Salvador de Bahia: l’energia delle contraddizioni
Una città raccontata in 4 capitoli
Da un anno Antonello Veneri vive e lavora come insegnante a Bahia. Qui prova a tratteggiare attraverso le parole e le foto un ritratto della città.
In nove mesi nasce un bambino, in nove mesi qui a Salvador de Bahia si nasce e si rinasce tante volte. Succede a tutti coloro che vivono e lavorano qui. Succede di capire, per lo meno un po’, questa città, ma poi le convinzioni si ingarbugliano, mutano, e si ricomincia a capirla, a volerle bene, ma da un’altra prospettiva. Ho cercato di organizzare queste prospettive in brevi brevissimi lampi, o capitoli.
La musica
“Quem não gosta de samba bom sujeito não é. É ruim da cabeça ou doente do pé. Eu nasci com o samba, no samba me criei. E do danado do samba eu nunca me separei...” (Chi non ama il samba un buon soggetto non è. Ha problemi di mente o problemi nei pie’. Sono nato col samba, col samba sono cresciuto e dal dannato del samba mai più mi separerò).
Così scriveva, e cantava, Dorival Caymmi, il bahiano che, assieme all’amico scrittore Jorge Amado, ha dato un contributo fondamentale alla divulgazione nel mondo della cultura di questa città (con tutti gli inevitabili e inconsapevoli stereotipi).
Musica e danza, suono e movimento, qui a Bahia sono inscindibili. Nessun genere musicale può essere concepito come entità separata dal movimento e anche quando in teoria lo sarebbe, qui a Bahia lo si piega alle esigenze della danza. E allora può capitare di ascoltare l’Ave Maria di Schubert trasformata in un bellissimo strumentale samba (consigliamo la versione di Jorge Aragão) o di vedere, come è accaduto a chi scrive, nel corso di una rappresentazione della “Traviata” nel TCA (il Teatro Castro Alvez, gioiello acustico della città), il pubblico danzare. Con discrezione certo, ma danzare sulle melodie verdiane.
Qui la musica deve essere energia ed in effetti, il genere più amato a Salvador è l’axè.
Axè è un’antica parola legata all’Africa e al popolo Yoruba e significa proprio energia, potere. Ed effettivamente oggi la musica axè, che in realtà c’entra ben poco con l’Africa e le culture afrodiscendenti, è tutto questo. Energia capace di coinvolgere centinaia di migliaia di persone nei suoi spettacoli e addirittura milioni in occasione del carnevale di Bahia, la più grande festa di strada del mondo. Un vortice umano instancabile (la famosa pigrizia bahiana è una falsa leggenda), pronto a danzare, sudare, baciarsi fino allo sfinimento al ritmo di questa musica prevalentemente pop, fortemente ritmata e con forti influenze reggae e rock.
L’elemento caratterizzante dell’axè è il contesto. Tutti i gruppi musicali suonano dall’alto del trio elettrico, un enorme tir allestito a vero e proprio palco che, sputando watt e ritmi incalzanti, si muove lentamente tra la folla danzante. Con il trio elettrico è la musica stessa a diventare movimento. Come dicevamo, musica e danza non possono essere separate.
Le donne (o l’incontro con la differenza di genere)
Come dice un caro amico italo-bahiano, il prof. Carlo Loria, qui “le donne sono delle lettere S che camminano”. Ed effettivamente la lettera S esprime le forme femminili che passeggiano eleganti per le strade e le spiagge di Bahia. Seni che sfidano la forza di gravità e sederi che sporgono perfetti e amorali. E chiunque, dall’intellettuale più intransigente fino al becero turista sessuale, subisce la fascinazione e viene travolto dalla superiorità fisica e dall’eleganza di questo popolo di origine africana. Sì, perché è proprio l’eleganza, il modo di camminare e di muoversi il segreto della bellezza di queste donne che fanno funzionare la città e spesso sostituiscono uomini assenti.
