“Anime della maniera nera”
Attraverso le opere di dieci artisti di vari paesi, una mostra su una particolare (e difficile) tecnica di incisione, che combina realismo e visionarietà.
La "maniera nera" è una particolare tecnica di incisione, inventata nel 1642 da Ludwig von Siegen, che certi (pochi) artisti prediligono ancor oggi perché permette di raggiungere un controllo estremamente fine del chiaroscuro e dell’intensità del nero, al punto di essere considerata uno strumento in grado di competere con la tecnica fotografica nella ricerca di effetti di realismo.
Non è quindi un caso che la mostra in corso a palazzo Trentini ("Anime della maniera nera", fino al 30 novembre) si avvalga di una nota introduttiva di un fotografo importante come Ferdinando Scianna. Il quale fa due osservazioni che possono essere utili per valutare le opere esposte. La prima: questa tecnica incisoria ha dimostrato di essere un mezzo espressivo molto adatto per le poetiche orientate alla visionarietà, proprio perché queste ultime richiedono una combinazione tra capacità fantastica ed effetti di realtà. La seconda annotazione è che l’estrema difficoltà esecutiva della maniera nera porta con sé – come spesso i mezzi espressivi che richiedono speciale abilità e lungo tirocinio artigianale – il rischio del virtuosismo, quasi sempre dannoso all’arte.
Osservando le opere dei dieci artisti di vari paesi, qui esposte, la nostra sensazione è che solo una parte di loro sia riuscita a sfuggire al rischio menzionato da Scianna.
Alcuni, innamorati del proprio strumento espressivo, sono però poco attivi sul piano della invenzione dell’immagine, e restano ancorati a repertori tematici convenzionali. Oppure, avendo avvertito il problema di riuscire a parlare alla sensibilità del mondo contemporaneo, e la necessità di evitare una competizione perdente con la fotografia sul piano del realismo, sembrano però inciampare nei frammenti di una attualità percepita come eco massmediatica.
Più interessanti sono le ricerche di artisti come il norvegese Valtyrson, che esprime un immaginario fantastico in cui spira l’inquietante soffio della metamorfosi; il lettone Sietins, il quale pur esibendo capacità di rappresentazione quasi iperrealista sa combinarle con una spazialità di sentore fantascientifico; e il monacense Avati, le cui immagini, semplificate e lievemente colorate, hanno la giocosa leggerezza di certe figure ritagliate con le forbici.