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QT n. 12, 14 giugno 2008 Servizi

Dietro il mito del clandestino

Clandestini (o regolari) non si nasce, si diventa. Basta perdere il lavoro; o viceversa, vincere alla lotteria dei flussi...

Antonio Rapanà

Dopo una campagna elettorale giocata in maniera violenta sulla carta della paura contro gli immigrati, il governo Berlusconi non ha perso tempo nel mantenere fede ai suoi impegni ed ha messo in campo il "pacchetto sicurezza", il suo programma per l’immigrazione: una serie di durissimi provvedimenti, alcuni inseriti in un decreto legge e, quindi, entrati immediatamente in vigore, così da rendere subito legale la caccia allo straniero, altri formulati nel disegno di legge sulla sicurezza o in decreti legislativi che richiederanno l’esame e l’approvazione del Parlamento; tutti fondati sulla concezione del clandestino come individuo con una naturale propensione a delinquere e sull’equazione "meno diritti, più sicurezza".

Le prime immagini di questa pagina sono state riprese durante la manifestazione contro il razzismo svoltasi a Trento sabato 7 giugno. (Foto Marco Parisi).

Nel decreto legge troviamo l’aumento di un terzo delle pene per i reati commessi da un clandestino, l’espulsione dello straniero non comunitario e l’allontanamento del cittadino comunitario in caso di condanna superiore a 2 anni (ora l’espulsione scatta se la condanna supera i dieci anni), la reclusione da 1 a 4 anni in caso di violazione del provvedimento di espulsione o di allontanamento, la confisca della casa e la condanna fino a 3 anni e alla multa di 50.000 euro per il proprietario che affitti ad un clandestino.

Tra le misure repressive sottoposte all’approvazione del Parlamento appaiono di particolare durezza l’introduzione del reato di immigrazione clandestina, punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, e l’allungamento da 60 giorni a 18 mesi dei tempi di detenzione nei centri di permanenza temporanea, ora denominati centri di identificazione ed espulsione.

Non è questa la sede per una analisi approfondita dei provvedimenti del "pacchetto sicurezza", ma alcune delle misure repressive inducono ad affermare che nel nostro Paese si sta sviluppando la pericolosa tendenza, già in atto da qualche anno, a definire un "diritto penale speciale e diseguale dello straniero", forma inquietante di un vero e proprio razzismo istituzionale. Con più asprezza si continua, insomma, ad affrontare la questione dell’immigrazione partendo dalla coda dei processi, cioè dal controllo repressivo e dalle espulsioni, quando invece servirebbero politiche in grado di governare tutte le fasi del percorso migratorio, a cominciare da una realistica regolamentazione degli ingressi.

Finora nel governare la questione dell’immigrazione c’è chi ha seguito la logica di "rigore e solidarietà" (con ben poca solidarietà, in verità…) e chi invece, ossessivamente e brutalmente, ha invocato il rigore del pugno di ferro; forse si dovrebbe cominciare ad usare semplicemente un po’ di competenza e di intelligenza, capendo la vera realtà dei problemi.

Certamente l’immigrazione è un fenomeno complesso, ma vi sono alcune cose molto semplici da capire; e quasi tutti ormai le comprendono. Le capiscono, ad esempio, i cittadini italiani che cercano di assumere una donna dell’Est per assistere il familiare anziano, o l’imprenditore edile che ha bisogno di manovali per far funzionare un cantiere. E’ facile capire che l’immigrazione è oggi essenzialmente un’immigrazione per lavoro; e per lavoro generalmente a bassa qualificazione, di cui il nostro mercato ha un bisogno estremo. Ma in Italia non si mai è potuto entrare regolarmente, se non con estrema difficoltà. Il meccanismo dell’ingresso per lavoro è ormai piuttosto noto: il datore deve presentare la domanda per assumere il lavoratore ancora all’estero e la domanda viene accettata se rientra nelle quote di ingresso, cioè nei limiti numerici, fissate ogni anno.

Ma questo sistema non ha mai funzionato: infatti, il meccanismo di chiamare un lavoratore straniero, che non si è mai visto in faccia, è risultato largamente irrealistico, impraticabile. Si è alimentato, invece, un criminale mercato di false domande di assunzione, pagate 5-6.000 euro: un orribile sfruttamento della disperazione di persone che quasi sempre scoprono poi di essere state truffate.

D’altra parte, le quote di ingresso per lavoro sono risultate sempre assolutamente insufficienti rispetto al fabbisogno espresso da famiglie ed imprese. Basti pensare che nell’ultimo anno, a fronte di 156.000 posti disponibili per l’intero territorio nazionale, sono state presentate 664.000 domande, ed anche in Trentino il rapporto è risultato fortemente sproporzionato, con 4.264 domande per 1.151 posti.