Eleganza e molto spesso assenza di cerebralità (altrimenti detto, pippe mentali). Mai viste tante persone abbracciarsi, stringersi, baciarsi, litigare come qui a Bahia. Con semplicità e quasi sempre senza le inutili complicazioni della millenaria cultura europea, troppo vecchia e stanca per lasciarsi andare a manifestazioni troppo evidenti dei sentimenti. Qui a Salvador l’equazione dei sentimenti è semplice e allo stesso tempo profonda: ci si piace e quindi si sta assieme, non ci si piace e allora non si sta assieme. Senza complicarsi la vita con l’ipocrita senso di colpa, le attese, i dubbi e le menate.
Ma quando la bellezza delle forme e l’istintualità dell’agire entrano in contatto con un tipo di cultura occidentale basata sul senso del peccato e sul feroce scambio denaro-prestazione, si creano effetti devastanti.
Il turista sessuale
Nessuno rimane indifferente di fronte a questo mix di bellezza e spontaneità. Ma, come dicevamo, il problema è che il turista sessuale, quando si muove, crea danni enormi. Aiutato dalle numerosissime agenzie turistiche che organizzano viaggi “all-inclusive”, segue un modello economico-predatorio ben definito. Individua la preda, sfrutta le necessità (qui la povertà è ancora a livelli altissimi) e i sogni della ragazza, spesso molto giovane, la illude con promesse assurde e una volta tornato in patria, ipocrisia delle ipocrisie, crea e alimenta beceri stereotipi e giudizi sulle brasiliane. Dimenticando di giudicare se stesso. E dimenticando persino di essere un turista sessuale, spesso sostenendo di non avere pagato, ma di avere aiutato la ragazza, offrendole alloggio, cene, vestiti, e altri regali.
Gli italiani sono al primo posto, con ampio margine sui secondi (gli spagnoli) di questa poco onorevole classifica.
La disuguaglianza sociale
Esiste una classe borghese (che rappresenta circa il 15 % della popolazione) bianca, chiusa, razzista e senza cultura. Tutta casa e shopping center, terrorizzata dalla possibilità di perdere i privilegi e barricata nei suoi condomini super protetti e nella sua vita asettica. Il resto della popolazione è povera, mulatta, afrodiscendente e indigena. E rappresenta senza dubbio la parte migliore, vitale di questa città. Ma questa disuguaglianza sociale genera violenza. Molte tra le città più violente del mondo sono localizzate in Centro e Sudamerica.
Eppure, a fronte di tanti problemi, qui c’è un qualcosa di talmente vivo che conquista chi proviene dall’Europa o dal Nordamerica. Un qualcosa che va al di là dell’inevitabile fascinazione per i Paesi tropicali. Un qualcosa che riesce a sorprendere e a far vibrare: due chiacchiere sull’autobus con uno sconosciuto; due mani piccoline e divertite che da dietro le spalle ti coprono gli occhi mentre sotto la pioggia aspetti seduto; passeggiare per le vie dei bahiani, fuori dagli itinerari turistici e sentirsi un pochino come loro; scoprire gli angoli di silenzio in mezzo alla confusione. È in questi momenti che si avverte un’energia forte e misteriosa, costruita sulle contraddizioni e sull’alternanza di pieno e di vuoto, di violenza e dolcezza, di rabbia e amore.
Perché ti piace Salvador? Perché qui è facile sorridere. Immagino sia questa la risposta di chi ha scelto di vivere qui. Non del turista. Salvador non è una città per turisti. Per amarla non bastano due settimane o un mese. È troppo semplice e al tempo stesso complicata, come la parola saudade, che noi traduciamo impropriamente come nostalgia.
Saudade che ti prende ogni volta che devi lasciarla, questa città. Saudade che ti coglie quando la luce si infila tra le case costruite troppo vicine e si riflette sui sorrisi, sui profili allegri e tristi (ma sempre vitali) che si muovono eleganti sulla spiaggia, nella luce morente del giorno che se ne va. Con un senso di struggimento che ti fa pensare che domani forse non ci sarà tutto questo, ma poi la magia, come per magia, si rinnova.