i capolavori della collezione, sviluppando così un percorso qualitativamente forte che dall’impressionismo giunge fino alla contemporaneità.
La mostra, dal taglio cronologico, parte da Boudin e Corot, artisti francesi che più anticiparono, con il passaggio dalla pittura in studio a quella en plein air, la strada poi intrapresa dagli impressionisti. L’amore per la pittura dal vero segna anche alcune opere esposte dello stesso gruppo impressionista, la cui prima esposizione risale al 1874. Tra i vari Degas, Sisley e Pissarro, segnaliamo per la ricercatezza nell’esprimere i vari elementi atmosferici Varengeville, bassa marea (1882) di Claude Monet, mentre per quanto riguarda i post-impressionisti, tra tele di Cézanne e Rousseau, incontriamo uno dei dipinti-icona della mostra, il Ritratto di Joseph Roulin (1888) di Vincent Van Gogh, sintetizzato con estrema naturalezza in una bicromia giallo-blu. La stessa intensità di cromie ritornerà due decenni dopo nelle opere dei fauves Vlamink e Marquet, ambedue documentati in mostra.
Seguono le sale dedicate alla linea romantico-simbolista, che da Delacroix giunge fino alla pittura onirica di Odilon Redon e di Ferdinand Hodler. Di quest’ultimo, tra i maggiori pittori svizzeri della modernità, sono esposti alcuni intensi paesaggi e una vasta tela fortemente evocativa, Sguardo sull’infinito. Rimanendo in ambito simbolista, tra i numerosi dipinti di Félix Vallotton, di particolare interesse risulta il Pont Neuf (1901), opera nella quale traspare il tema della brulicante folla urbana, già al centro dell’opera di Pissarro esposta nelle sale precedenti. Proseguendo nella successione delle sale, dalla spiritualità universale si passa, con la schiera dei pittori Nabis (Denis, Vuillard e soprattutto Bonnard) a una pittura fortemente intimista, fatta di tremolanti paesaggi introspettivi ed evanescenti interni domestici dominati da un senso di quiete e candore.
Nelle sale successive si incontrano alcune opere realizzate delle principali avanguardie artistiche d’inizio secolo: il surrealismo di Ernst, Tanguy e Magritte, che con Il mondo perduto (1928) apre alle ricerche verbo-visuali; la Neue Sachlichkeit e la sua teatralmente algida analisi della realtà, a tratti affine alla Metafisica, come in Fantasia (1921) di Niklaus Stoecklin; il cubismo, con Picasso, Gris e molte opere di Léger; infine l’astrattismo, sia nella versione lirica di Kandinsky e Klee, sia in quella più geometrica di Dalaunay, Van Doesburg e Mondrian.
La parte conclusiva della mostra è dedicata alle ricerche della seconda metà del Novecento. Di particolare rilevanza il filone neo-espressionista, con i forti cromatismi di Dubuffet, Jorn e Appel, e l’espressionismo astratto di Guston, Chamberlain e soprattutto Tobey. Tra gli italiani, oltre a lavori di Manzoni, Fontana, Kounellis, Paolini, Fabro e Merz, va senz’altro evidenziato un importante nucleo di tele di Giorgio Morandi (in occasione di una personale a Winterthur, Morandi compì nel 1956 il suo primo e unico viaggio oltre confine), mentre per la contemporaneità si segnala un gruppo di dipinti del tedesco Gerard Richter.
Accanto alle opere pittoriche il percorso è costellato anche da svariate sculture di Maillol, Medardo Rosso (il suo Ritratto di Henri Rouart del 1890 è la più grande scultura mai eseguita dall’artista), Picasso, Arp, Calder (occhio a non perderla, è appesa al soffitto!), Schwitters, Pevdner, Brancusi, Giacometti e altri.