Poche storie: tutti clandestini!
Arrivano sui barconi: li chiamiamo in tante maniere, dipende dalle nostre intenzioni.
Il Medio Oriente si infiamma, il mondo guarda con ammirazione popoli che lottano per la democrazia. Tutti d’accordo, i diritti umani vanno rispettati, e quei regimi puzzano di vecchio. Ci si abbandona a slanci di solidarietà e di fratellanza. Poi succede che a qualche abitante di quei paesi venga una brillante idea, quella di andarsene. Le frontiere si sono indebolite, e sentir ancora parlare di oppressione e cecchini a qualcuno non va giù. È qui che inizia l’odissea (semantica) di individui che prendono la decisione di cambiare domicilio. D’ora in poi non saranno più civili, ma migranti. Nel frattempo, l’Italia si prepara all’invasione sfoderando l’elemento panico, ingrediente essenziale nelle scelte politiche del nostro paese.
Ci dice Azim, responsabile del Centro Anstalli di Trento, che presso Cinformi opera nel campo dell’accoglienza: “Un’invasione che non c’è stata: l’Italia è una potenza economica mondiale incapace di affrontare razionalmente ed efficacemente il problema di accogliere poco più di 20.000 persone bisognose di aiuto.”
Quel che fa più paura sono i famigerati barconi, e non tanto per essere delle bagnarole che galleggiano per miracolo, e nemmeno perché per molti costituiscono l’unica via di fuga praticabile, ma per ciò che trasportano.
“Le tragedie nel mare? Una logica conseguenza. Non si è permessa l’evacuazione di migliaia di rifugiati, li si è lasciati totalmente esposti ad ogni forma di violenza ed arbitrio. E così, nel tentativo di espugnare la fortezza Europa, almeno 4.597 persone hanno perso la vita, dal 1988 ad oggi”.
Abbiamo assegnato il nome di “migranti” al carico di queste navi, consapevoli così facendo di esprimere anche noi un giudizio di valore. Nella parola migrante è assente qualsiasi connotazione negativa, ma non solo. Nel polarizzatissimo scenario politico italiano, questo è un termine utilizzato quasi esclusivamente da organizzazioni umanitarie, e non ha valore giuridico.
Ma non sempre lo scopo è quello di descrivere imparzialmente un fenomeno. Anzi, spesso la partigianeria è un obiettivo da perseguire, ed è proprio qui che proviamo un senso di profonda miseria, sia verso coloro che iniziano un intricatissimo viaggio semantico in una lingua che non conoscono, sia verso di noi, che giochiamo con le parole.
“Profughi, immigrati, rifugiati, extracomunitari, richiedenti asilo, irregolari, tutti vengono messi nello stesso calderone. È ben vero che sono misti i flussi che cercano di raggiungere le coste italiane, spagnole o greche, che immigrati o richiedenti asilo fuggono sullo stesso barcone, ma sono individui che hanno storie molto diverse e in modo diverso sono considerati dalle convenzioni internazionali e dalle leggi nazionali”
“Si ai profughi, no ai clandestini”, rispondevano alcune Regioni di fronte alla necessità di ospitare gli sbarcati a Lampedusa. La parola clandestino non piace a nessuno, ricorda qualcosa che si muove nell’oscuro, che non si conosce. Mentre per i profughi, non c’è problema: tutti si dichiarano dispostissimi ad accoglierli, anche se per la legge, è più appropriato parlare di rifugiati.
“Può essere riconosciuto lo status di rifugiato alla persona che temendo a ragione di essere perseguitata per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può o non vuole tornarvi per il timore di persecuzione.”
Dunque, per capirci, i libici vanno bene in quanto si presumono perseguitati da Gheddafi, ma niente tunisini, che un minimo di libertà l’hanno conquistata. Il termine rifugiato è però uno di quelli che, prima di affibbiarlo a qualcuno, bisogna pensarci due volte.
“Secondo la Convezione di Ginevra, la persecuzione deve essere personale e debitamente documentata, poi taluni Stati frappongono non pochi ostacoli al riconoscimento”.
Incappata in un garbuglio giuridico tra Convenzione di Ginevra, Costituzione e rimandi ad una legge organica sul diritto d’asilo che non c’è, l’Italia si candida ad essere un ottimo esempio di paese che frappone enormi ostacoli all’acquisizione dello status di rifugiato.
Fortunatamente, vengono in aiuto le parole del ministro Maroni: “Macché profughi, sono tutti clandestini”, e il problema è risolto. Anzi no. L’UE, sempre per citare Maroni “ci complica la vita”, dichiarando inammissibile il reato di clandestinità (toh!), rendendo dunque il procedimento di espulsione coattiva più complicato se non impossibile.
Non vedo l’ora di conoscere la prossima parola con cui giustificheremo la cacciata di persone (chiamiamoli così, che è meglio), dal nostro territorio.