Estate 2008: le mostre del Mart
"Eurasia. Dissolvenze geografiche dell’arte" sulla giovane arte (europea e asiatica) impegnata, sulle orme di Beuys. "Germania contemporanea. Dipingere è narrare" su tre giovani pittori tedeschi. "La raccolta Talamoni. Al centro dell’Informale europeo" su un centinaio di importanti opere (Melotti, Fontana, Savinio, Klee, Kandiskj...) del deposito Talamoni.
D elle quattro mostre che il Mart propone in concomitanza con “Manifesta”, la più ambiziosa è "Eurasia. Dissolvenze geografiche dell’arte" (fino al 16 novembre). Eurasia è il nome che Joseph Beuys, il grande artista tedesco, diede a un ciclo di performances eseguite tra il 1966 e il 1968, un periodo storico ancora dominato dalla guerra fredda ma percorso dalle profonde domande di cambiamento espresse dai movimenti giovanili di quegli anni.
La mostra ideata da Achille Bonito Oliva e realizzata con la collaborazione di un gruppo di giovani curatori internazionali (Lorenzo Benedetti, Iara Boubnova, Cecilia Casorati, Hu Fang, Cristiane Rekade, Julia Trolp) può essere intesa anche come un modo non puramente rievocativo di riflettere sul tempo che ci separa dal ’68: quanta strada hanno fatto le idee di Beuys, la sua concezione di un arte totale, votata al continuo sconfinamento culturale e disciplinare, e soprattutto socialmente impegnata? In che misura le giovani generazioni artistiche, finito il tempo delle utopie, dopo l’abbattimento delle torri di Manhattan e nel pieno delle contraddizioni della globalizzazione, hanno ridato centralità alla realtà e alle prospettive della vita sociale, andando oltre quelli che lo stesso Bonito Oliva definisce "l’eccesso di indifferenza duchampiana e l’edonismo performativo" di una parte non piccola dell’ultima generazione artistica?
I circa cinquanta artisti scelti in vari luoghi del mega-continente (con un certo peso, ci è sembrato, di coloro che provengono da Paesi dell’ex impero sovietico, aree in cui Europa e Asia hanno storicamente una più diretta mescolanza) pongono con le loro opere non solo osservazioni ma domande, a volte angosciate, a volte ottimistiche, sui cambiamenti epocali in atto: la velocità inaudita delle comunicazioni e degli spostamenti; le migrazioni di massa; il confronto del pensiero laico con l’islam; la logica del mercato e la lotta per le risorse; il ruolo delle donne e l’arte di sopravvivere. Senza essere per forza in sintonia con lo sciamanesimo utopista di Beuys, e ancor meno mosse da intenzioni celebrative, molte opere di questi artisti ne rivelano in vari modi altri importanti lasciti, non ultimo il fatto di proporsi sempre più spesso come pensiero e gesto critico dentro il vivere collettivo.
La pittura, che ha avuto fin qui uno spazio marginale, diviene invece centrale nel secondo appuntamento del Mart: "Germania contemporanea. Dipingere è narrare" (fino al 26 ottobre) dedicato a tre autori non ancora quarantenni, Tim Eitel, David Schnell e Matthias Weischer.
Solo il primo dei tre, a dire il vero, ci pare dotato dell’attitudine propriamente narrativa di cui parla il titolo della mostra, con un gusto per l’immagine tratta dalla vita quotidiana e fatta slittare in una dimensione metafisica, attraverso un linguaggio pittorico che tende, specie nelle piccole opere recenti, alla riduzione, sia figurale che cromatica.
Il linguaggio di Schnell è quasi opposto, punta all’espansione e all’effetto virtuosistico, elaborando uno spazio architettonico e paesaggistico in cui strutture di edifici rurali sembrano esplodere, ma in una sorta di rigoroso rispetto dei canoni prospettici, come in un esercizio progettuale.
Più complesse le implicazioni della pittura di Weischer, nella quale gli interni domestici, costruiti usando una combinazione di elementi stilistici disparati, con provocatorie incongruenze e raffinati assemblaggi di citazioni pittoriche e inganni ottici, sono abitati ormai solo da tracce o parti residuali e fantasmatiche di soggetti umani.
Con una terza esposizione, "La raccolta Talamoni. Al centro dell’Informale europeo" (fino al 17 agosto) il Mart documenta l’incremento delle opere di cui dispone grazie alla propria politica dei depositi a lungo termine.
Talamoni ha affidato al museo 190 opere (delle oltre 800 che costituiscono la sua raccolta iniziata 40 anni fa), un centinaio delle quali è ora qui in mostra. A parte alcune tele di grandi della figurazione italiana del ‘900 (Casorati, Campigli, De Chirico, Savinio, Sironi), i nuclei davvero notevoli riguardano i protagonisti dell’astrattismo e dell’informale, con un ampio ciclo di opere di Lucio Fontana, un raro "Achrome" di Piero Manzoni (di cui finalmente vediamo anche il versante pittorico), Klee e Kandinskj, fino ad Hartung, Appel, Burri e vari altri maestri italiani e stranieri. All’interno di tutto questo, straordinaria per ampiezza (della qualità inutile dire) è la raccolta di sculture di Fausto Melotti, con ben trenta esemplari che sono qui distribuiti come un filo connettivo lungo tutto il percorso espositivo.