E’ proprio questo bislacco meccanismo di programmazione, che non ha mai governato nulla, la vera causa del massiccio flusso di ingressi irregolari: lavoratori stranieri che - spinti da un disperato bisogno, ma richiamati dalla forte domanda di lavoro di alcuni settori produttivi - trovando chiusa la porta principale dell’ingresso regolare, sono entrati dalla porta di servizio dell’ingresso irregolare. Non per delinquere, ma per lavorare.

E infatti, qualunque sia stata la loro storia di irregolarità, sono prevalentemente persone che lavorano: lo dice, per ultimo, un recente studio della Bocconi e della Fondazione Ismu, che stima in circa 700.000 gli irregolari presenti in Italia, di cui ben 3 su 4 sono occupati, per forza di cose in "nero", naturalmente senza diritti e senza tutele. Invisibili e illegali, ma quasi sempre solo temporaneamente: fino ad una delle frequenti sanatorie. Questa è la sempre stata la storia di centinaia di migliaia di persone immigrate in Italia.

"Ho lasciato la Tunisia all’inizio degli anni ’80, quando ero ancora studente, a causa di problemi politici con il governo dell’epoca" – mi racconta Saadi – e per qualche anno ho vissuto in diversi Paesi arabi: una vita di disagi estremi e di pericoli. Poi ho deciso di venire in Europa: avevo bisogno di tentare la speranza di una vita diversa. Sono arrivato in Austria nel 1989, senza particolari problemi: in quegli anni non serviva il visto di ingresso e veniva rilasciato un permesso di soggiorno temporaneo per lavoro. Sì, naturalmente i soliti lavori da immigrato, io vendevo giornali. Poi però, alla scadenza, il permesso non veniva rinnovato e dovevi lasciare il Paese. Cosa che ovviamente nessuno faceva, perché non si ritorna indietro quando si è fuggiti per forti ragioni dalla propria terra"!.

Ed eccoti diventato clandestino...

"Sì, irregolare, clandestino, ma certamente non per scelta, perché nessuno sceglie questa situazione. Irregolare, in giro per l’Europa dove c’era un lavoro. Prima in Svizzera, nella regione di Sion, per la vendemmia: eravamo quasi tutti privi del documento di soggiorno, ma questo non interessava nessuno, perché avevano bisogno di noi. Durante tutto il periodo della vendemmia nessun controllo da parte della polizia; poi invece, finita la stagione della raccolta, i controlli riprendevano durissimi... E così è successo anche in Puglia: nella raccolta dei carciofi, dei pomodori, delle olive lavorava una massa enorme di stranieri senza permesso. Nemmeno lì c’erano molti controlli, ed anzi qualche volta gli stessi carabinieri davano informazioni su dove c’era lavoro. Certo evitavo i luoghi più esposti, cercavo di essere il meno visibile possibile, lasciavo il passaporto a casa di una famiglia italiana che me lo custodiva, il passaporto ed i soldi. La gente del posto era accogliente, non c’erano le tensioni che sono scoppiate negli anni successivi. Ma la condizione dell’irregolare, comunque, è sempre durissima: sei scappato dal tuo Paese con la speranza di un futuro diverso che non arriva mai, perché non ti senti libero. E prima o poi, comunque, un’espulsione arrivava".

Anche Mehrez è arrivato dalla Tunisia in Italia negli stessi anni: studente universitario a Damasco, in Siria, sognava di poter studiare in Francia, ma la mancanza del reddito necessario lo ha costretto a cambiare prospettiva e condizione, portandolo in Italia: "Anch’io ho vissuto l’esperienza di tante persone straniere di quel periodo. Privo di documenti, lavoro nelle campagne del Sud, naturalmente in nero, che era la situazione normale di tutti. Regolarmente in Italia non entrava praticamente nessuno… Ma te lo immagini un contadino meridionale che faceva mille carte per assumere un lavoratore straniero da pagare poi tutto in regola?"

Poi il ’90 cambia radicalmente la situazione delle migliaia di Saadi e di Mehrez: è l’anno delle prima grande sanatoria, quella di Martelli, ancora oggi considerato il padre nobile dei lavoratori stranieri di quella fase dell’immigrazione in Italia.

"Giorno per giorno seguivamo i lavori del Parlamento italiano - raccontano Saadi e di Mehrez - poi all’approvazione della legge ci furono feste ovunque. In pochi giorni le piazze di tanti paesi del Sud si svuotarono: quasi tutti partimmo per il Nord, da Bologna in su, noi in Trentino, perché lì c’era lavoro migliore".

Da lì è cominciata la nuova vita, di lavoratori e di cittadini, di Saadi e Mehrez, clandestini per forza prima ed oggi imprenditori di successo, stimati per le loro assolute correttezza ed affidabilità. Grazie, naturalmente, alla sanatoria.

Proprio le sanatorie degli immigrati irregolari con un lavoro hanno rappresentato il necessario rimedio alle fallimentari politiche dell’immigrazione di tutti i governi.

Basti pensare che le sanatorie del 1986, del 1990, del 1995, del 1998 e del 2002 hanno regolarizzato per motivi di lavoro in tutto circa 1.400.000 stranieri; e che, paradossalmente, la più grande sanatoria della storia dell’immigrazione in Italia, con 646.000 regolarizzati, è stata opera, nel 2002, del governo Berlusconi, quello, tanto per capirci, che approvò la "Bossi-Fini".

Oggi, per contrastare il fenomeno degli ingressi illegali, si propongono misure brutali e perfino illegali, dalla militarizzazione delle coste alla deroga degli obblighi di solidarietà in mare imposti dalle norme internazionali di navigazioni. Idee stupide, assurde, perché sono solo una minoranza - meno del 10% degli stranieri che entrano irregolarmente in Italia - i disperati che sfidano il Mediterraneo sulle carrette della morte per drammatici viaggi verso l’Europa, nei quali oltre 12.000 persone hanno perso la vita.

La stragrande parte degli stranieri attualmente irregolari, invece, è entrata in maniera del tutto regolare, come Elena. Cittadina ucraina, Elena tre anni fa ha lasciato i due figli ed il suo impiego di responsabile di un ufficio di contabilità, dove si lavorava tanto e si guadagnava niente, per venire a lavorare in Italia, ovviamente come badante. "Sono entrata in Italia con un visto di ingresso per turismo, pagando molti soldi per il documento e per il viaggio in pullman…sapevo già dove dovevo andare grazie alle indicazioni di una conoscente: a Matera".

Altro che controllo militare delle coste: così è entrata in Italiala stragrande maggioranza degli stranieri che oggi vive qui senza permesso di soggiorno: regolarmente con un visto turistico, concesso magari non dall’Italia, ma da uno dei 24 paesi europei dello "Spazio Schengen". Un visto che consente di vivere in Italia per un massimo di 3 mesi, ma senza lavorare, e che obbliga comunque a rientrare in patria alla scadenza, anche se si ha la disponibilità di un lavoro. Naturalmente, dato che si tratta di lavoratrici e non di turiste, nessuno fa rientro e tutte protraggono, invece, il loro soggiorno, precipitando così nella condizione di irregolarità.

"E’ una condizione dolorosa - confida Elena – perché dentro di me mi vergogno come se avessi rubato. Il lavoro è durissimo, ma quello che non sopporto più è questa vita di nascosto, in cui tutto diventa difficile, anche curarsi. Non puoi nemmeno tornare a casa a vedere i figli: è un tormento continuo. Il mio sogno è avere un permesso di soggiorno, sentirmi libera, fare una vita normale: questo è bello".

Elena finalmente sta per realizzare il suo sogno: ha trovato un datore che ha presentato la domanda per l’assunzione di una lavoratrice straniera ancora all’estero - altri precedentemente non avevano voluto farlo - ed ha avuto la sorte fortunata e casuale di vincere alla lotteria delle ridotte quote annuali, che ipocritamente ormai funzionano soprattutto come sanatorie mascherate, per regolarizzare uomini e donne che già lavorano in Italia, anche da diversi anni. Tra poco rientrerà in Ucraina e, fingendo, di non essersi mai mossa da lì, chiederà al consolato italiano il visto di ingresso per lavoro subordinato.

In larghissima maggioranza queste sono le persone straniere contro cui si intende scatenare una campagna fatta di galera ed espulsioni: persone che entrano illegalmente in Italia non perché possedute da una naturale propensione a delinquere, che intendono poi continuare a coltivare durante il soggiorno in Italia, ma solo perché non avevano realistici e praticabili canali di ingresso regolare.

Clandestini non si nasce, si diventa, così come da clandestini si diventa regolari; e da regolari si rischia sempre di precipitare nuovamente nell’irregolarità: non va dimenticato, infatti, che tra gli attuali irregolari ci sono anche migliaia di persone che hanno perso il permesso di soggiorno, solo perché sono rimasti disoccupati per più di 6 mesi.

Sono queste le persone che minacciano la nostra sicurezza?